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Il vaccino Covid è un “bene comune”. Come garantirlo?

di Lucio Romano

La traduzione pratica di questo fondamentale principio, non un mero auspicio ma un impegno obbligante, si può realizzare attraverso una necessaria strategia di contenimento dei costi in accordo con altri paesi, anche prevedendo la sospensione dei brevetti sui vaccini per le prime fasi e la concessione di licenze obbligatorie tramite accordi internazionali. Ciò significa non vincolare produzione e distribuzione alle leggi di mercato ma rideclinare le politiche secondo una fattiva solidarietà

02 DIC - A breve arriveranno i nuovi vaccini per il Covid-19, dopo aver superato la procedura prevista di autorizzazione in base ai requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia. Si è in attesa del via libera dell’Agenzia Europea dei Medicinali (Ema). In Italia, così negli altri paesi, è iniziata la fase organizzativa sia per quanto riguarda gli acquisti e la logistica sia per gli aspetti più strettamente sanitari. Una corsa contro il tempo per poter assicurare un necessario e insostituibile presidio di prevenzione che può segnare la vera svolta in questa pandemia.
 
Tuttavia, sono diversi gli interrogativi che emergono. A chi distribuire per primo il vaccino, viste le limitate disponibilità? Come raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale? La vaccinazione sarà facoltativa o dovrà essere obbligatoria?
 
Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui bisogna dare una risposta che richiede il coinvolgimento responsabile di tutti. Il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) ha redatto proprio un Parere sul tema, dal titolo “I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzionedi cui ieri è stata data notizia anche su questo giornale.
 
La riflessione etica preliminare è che il vaccino è un “bene comune”. La traduzione pratica di questo fondamentale principio – non un mero auspicio ma un impegno obbligante – si può realizzare attraverso una necessaria strategia di contenimento dei costi in accordo con altri paesi, anche prevedendo la sospensione dei brevetti sui vaccini per le prime fasi e la concessione di licenze obbligatorie tramite accordi internazionali. Ciò significa non vincolare produzione e distribuzione alle leggi di mercato ma rideclinare le politiche secondo una fattiva solidarietà. Imprescindibile, pertanto, l’impegno degli Stati e nello specifico dell’Unione europea. Il Cnb “ritiene indispensabile che le aziende farmaceutiche riconoscano la propria responsabilità sociale in questa grave condizione pandemica, anche considerato l’ingente contributo economico sostenuto dal pubblico.”  
 
L’interrogativo prevalente, almeno in questa prima fase di programmazione della campagna vaccinale, è sulla distribuzione dei vaccini. Evitare discriminazioni è obiettivo imprescindibile. Sotto il profilo etico e giuridico, la distribuzione deve avere come riferimenti l’uguale dignità di ogni essere umano e l’equità, come sancito dall’art.3 della Costituzione, che significa “garantire l’eguaglianza sostanziale quando si è di fronte a condizioni diseguali di partenza”. Eguaglianza non significa, però, assoluta parità di trattamento. Sotto l’aspetto legislativo si traduce in norme che consentano di trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse. Infatti, parificare ingiustificatamente situazioni obiettivamente differenti, significa creare discriminazioni per le persone che necessitano di una tutela specifica.
 
Ecco la necessità di escludere procedure che si fondano sulla “casualità” o sul criterio del “first come, first served” che agevolerebbe una discriminatoria distribuzione a favore di chi “ha più facilità di accesso ai vaccini, per ragioni logistiche o di possibilità di acquisire informazioni”.
Fermo restando il bilanciamento tra rischi (individuali e sociali connessi alla diffusione della pandemia) e benefici (individuali come l’immunizzazione della singola persona e sociali quale l’immunità di gregge), la distribuzione a singole fasce di cittadini richiede una modulazione secondo diversi criteri da prendere in considerazione. Tra questi, la dinamica epidemiologica e l’incidenza sulle diverse fasce della popolazione, la qualità e quantità di vaccino disponibile, le necessità dei territori. In sintesi, potremmo dire, coniugare etica clinica ed etica della salute pubblica. Una sfida non da poco che questa pandemia richiede in una diffusa precarietà.
 
Altro tema particolarmente complesso, con posizioni spesso contrapposte se non fortemente conflittuali, è sulla obbligatorietà o meno della vaccinazione anti Covid-19.
 
Una premessa è indispensabile: i vaccini sono una delle misure preventive più efficaci ed è necessaria l’immunità almeno nel 60-70% della popolazione per ridurre significativamente la diffusione della pandemia. Sul merito, la posizione assunta dal Cnb risponde al principio della gradualità favorendo, prima di tutto, il criterio dell’adesione consapevole. Infatti, “si ritiene eticamente doveroso che vengano fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale attraverso l’adesione consapevole. Nell’eventualità che perduri la gravità della situazione sanitaria e l’insostenibilità a lungo termine delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, il Comitato ritiene inoltre che – a fronte di un vaccino validato e approvato dalle autorità competenti – non vada esclusa l'obbligatorietà, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus. Il Cnb auspica che tale obbligo sia revocato qualora non sussista più un pericolo importante per la società e sia privilegiata e incoraggiata l’adesione spontanea da parte della popolazione.”
 
Il fondamento di questa posizione origina, sotto il profilo etico, dall’assunzione di una responsabilità individuale nonché da quella condivisa a livello sociale. Sotto il profilo giuridico, il richiamo è al secondo comma dell’art.32 della Costituzione: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
 
Tuttavia, si rilevano anche posizioni contrastanti e a favore, da subito, della obbligatorietà. Certo, i dati recentemente pubblicati dall’Università Cattolica di Milano sulla disponibilità a vaccinarsi volontariamente non sono incoraggianti: il 41% degli italiani non intende vaccinarsi contro Covid-19. Rimanendo in ambito giuridico, il richiamo è sempre in merito all’art.32 della Costituzione. In questo caso, l’argomentazione assunta è sull’ammissione dei trattamenti sanitari obbligatori purché decisi con legge e purché la legge rispetti la dignità delle persone.
 
Last but not the least. Un ruolo importante è svolto dall’informazione e da una comunicazione trasparente, chiara, comprensibile e coerente – basata su dati scientifici sempre aggiornati – per una consapevole adesione alla vaccinazione. Il rincorrersi in questi giorni di annunci vari, ancor prima delle autorizzazioni, non ha giocato a favore dei vaccini nell’opinione pubblica. In una travolgente infodemia, si avverte anche l’ineludibile bisogno, per il bene della comunità, di evidenziare disinformazioni e false informazioni. Nelle “camere dell’eco” delle fake news si distorcono evidenze scientifiche, si manipolano inconsapevolezze, si orientano emotività.
 
Lucio Romano
Medico chirurgo e docente universitario
Componente Comitato Nazionale per la Bioetica

02 dicembre 2020
© Riproduzione riservata

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