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La questione medica e la riforma del Titolo V

di Costantino Troise

Dopo 15 anni di un federalismo sanitario spesso competitivo e di abbandono, c'è la necessità di “un nuovo equilibrio”. Che, però, va trovato non solo tra istituzioni ma anche tra tutti gli attori del sistema. Senza dimenticare che il problema non è solo esercitare dei poteri ma è anche “come” essi vengono esercitati

17 MAG - Nel corso della audizione in Senato, a proposito delle modifiche in cantiere al titolo V della Costituzione, il Presidente Vasco Errani ha affermato che “Il nostro Paese non può non rivedere le competenze” aggiungendo che “se ci sono stati problemi con il Titolo V non si deve ritornare al centralismo. Il Parlamento deve trovare un nuovo equilibrio...”.
 
Difficile non concordare con Errani sulla necessità, dopo 15 anni di un federalismo sanitario spesso competitivo e di abbandono, di “un nuovo equilibrio” che, però, va trovato non solo tra istituzioni ma anche tra tutti gli attori del sistema, senza dimenticare che il problema non è solo esercitare dei poteri ma è anche “come” essi vengono esercitati. Sulla stessa lunghezza d’onda, da tempo Ivan Cavicchi ci invita a riflettere sulla riforma del titolo V, facendo notare che se gli interessi di tutti gli attori non saranno collocati all’interno di una sorta di “game strategy”, è possibile che si resti tutti con un pugno di mosche in mano.
 
Per i medici ed i dirigenti sanitari soddisfare insieme i propri interessi professionali ed il diritto alla salute dei cittadini dipende non solo dagli strumenti, quali contratti e servizi, ma anche dalle forme di governo. Quelle attuali negano ogni genere di partecipazione ed interlocuzione,al punto che il famoso “patto per la salute”,come ho già avuto modo di dire, diventa l’espressione di un regolamento di conti tra istituzioni,all’insegna di formulazioni regolamentarie e algoritmi economici, che esclude di fatto i professionisti, e le loro competenze, e non reggerà di fronte alla ambizione dichiarata di costruire la sanità del prossimo decennio, muovendosi, per di più, nel vuoto di uno spazio contrattuale che sia strumento di cambiamento e di riconciliazione della dimensione organizzativa con quella del lavoro.
 
Il nucleo centrale della “questione medica”, che da anni si aggira irrisolta nel mondo sanitario,è nella perdita di potere nel giudizio, nella scelta e nell’atto, quindi nella perdita secca di autonomia, da cui deriva la necessità urgente di recuperare un ruolo sociale e politico nei confronti delle decisioni che ci riguardano. E’ evidente, quindi, che occorre cambiare forma di governo del sistema, creando le condizioni affinché il gioco degli interessi, dei diritti,dei valori morali e sociali, sia partecipato, senza escludere o marginalizzare le componenti professionali. Se il presupposto di partenza è che la complessità del nostro lavoro non tollera unilateralismi decisionali, verticismi, e forme più o meno dissimulate di autoritarismo, la domanda cui rispondere, anche con la modifica del titolo V, è come si decide e come si governa in sanità.
 
Cavicchi ripropone l’idea di un “governo multilivello”,già avanzata in precedenza, in qualche modo presente anche nella proposta del Presidente del Consiglio. Si tratta di distinguere nettamente dentro una logica “federale” le competenze generali del governo centrale da quelle specifiche e locali del governo regionale, ridefinendo il ruolo degli enti intermedi tra governo e regioni, attribuendo ai comuni, o perché no alle nuove città metropolitane, competenze in materia di produzione e tutela della salute. Senza rispolverare il vecchio centralismo, ma mantenendo verticali, nell’ ambito di una competenza unitaria, alcuni elementi fondamentali, quali la definizione dei LEA, lo stato giuridico del personale, un meccanismo di perequazione finanziaria gestito dallo Stato, i requisiti di accreditamento di strutture e professionisti, la individuazione di livelli essenziali organizzativi omogenei, e sviluppando una politica regionale orientata al miglioramento dei servizi e alla composizione non conflittuale tra le diverse componenti del sistema.
 
Non dimenticando che il federalismo nato dalle modifiche del titolo V, oltre a produrre un neo centralismo regionalee la crescita esponenziale di un contenzioso tra istituzioni, figlio delle ambiguità della legislazione concorrente, ha ampliato le diseguaglianze tra le varie aree del Paese, costringendo un diritto di cittadinanza uno e indivisibile a venire declinato in modi diversi a seconda del luogo dove ci si trova a vivere. Il che cambia radicalmente lo spazio e le prospettive dei diritti di cittadinanza, che valgono per l’individuo a prescindere dalle condizioni contingenti, in direzione di un contesto in cui essi cessano di essere un bene pubblico nazionale per assumere una valenza locale, trasformando la appartenenza locale nella fonte primaria del diritto sulle risorse.
 
L’aspetto che ci riguarda da vicino è come concepire la governabilità in funzione della partecipazionetanto dei diritti che degli interessi, a diversi livelli. Il che significa cominciare a rivedere il modello aziendale, oggi orientato al puro controllo dei costi, concepito e organizzato a partecipazione professionale e sociale assente, per realizzare un management diffuso, aperto alla domanda ed alla responsabilità sociale. Oltre ai luoghi tradizionali della contrattazione può, in questa ottica, essere utile istituire un luogo nuovo in cui il lavoro, le professioni, l’operatività abbiano voce nei confronti delle scelte di politica sanitaria, sul modello di un “professional board”, nel quale sono presenti tutte le professioni del sistema sanitario nazionale. Oppure di un consiglio sanitario,giàprevisto come consiglio sanitario nazionale dalla 833. Inoltre, se lo strumento per intervenire nella sanità è il “programma”, la programmazione deve essere intesa come una metodologia partecipata a qualsiasi livello essa venga agita. In una ottica di sistema, capace di guardare insieme, e nello stesso tempo, il prima e il dopo l’ospedale con quanto accade al suo interno.
 
Le Regioni hanno oggi, e verosimilmente avranno domani, il poterema è necessaria una politica per un progetto di servizio sanitario federale ed una idea federale di salute. La questione ancora aperta è chi, come, con che cosa si definisce la identità pubblica di un sistema sanitario regionalizzato, il suo governo e le sue politiche rispetto al diritto alla salute. Ma rispondere non sarà possibile senza i Medici ed i Dirigenti sanitari o contro di loro
 
Il dibattito sulle implicazioni della modifica del titolo V sotto il profilo della equità, della giustizia distributiva, della condivisione di una stesa idea di diritto è, forse, solo all’inizio, ma occorre intervenire con l’ottica del lavoro dei professionisti, prima che si chiudano i giochi con risultati prevedibilmente scarsi. Senza un nuovo compromesso sociale tra Stato e Medici la sanità pubblica continuerà a rincorrere le ragioni della propria sopravvivenza acuendo il disagio dei cittadini.
 
Costantino Troise
Segretario Nazionale Anaao Assomed

17 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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