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Responsabilità professionale. Il rischio è che la pezza sia peggiore del buco che si vuol coprire

di Roberto Polillo

Il testo del Ddl Gelli è confuso e si presta a interpretazioni non univoche. E poi sono forti le perplessità sulle linee guida di fatto impositivesull’artificiosa distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, sulla decisione di porre l’onere della prova a carico del cittadino e altro ancora

03 DIC - Ogni testo ha nascosto tra le pieghe delle parole la sua difficoltà interpretativa; e questo è talmente noto da essere banale. Se fosse tutto chiaro non esisterebbe l’ermeneutica o il commento. E a questo destino non si sottrae certo la legge che per essere tradotta in dispositivo ha bisogno di un giudice e di un dibattimento e quindi di una sua lettura interpretativa che ne chiarisca il senso rapportato allo specifico contesto.
 
La qualità di una legge, tuttavia, è anche la chiarezza intrinseca del testo, perché da questo dipende la sua applicabilità e la certezza che la norma che esso prescrive varrà poi erga omnes.
 
Se ora noi proviamo ad applicare questa semplice griglia di lettura (semplicità, chiarezza, uso appropriato delle parole) al DDL sulla responsabilità il cui estensore principale è l’On. Gelli non vedremmo soddisfatti nessuno di questi elementari criteri di buona tecnica legislativa
 
Il dispositivo legislativo è talmente confuso che uomini di legge con diverse e specifiche competenze in materia (un magistrato, un giurista e un professore universitario di diritto), intervenuti sull’argomento su questo giornale, non sono riusciti a capirne fino in fondo il senso, la sua univocità e la portata dei suoi articoli.
 
Si introducono parole nuove (buone pratiche cliniche assistenziali) a cui non corrispondono concetti codificati e si chiamano “raccomandazioni” (in riferimento alle linee guida) quelle che invece sono vere “imposizioni” in quanto l’esclusione della colpa del medico passa solo attraverso il loro rispetto pedissequo ed acritico.
 
E questo non è un fatto da poco; anzi è sicuramente il punto di maggiore caduta del provvedimento, in quanto la previsione che le linee guida “sono adottate dalle società scientifiche iscritte in un apposito elenco, istituito con decreto del Ministro della salute” non rappresenta una garanzia che le raccomandazioni in esse contenute siano corrette dal punto di vista scientifico e libere dai condizionamenti della industria farmaceutica.
 
Avere conferito alle linee guida il potere di salvacondotto nei confronti del medico rende assolutamente indispensabile che la loro redazione sia effettuata da organismi terziche si avvalgono delle società scientifiche, ma che sono da esse indipendenti e che si assumano anche la responsabilità di una loro periodica revisione. Una responsabilità che deve essere necessariamente pubblica come del resto avviene nei paesi europei più avanti  in questo campo (valga per tutti il caso dell’istituto inglese NICE).
 
In mancanza di questo, troppa stretta è la strada e il rischio è quella di una medicina di carta in cui il superiore Ministero avvalla documenti che non hanno il grado di robustezza necessario per diventare vere linee di riferimento. Resta poi il problema, non certo trascurabile, della variabilità di risposta individuale che potrebbe indurre il medico pavido a non tentare strade diverse per non perdere la protezione che l’obbedienza alle linee guida assicura. 
 
Altre questioni riguardano poi la costituzionalità del testo per l’artificiosa distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattualeche viene messa in capo al medico sul solo criterio dello stato giuridico posseduto. Che differenza fa essere libero professionista o medico dipendente se l’ipotesi di colpa è identica? Perché prevedere un trattamento di favore per l’uno a scapito dell’altro e non seguire invece un identico criterio viste anche le recenti tendenze della magistratura a considerare le due responsabilità in modo intrecciato? 
 
Ancora, che senso ha il meccanismo della rivalsa previsto dal testo che viene ora dilatato con il coinvolgimento di due nuovi soggetti (la compagnia assicurativa e il fondo di garanzia) oltre la ASL. Siamo sicuri che il contenzioso diminuirà e che la medicina difensiva si ridurrà o è vero esattamente il contrario? Ci siamo chiesti se il medico alla lunga non dovrà subire un danno maggiore di quello che oggi subisce?
Non si sta dunque creando una spirale inquietante da cui il medico non riuscirà ad uscire?
 
Quali sono poi le conseguenze sul cittadino che ha subito un danno ingiusto e che tale danno viene riconosciuto in sede giudiziaria?Valgono per questo le considerazioni che il Presidente del TDM Aceti ha più volte fatto e che riguardano la scarsissima solvibilità celle aziende sanitarie che spesso, pur dovendo rifondere il malato, non lo fanno per mancanza di fondi e liquidità
 
E ancora l’onere della prova in carico al cittadino è una giusta soluzione?Chi può in tutta buona fede fare finta di non vedere che spesso la asimmetria informativa tra i due contendenti (il medico e il malato) è di tale portata (pensiamo a cosa può essere avvenuto nel corso di un intervento chirurgico) da impedire al malato di difendersi correttamente. Non sarebbe stato meglio non modificare la legislazione corrente e prevedere invece il reato di lite temeraria in capo al cittadino che cita in giudizio il medico in modo manifestamente strumentale o infondato?
 
La risposta a tali preoccupazioni possono essere fugate forse tirando fuori dal cilindro un altro Robin Hood nei panni del “difensore “civico?E’ possibile che il legislatore non sappia che tale figura laddove istituita non ha dato i frutti sperati?
Rimane una ultima considerazione da fare. L’indice di gradimento del provvedimento è particolarmente alto tra gli esercenti la professione medica ma è bassissimo tra tutti gli altri che pure di sanità pubblica si occupano da anni.
 
E’ questo ci deve spingere a riflettere sulla reale opportunità di un disegno di legge così pasticciato e confuso, rifiutando scorciatoie dalle gambe corte come quella ventilata e sponsorizzata dall’On Gelli di dirottare il provvedimento nella legge di stabilità. Una scelta ingiustificabile e ingiustificata perché su tali temi serve il confronto e non i colpi di mano o il desiderio di riuscire laddove gli altri hanno fallito.
 
Non vorrei dunque che la toppa che il legislatore sta cucendo sul vestito lacero della responsabilità risulti alla fine peggiore del buco che si vuol coprire.
 
Roberto Polillo

03 dicembre 2015
© Riproduzione riservata

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