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Liberalizzazioni. Norme sbagliate e anche rischiose. Per il sistema farmacia, ma non solo

di Federico Jorio

Si profila un imminente pericolo per la tenuta del sistema assistenziale relativo e per la sostenibilità delle aziende-farmacie che lo compongono e ne garantiscono il funzionamento. Specie di quelle rese già deboli nei loro bilanci dagli interventi normativi pregressi. Ma c’è anche il rischio che il mercato diventi preda della prepotenza del capitale mafioso

21 FEB - Quando si dice che la politica fa troppo spesso l'esatto contrario di ciò che serve corrisponde ad una verità. E' quanto sta accadendo da un po' di tempo sul versante della disciplina delle farmacie.
In un momento di segnata crisi del sistema produttivo, intendendo per tale chiunque eserciti un'attività imprenditoriale/artigianale o professionale, l'impegno della politica dovrebbe essere indirizzato, esclusivamente, nel senso di generare certezze reddituali, laddove queste precipitano, specie quando queste sono funzionali ad assicurare un primario servizio pubblico quale è quello che garantisce, ovunque e comunque, la somministrazione al pubblico dei medicinali. Anzi, dovrebbe adoperarsi per impedire il progressivo aggravarsi della situazione allorquando il sistema è nel verosimile pericolo esistenziale, con conseguente decimazione della rete assistenziale di cui è da sempre garante.
 
La ratio e le contraddizioni del riordino. La crociata iniziata qualche anno addietro contro l'attuale organizzazione della farmacia è stata influenzata dalla libera formazione di non poche distorsioni ideologiche e ha pertanto ingenerato tante difficoltà al sistema aziendale ad essa sottinteso.
 
Tutto questo ha prodotto un risultato, da più parti largamente presagito, che sta rendendo la vita difficile alle farmacie, già da tempo gravate di oneri che hanno assottigliato oltre misura le relative redditività aziendali, schiacciate al di sotto della soglia della remunerazione assicurata ai tabaccai e ai distributori di carburante. Una situazione, questa, che ha reso difficile la tranquilla permanenza sul mercato caratteristico di tutte quelle farmacie - che poi sono la maggioranza nel Paese - che assicurano da un cinquantennio il livello essenziale di assistenza farmaceutica nei piccoli Comuni, che sono ben al di sopra del 50% della totalità del sistema autonomistico locale.
 
Una filiera assistenziale messa ulteriormente a rischio di continuità dalle previsioni contenute nel DDL “Guidi”, appena licenziato dal Consiglio dei Ministri. In proposito, si è scritto tanto sia da parte della comunità scientifica che dal sistema istituzionale, quest'ultimo ampiamente rappresentato dalle Regioni, che hanno assunto una posizione responsabile e di salvaguardia dell'appropriatezza del servizio attualmente reso dalle farmacie, e dall'AIFA, che ha sottolineato la pericolosità del disegno riformatore anche per la salute pubblica, relativamente alla sua attitudine a favorire l'incremento dei consumi di medicinali da parte soprattutto delle fasce più deboli della popolazione.
 
Si è scritto anche a sproposito, soprattutto da chi ha inteso essere presente nel dibattito generatosi - ancorché in rappresentanza di istituti di ricerca di alto pregio - a titolo di mero tifoso dell'iniziativa della politica, prescindendo dalle conoscenze sul tema, finanche deboli nell'identificare i Sop e gli Otc, tanto da confonderli. Nell'occasione, si sono altresì registrate, anche da parte di chi fa tutt'altro mestiere, tante libere interpretazioni dei dicta della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea assunti in materia da mettere in crisi il riaffermarsi del principio della certezza del diritto, favorendo così il diffondersi di una informazione errata peraltro produttiva di una pericolosa schizofrenia culturale.
 
A fronte di tutto questo, si profila all'orizzonte un imminente pericolo per la tenuta del sistema assistenziale relativo e per la sostenibilità delle aziende-farmacie che lo compongono e ne garantiscono il funzionamento, specie di quelle rese già deboli nei loro bilanci dagli interventi normativi pregressi, che hanno via via incrementato lo sconto sulle vendite praticate in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale e introdotto la Distribuzione per conto, assottigliando gli utili dell'esercizio in modo generalizzato.
 
Una situazione che sta facendo registrare - anche a causa di aggressioni marketing di gruppi egemoni presenti essenzialmente nella Capitale e dei loro imitatori periferici - una vendita di farmaci praticata in regime di sconto impraticabile che ha reso, nel medio termine, i patrimoni aziendali così deboli da consigliare il ricorso a strumenti riparatori, pena il default. Non solo. Ha incentivato gli acquisti e il consumo di farmaci, soprattutto nella popolazione anziana, attraverso l'introduzione di politiche di vendita "facilitata", espressione del più assoluto cinismo mercantile.
 
A fronte di una tale concorrenza esasperata, esercitata da gruppi guidati da uno spirito non autenticamente professionale, si stanno determinando numerose debolezze aziendali, soprattutto registrate nella fascia delle farmacie “medie”, esercenti nei grandi centri urbani.
Di conseguenza, si stanno naturalmente moltiplicando gli esperimenti difensivi, tentati ormai da numerosissimi titolari di farmacie, di mettere fine alle precarietà economico-finanziarie vissute attraverso gli strumenti messi a loro disposizione dal diritto per evitare dichiarazioni di fallimento, con frequenti bancarotte accertate al seguito.
 
