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Marina Militare. La denuncia:  "Poche tutele per militari contro contro Hiv e Tubercolosi". No alle discriminazioni per l'idoneità


Il problema sollevato per l'operazione Mare Nostrum, era già stato segnalato in occasione del terremoto ad Haiti nel 2010, quando al personale non era stato garantita la profilassi post esposizione all'hiv, pur avendo assistito, anche chirurgicamente, persone sieroignote. Torna a far discutere anche il tema dell'idoneità dei sieropositivi alla carriera militare.

10 GEN - Hiv e tubercolosi sono le malattie da cui non è tutelato a dovere il personale sanitario militare e civile, impegnato nell'operazione “Mare Nostrum”: la denuncia arriva da alcuni operatori sanitari della Marina Militare, che sollecitano il ministero della Difesa a intervenire per offrire una protezione più efficace al proprio personale impegnato in queste operazioni.

Il problema era già stato segnalato in occasione del terremoto che aveva colpito Haiti nel 2010, quando il personale imbarcato sulla portaerei Cavour non aveva potuto contare sulla disponibilità della ppe (profilassi post esposizione) all'hiv, pur avendo svolto attività sanitaria e chirurgica a favore di persone sieroignote, residenti in un Paese in cui le terapie antiretrovirali non vengono garantite. E anche con l'Operazione “Mare Nostrum” non è cambiato nulla, denunciano alcuni membri del personale sanitario della Marina Militare: “la profilassi farmacologica contro il virus hiv entro 1-4 ore dalla possibile esposizione continua a non esserci. Una situazione preoccupante, visto che si opera con migliaia di persone provenienti, perlopiù, da Paesi in cui l’infezione da hiv è considerata endemica”.

E anche sul fronte della tubercolosi non mancano le preoccupazioni. “Occorre verificare se i militari e gli appartenenti alle Forze di polizia impiegati nell'operazione “Mare Nostrum” - rileva Luca Marco Comellini, Segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm) - siano adeguatamente protetti contro i rischi di esposizione a ceppi virali multifarmacoresistenti provenienti da aree endemiche e ad alta incidenza di tubercolosi”. Già nel 2011, tramite i parlamentari Radicali, “avevamo chiesto al ministro della Difesa – continua - di sapere quali fossero le attività di prevenzione e di sorveglianza sanitaria attuate presso il Servizio sanitario militare interforze, la percentuale dei medici e infermieri militari sottoposta a vaccinazione obbligatoria antitubercolare e il sistema di sorveglianza sanitaria adottato. Ma avevamo ricevuto una risposta elusiva degli obblighi imposti dalla legge, che non ci aveva soddisfatto e aveva fatto emergere una preoccupante situazione sulle incerte percentuali di militari sottoposti alla vaccinazione obbligatoria antitubercolare”. Oggi, alla luce delle preoccupazioni espresse, conclude Comellini, “il problema torna ad essere di strettissima attualità e ci impone di chiedere nuovamente al ministro della Difesa di porre in essere ogni azione necessaria per garantire la massima tutela della salute degli operatori sanitari e degli equipaggi delle unità navali attualmente impegnate nell'operazione umanitaria”.

E oltre alle preoccupazioni per possibili rischi per la propria salute durante il lavoro, continuano a esserci denunce, sempre all'interno delle Forze Armate, di richieste di test dell'hiv non solo per bandi di concorso di 1° nomina, ma anche per quelli interni per l'avanzamento di carriera, nonché di controlli periodici sull'hiv più soft per i dirigenti, e più stringenti per i non graduati. “Il fatto è che – spiega Matteo Schwarz, consulente legale del Network persone sieropositive (Nps) – c'è un problema di compatibilità tra la sieropositività e la carica militare. La legge 135/90 stabilisce delle norme precise, che vietano l'accertamento dello stato sierologico sia dei dipendenti che nelle procedure ai fini dell'assunzione. La sentenza della Corte Costituzionale del '94 ha poi detto che, nel caso alcune attività lavorative comportino rischi di trasmissione dell’infezione verso terzi, come le professioni sanitarie e militari, dovrebbe essere prevista la possibilità del datore di lavoro di richiedere all’interessato l’esecuzione del test. Ma la Corte ha espressamente negato il test di massa e per categoria di persone, indicando invece una valutazione caso per caso sulla compatibilità tra le mansioni e la sieropositività”. La sentenza quindi non è un lasciapassare per fare il test dell'hiv ai concorsi.

Il problema dell'idoneità delle persone sieropositive alla carriera militare è molto più ampio, evidenzia Schwarz, “e andrebbe analizzato caso per caso. Non tutti imbracciano il fucile, ma ci sono tante mansioni svolte in ufficio e per cui non si vede alcuna incompatibilità. Del resto, attualmente ci sono tante persone sieropositive nelle forze armate, che continuano a lavorare”. Di fondo c'è una forte incongruenza di sistema. Da un lato ci sono le direttive tecniche e i decreti del ministero della Difesa del 2005 e 2011 che tra le cause di non idoneità al servizio militare indicano tubercolosi, sifilide, epatite B e C e hiv, come aveva anche evidenziato in alcune interrogazioni parlamentari l'ex ministro della Difesa, Di Paola. E poi ci sono le circolari dei ministeri della Salute e del Lavoro (l'ultima è dell'aprile 2013) che dicono che l'accertamento della sieronegatività è legittimato solo dalle effettive condizioni di rischio dell'attività lavorativa e che la valutazione del rischio di esposizione va fatta a livello individuale, caso per caso, tramite il medico competente. No quindi ad un'indagine indiscriminata su tutti i lavoratori. “E una questione che andrebbe discussa e risolta a livello di ministeri e Governo. Da parte nostra vogliamo prendere contatti con alcuni membri della commissione Difesa della Camera, come Rosa Calipari, sensibili al problema, perchè continuiamo a ricevere segnalazioni di lavoratori delle Forze Armate che si sentono assediati, cui viene chiesto periodicamente il test”.

A. L.

10 gennaio 2014
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