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Referendum. Gelli (PD): “Ecco perché il Sì è un’occasione irripetibile per migliorare il Paese e la sanità italiana”

di Federico Gelli

L'appello di Forza Italia per il ‘No’ al Referendum, nel quale si prospettano addirittura peggioramenti per la sanità italiana, sembra un tentativo di far confusione a poche ore dal voto su un argomento sul quale gli italiani si sono dimostrati particolarmente sensibili. Con la vittoria del 'Sì' potremo dire basta alle attuali disparità regionali e garantire un vero diritto alla salute, in maniera uniforme, su tutto il territorio nazionale

02 DIC - L’appello di Forza Italia per il ‘No’ al Referendum, nel quale si prospettano addirittura peggioramenti per la sanità italiana, sembra più un tentativo di far confusione a poche ore dal voto su un argomento sul quale gli italiani si sono dimostrati particolarmente sensibili, piuttosto che un reale convincimento su alcune tesi che non posso che definire a dir poco 'deboli'.
 
Andiamo con ordine. I senatori di FI sostengono che con il nuovo articolo 117 che riformula il Titolo V peggiorerà il contenzioso tra Stato e Regioni. Niente di più falso. Anzi, per la prima volta vengono definite in maniera ben più chiare le competenze tra i diversi livelli istituzionali. Ricordiamo che ad oggi la sanità rientra tra le cosiddette “materie concorrenti”. La concorrenza legislativa fra Stato e Regioni ha prodotto moltissima confusione e un’infinità di contenziosi fra le due parti, che hanno dato luogo ad altrettanti ricorsi alla Corte Costituzionale per ristabilire di volta in volta il rispettivo perimetro legislativo. L’effetto di questa confusione? L’ingolfamento della Corte Costituzionale, per esempio, le cui sentenze ora riguardano per il 45% i rapporti Stato/Regioni, mentre nel 2000 (l’anno prima della riforma che ha dato vita a questa confusione) si attestavano al 5%.
 
Ma continuiamo. Da Forza Italia si sostiene che con la riforma non verrà dato nessun ulteriore potere di controllo al Governo centrale. Anche in questo caso si tenta di gettar fumo negli occhi. La sanità rimarrebbe tra le competenze regionali solo a livello organizzativo, ma l'autonomia regionale sarebbe vincolata. Ricordiamo che nel testo è inclusa una clausola di supremazia in base alla quale la legge statale, su proposta del Governo, può intervenire su materie o funzioni che non sono di competenza legislativa esclusiva dello Stato se reso necessario, ad esempio, dalla realizzazione di riforme economico-sociali di interesse nazionale. Ecco, a questo punto va sottolineato che le norme riguardanti la sanità si qualificano sempre come norme economico-sociali. Le Regioni non guadagnano nulla rispetto a prima a differenza dello Stato, visto che le norme generali sono nella sua completa disponibilità. Il cambiamento dunque c’è, ed è molto forte.
 
Nell’appello per il ‘No’ si sostiene inoltre che con la nuova riforma costituzionale le differenze regionali resteranno tali e che, anzi, saranno destinate ad un peggioramento. Forse i senatori di Forza Italia non ricordano che oggi, con l'attuale Titolo V, l’Italia è divisa in 20 sistemi sanitari diversi, e quindi non c’è un vero diritto alla salute, tanto che nascere in una Regione piuttosto che in un’altra può fare la differenza.
 
Quali sono quindi alcune delle disparità regionali che questa riforma vuole risolvere a livello sanitario? In Italia, per quanto riguarda i vaccini, non vi è un sistema di copertura omogeneo. Quindi accade che per malattie come il Papilloma virus (HPV) si passa dal 75% di copertura in Toscana al 30% in Sicilia. E solamente cinque regioni su 20 includono anche i maschi nei programmi anti-HPV.
 
Non solo la copertura ma anche i tempi di distribuzione dei farmaci cambiano di regione in regione. I tempi per l’inserimento nei prontuari regionali di un farmaco oncologico, ad esempio, possono variare anche di tre anni e mezzo da una Regione all’altra.
 
Anche in materia di prevenzione, i dati non sono affatto rassicuranti. Solo la metà delle regioni rispetta il livello essenziale di assistenza previsto dal Ministero in maniera di prevenzione. Le Regioni del Centro e del Sud sono tutte inadempienti, esclusa la Basilicata. Il tasso adesione allo screening per tumore del colon retto: Nord 53%, Centro 39%, Sud 31%.
 
Un altro esempio specifico di disuguaglianza è quello dello screening mammografico. In Italia 7 donne su 10, tra i 50 e i 69 anni, si sottopongono allo screening a scopo preventivo, ma se si guarda ai dati regionali in Veneto è 83% di queste il 63 % su invito Asl, in Campania il 47,6 di cui il 20% su invito Asl. A queste disparità se ne aggiungono moltissime: ticket sanitari con costi diversi, tempi di reperimento di farmaci profondamente squilibrati e funzionamento generale inadeguato.
 
Il nuovo articolo 117 della riforma costituzionale vuole porre fine a tutto ciò: come già spiegato in precedenza, si stabilisce che lo Stato si occuperà delle disposizioni “comuni e generali” in materia di sanità. Quindi le Regioni continueranno a essere responsabili e autonome per l’organizzazione sanitaria, ma il diritto alla salute verrà uniformato: ovvero, con la legislazione nazionale (e le risorse nazionali) potranno essere più facilmente uniformati i tempi, i costi delle prestazioni e dei farmaci, i piani di vaccinazione e di prevenzione.
 
La verità, insomma, è una sola: domenica abbiamo tutti noi un’occasione irripetibile per cambiare davvero in meglio il Paese dopo oltre 20 anni di dibattiti. Possiamo dire 'Sì' al futuro del nostro Paese senza dare una nuova chance a chi, con una campagna referendaria che mai è entrata nel merito della riforma, ha un solo obiettivo: garantirsi la poltrona, tenere immobile il nostro Paese, tornare a fare quello che che fa da trent'anni, promettere di cambiare per non cambiare niente.
 
Federico Gelli
Responsabile sanità del Partito Democratico

02 dicembre 2016
© Riproduzione riservata

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