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Se il medico va in crisi. Pagati sempre di meno. Sommersi dalla burocrazia e con l'incubo degli avvocati in corsia. I perché e le soluzioni alla crisi professionale più difficile degli ultimi anni


Forum con i principali sindacati medici e i candidati alla guida della Fnomceo. Interventi di: Costantino Troise (Anaao Assomed), Riccardo Cassi (Cimo), Giacomo Milillo (Fimmg), Roberto Lala (Sumai), Massimo Cozza (Fp Cgil Medici), Biagio Papotto (Cisl Medici), Toti Amato e Roberta Chersevani (Fnomceo).

18 MAR - La loro busta paga “vale meno” di quella dei loro padri ma anche dei “fratelli” maggiori. Subissati dalle denunce dei pazienti. Preoccupati per le nuove norme sull’accesso al Ssn che potrebbero vedere nascer una nuova categoria di medici di serie B posti fuori dalla dirigenza. Umiliati dal blocco del contratto che dura da cinque anni. Stroncati dall’azzeramento del turn over. Beffati dal miraggio del “governo clinico” promesso da anni ma ormai nel dimenticatoio dei lavori parlamentari. E poi "l'assedio" delle altre professioni. Questo soprattutto per i dipendenti.
 
Per i convenzionati stessa umiliazione per una convenzione che forse si farà ma a costo zero e dallo spettro di una riforma delle cure primarie della quale dovrebbero essere protagonisti ma che stenta ancora a decollare.
 
Insomma il medico italiano è in crisi. Ma è possibile uscirne? E come? Lo abbiamo chiesto a: Costantino Troise (Anaao Assomed), Riccardo Cassi (Cimo), Giacomo Milillo (Fimmg), Roberto Lala (Sumai), Massimo Cozza (Fp Cgil Medici), Biagio Papotto (Cisl Medici), Toti Amato e Roberta Chersevani, i due candidati alla presidenza Fnomceo che si sfideranno alle prossime elezioni del 23 marzo.
 
Costantino Troise (Anaao): “Tra i medici c’è una crisi di ruolo, profonda e vera". Il medico è veramente crisi? Per il segretario nazionale dell’Anaao Assomed non ci sono dubbi: “Tra i medici c’è una crisi di ruolo, profonda e vera. I cui effetti però variano a seconda dello stato giuridico, del contesto lavorativo, delle Regione di appartenenza e della fascia di età. Ma nonostante non ci sia omogeneità negli effetti, gli elementi che costruiscono un quadro di crisi sono comuni a tutti e sono impattanti. Alcuni vengono da lontano, non sono quindi legati all’attuale crisi economica, altri se ne sono aggiunti, ma il risultato è la creazione di un mix che rende difficile individuare una via di uscita”.
 
Sul banco degli imputati, Troise mette in primis la perdita del ruolo sociale: “Una volta quella medica era una professione con un indubbio potere, anche mediatico, il medico era oggetto di una stima generale, addirittura investito quasi di un poter taumaturgico, aveva un certo peso nelle piccole collettività. Ora tutto questo non c’è più”. Ma non solo, la professione medica paga anche una perdita di “incisività” dal punto di vista politico. “Oggi la sanità non è un’emergenza - continua Troise - non c’è nessun partito disponibile a intraprendere una battaglia in favore del Ssn pubblico e dei suoi operatori. C’è attenzione alle questioni della sanità solo quando si tratta di utilizzarla come un bancomat del sistema”.
C’è poi il dato economico, il potere di acquisto dei pubblici dipendenti è diminuito, i redditi dei medici sono al palo e a questo si aggiunge una “irrilevanza delle organizzazioni mediche che contano poco o niente, sono considerate solo come fattori produttivi da controllare e non sono chiamate a concorrere alle decisioni, neanche a quelle cliniche di loro pertinenza”. Infine c’è una “sindrome da assedio” che sta contribuendo a mettere ancora di più in crisi il ruolo del medico: “In molti - ha aggiunto - si sentono assediati dalle altre professioni pronte a occupare gli spazi dei medici, anche perché costerebbero meno”.
 
Qual è allora la strada da intraprendere per uscire dalla crisi? Legare sempre di più i propri destini a quelli dei cittadini: “Il famoso diritto alla cura e il diritto a curare devono essere recuperati insieme”ha detto Troise. Ma bisogna anche creare un nuovo patto tra Stato e professione medica “per riconoscere il valore del lavoro che viene svolto in queste difficili condizioni e, di conseguenza, per costruire un modello organizzativo che riporti il medico al centro del sistema”.

