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Spandonaro (Ceis): “Troppa confusione tra politica e management”


14 FEB -
Professor Spandonaro, pensa anche lei che la politica dovrebbe passare la mano ai tecnici, in particolare davanti ai bilanci in rosso della sanità?
Che la politica abbia fatto danni non mi pare ci siano dubbi. Ed è senz’altro un controsenso nominare commissari gli stessi che hanno prodotto i danni, tanto più che il commissariamento era stato introdotto proprio per evitare questo. Però dobbiamo domandarci perché, in Italia, la politica è così invasiva, mentre in altri Paesi l’amministrazione, ovvero i tecnici, riescono ad arginare le pressioni politiche. Una delle possibili risposte è che noi manchiamo di una scuola solida di amministrazione pubblica.
Quindi lei è contrario alla posizione di chi, come il presidente della Toscana Enrico Rossi, rivendica la responsabilità politica nelle nomine dei vertici amministrativi della sanità?
La posizione di Rossi ha un fondamento di verità, ma da noi le cose sono troppo confuse. Dai politici mi aspetterei che indichino la strategia, non che amministrino. Invece il confine tra scelte strategiche e management è saltato, e così la soluzione paradossale è che chi potrebbe essere un buon amministratore oggi fa il governo.
Le sembra realistico che intervenendo sulle prestazioni inappropriate si possano ottenere 3 miliardi l’anno di risparmi?
Non c’è dubbio che ci siano molte prestazioni inappropriate, ma mi sembra più difficile dimostrare che intervenendo su questo si possano ottenere risparmi. Tanto più che oggi, con questo livello di finanziamento, in molte Regioni ancora non sono garantiti neanche i Lea.
Intende dire che i soldi “risparmiati” verrebbero spesi altrove?
L’appropriatezza mi sembra un’idea paternalistica: se il Ssn non dà una prestazione perché la considera inappropriata, nella maggior parte dei casi il cittadino non ci rinuncia ma semplicemente si rivolge al privato. E lo stesso accade con i ticket: la presenza o meno dei ticket non ha sostanzialmente modificato i consumi, piuttosto li ha spostati tra pubblico e privato.
Allora la sanità è una spesa incomprimibile?
Certamente si può migliorare l’efficienza, però bisogna pensare che già oggi noi spendiamo 5/6cento euro pro capite in meno rispetto agli altri Paesi vicini. Eppure sulla carta garantiamo tutto: vuol dire che siamo molto più efficienti degli altri? E riducendo ulteriormente il finanziamento, continuando a garantire tutto, saremo ancora più efficienti?
In Italia si spendono circa 125 miliardi di euro per la sanità, all’incirca il 9% del Pil, di cui 110 per il Ssn e il rimanente a carico dei cittadini. Questo è quello che il paese può spendere per la salute e non credo che cambierebbe molto se la quota pubblica si riducesse: i cittadini pagherebbero in proprio.
Quindi la riduzione, o meglio il mancato incremento, del finanziamento al Ssn prevista per il 2013 non cambierà la nostra sanità?
Quello che cambia è l’equità: s’è il sistema sanitario è tutto pubblico c’è il massimo dell’equità, se è tutto privato c’è il massimo della disequità. Oggi il Ssn è finanziato con il 6,7% del Pil, scendere al 6,3% impone ovviamente delle scelte. O si interviene sull’offerta, oppure si taglia il personale con i licenziamenti, si azzera la manutenzione delle strutture e così via.
Insomma, più appropriatezza non basta.
Non sono convinto che si riducano i costi con l’efficienza, credo che sia più che altro un problema di scelte. Quanto possiamo finanziare? Cosa vogliamo finanziare?

14 febbraio 2012
© Riproduzione riservata
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