Il primato di tali iniziative estreme appartiene alla Capitale, ove peraltro v'è stato un uso diffuso e distorto, all'uopo incentivato da organizzazioni che sono andate ben oltre il lecito, di frequentare il commercio all'ingrosso e di improvvisare l'esportazione dei medicinali, soventemente senza l'autorizzazione ad hoc. Una pratica che ha lasciato tanti "morti" sul campo, sia sotto il profilo economico che sul piano della sottoposizione dei titolari a sanzioni fiscali e misure penali.
Stanno così diventando frequenti percorsi utili a salvare le aziende-farmacie dalla bancarotta, spesso a titolo di estremaratio. La maggiore audience è certamente guadagnata dalle procedure stragiudiziali, anche perché dal loro buon esito residua naturalmente una consistente somma di denaro, altrimenti assorbita dai costi delle procedure tipicamente concorsuali e, dunque, sottratta al soddisfacimento del ceto creditorio.
 
A ben vedere, c'è il mercato della farmacia in crisi profonda, in quanto tale sovraesposto ai rischi conseguenti, non ultimo quello di divenire preda della prepotenza del capitale mafioso che, opportunamente tradotto in economie apparentemente pulite, si impossesserà delle titolarità relative, così come ha ampiamente fatto nel sistema delle attività sociosanitarie private, esercitate a mezzo del percorso accreditamento/contratto. Un "affarone", funzionale anche lavare il denaro sporco, reso possibile dalla breccia aperta in favore del capitale, oggettivamente inteso, dalla previsione contenuta nel DDL sulla concorrenza che consentirà a chiunque di fare incetta di farmacie e di comportarsi, conseguentemente, come più gli fa comodo.  
 
Il contenuto del DDL “Guidi”. All'aggravarsi di una tale situazione, già di per sé preoccupante, si è aggiunto il disegno di legge sulla concorrenza appena licenziato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 febbraio e in procinto di intraprendere l'iter di approvazione parlamentare.
Un esempio, tra l'altro, confermativo dell'enunciato che l'ideologia non basta a fare la rivoluzione se non accompagnata dal relativo intervento legislativo modificativo.
 
L'art. 33 del DDL liberalizza il sistema farmacia nell'intento, tutto ancora da dimostrare, di volerlo realizzare a difesa dei consumatori e a discapito delle "iniquità" imposte dall'attuale disciplina.
Vediamo cosa si è prodotto a fronte della testardaggine di volere operare a tutti i costi la deregulation su farmacie e su farmaci, questi ultimi fortunatamente lasciati nella loro attuale disciplina.
In buona sostanza, viene dato modo alle società di capitali di potere acquistare quante farmacie vogliono, a condizione che vi prepongano a dirigerle farmacisti, in possesso della solita idoneità, non necessariamente presenti nella compagine sociale.
 
Insomma, la proposta legislativa ha liberalizzato nel senso specifico di soddisfare quegli interessi capitalistici aggrappati, da tempo, all'idea di impossessarsi della filiera della somministrazione del farmaco al pubblico, nonostante il legislatore abbia riaffermato, facendolo residuare, l'attuale regime concessorio. Un modo, questo, per offrire l'occasione alla GDO di arricchirsi direttamente mediante l'accesso indiscriminato alla titolarità "delle licenze" concesso alle società di capitale.
 
A questo punto si rende altresì indispensabile una valutazione politico-ideologica sul prodotto governativo. Essa riguarda la correttezza o meno del decisum ovverosia se sia onesto offrire la sponda alle multinazionali - e dare così inconsapevolmente l'opportunità al capitale mafioso di confondersi tra esse - di potere collezionare titolarità di farmacie a discapito dell'esercizio autenticamente passionale assicurato sino ad oggi dal farmacista tradizionale, seppure per il tramite di società di persone, c.d. speziali perché anch'esse caratterizzate dal medesimo animus professionale.
 
Prescindendo da tutto, il Consiglio dei Ministri ha deciso in tal senso, assumendosi ogni rischio sulle ricadute, sia in termini di tenuta del tradizionale sistema che di ripercussione dell'evento sulla qualità dell'offerta assistenziale da garantirsi alla collettività, che è bene precisare essere formata da utenti e non già da clienti.
 
Lo ha fatto anche commettendo qualche errore (grave) di troppo, forse a causa del mancato coinvolgimento, nell'occasione, dei saperi e delle esperienze, tesorizzate attraverso le varie stesure delle leggi in essere, possedute dall'organico del Ministero della salute, questa volta, pare, costretto a subire le decisioni altrui.
 
Su tutto emergono due colpevoli leggerezze, peraltro non di poco conto. Prioritariamente, quella di togliere il limite, già contemplato nel comma 2 dell'art. 7 della vigente legge n. 362/91, funzionale a vietare l'uso di un oggetto sociale promiscuo alle società speziali che si rendessero, comunque, titolari di farmacia, rendendo così compatibili contemporanei esercizi di attività afferenti al mercato del farmaco, ma anche alla GDO di rendersi direttamente alienataria di farmacie attraverso la loro ragione sociale.  
 
L'altra, quella di essere incorsi nella ingenuità di proporre l'abrogazione del limite numerico "di licenze" (così come impropriamente definite nella relazione tecnica) fissato dal successivo comma 4 bis, allo scopo di sancire un numero illimitato di titolarità, senza contare che la prevista mera abrogazione determina la reviviscenza del vecchio regime che limitava la proprietà di una farmacia per ogni singolo titolare, in applicazione dell'originario principio risalente alla legge n. 475/68.     
 
avv. Federico Jorio, Ph.D.
Studio associato Jorio - Cosenza

21 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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