Riccardo Cassi (Cimo): "Le condizioni di lavoro sono sempre più stressanti e manca un ricambio generazionale". Che la crisi del medico si ormai un fatto conclamato è una certezza anche per il presidente nazionale della Cimo. “Le condizioni di lavoro dei medici sono sempre più stressanti - ha ricordato - anche a causa del blocco del turn over. Non c’è ricambio generazionale. Il fenomeno della medicina difensiva è devastante. A questo si aggiunge l’aspetto economico: non c’è un rinnovo del contratto da cinque anni”.
 
Tuttavia, per Cassi, paradossalmente l’aspetto economico non è il punto nodale della crisi che attraversa la professione medica: “C’è una demotivazione del ruolo del medico causata anche dal blocco delle carriere e da un sistema degli incarichi che è in stallo. Anche la crescita di motivazione delle altre figure professionali, come ad esempio gli infermieri, non aiuta e mette in crisi le competenze dei medici, tant’è che in molti vivono il comma 566 come un’aggressione”.
Insomma, i medici si sentono “sbalestrati” e devono recuperare certezze. Ma i rischi più grandi li corrono le nuove generazioni di camici bianchi. “C’è tutta una classe di giovani medici - ha aggiunto Cassi - che vivono in uno stato di precariato senza avere la certezza di uno stipendio e di una pensione. Medici ancora più demotivati e senza prospettive per il futuro”.
 
Come uscire dall’impasse? Per Cassi, il Governo dovrebbe riportare la sanità ai primi posti della sua agenda: “Renzi punta a una buona scuola, ma la buona sanità sembra non interessare”. Comunque, il presidente della Cimo non perde il suo ottimismo: “Se arriverà rapidamente la riforma del Titolo V qualcosa potrebbe cambiare, anche perché attualmente, non si riesce ad avere un confronto con le Regioni e c’è un forte ingerenza della politica”. Bisognerebbe anche che i medici facessero la loro parte, “devono fare sentire le loro ragioni”. Ma anche i sindacati devono cambiare pelle: “Il modo di fare sindacato al quale ci siamo fin ora abituati non è più proponibile. Serve una maggiore unità. Di fronte ad un momento di crisi così profondo, i sindacati dovrebbero trovare una linea comune. E introdurre nelle proprie fila sempre più giovani”.

Toti Amato (Omceo Palermo): “Il medico è colpito da una perdita d'identità". “La perdita d’identità”. È questa per il presidente Omceo di Palermo e candidato in corsa alla guida della Fnomceo, la patologia che sta colpendo il mondo medico causando una profonda crisi della professione. Una patologia che colpisce medici in attività ed anche quelli in pensione che potrebbero continuare a trasmettere il loro sapere. “Il medico non sa più se deve essere manager o scribacchino - ha sottolineato - la sua vera funzione è stata snaturata, non ha più un reale governo clinico”. Ma sono soprattutto i giovani medici ad essere i più esposti: “Non hanno certezze sul futuro, non sanno cosa dovranno fare e cosa li aspetta. E su di loro pensa anche il tentativo di depenalizzazione l’abusivismo che potrà creare solo un’ulteriore confusione dei ruoli e maggiori incertezze sul futuro. Un problema serissimo”.
 
Dove affonda questa crisi della professione? Per Amato ci sono due aspetti che hanno profondamente contribuito: uno di carattere economico l’altro normativo. “Il blocco dei contratti e la mancanza di una progressione di carriera, per cui si entra nel mondo del lavoro in un modo e si finisce nello stesso modo, hanno tolto ogni stimolo al medico”. Ma quest’ultimo aspetto, al dunque, è meno incisivo: “L’aspetto economico può ridurre l’insoddisfazione ma non cancellarla.
Noi abbiamo soprattutto un problema normativo, il medico ha la qualifica di dirigente, ma, di fatto, non dirige assolutamente nulla. È per questo dobbiamo definire in via legislativa una volta per tutte l’atto medico, l’unico modo per recuperare l’identità della professione”.
 
Quali sono quindi le soluzioni? “Definire appunto con chiarezza la ‘medical action’, ossia l’agire del medico, per rivedere i modelli organizzativi della sanità. Come abbiamo sottolineato nel blog insieme.fnomceo.blog - ha spiegato Amato - la nostra priorità è arginare l’adagio che vede sminuito l’agire ed il ruolo del medico nel sistema di gestione della salute e nella società civile. Per questo dobbiamo intervenire fattivamente per lo sviluppo della professione, a partire dal percorso formativo dei medici, ed anche batterci per definire i profili di responsabilità penale e civile del medico”. In sostanza la parola d’ordine è riconquistare un reale governo clinico: “Il medico si assume responsabilità senza però avere realmente il potere di poterle gestire. Questo deve cambiare”. 
 
Roberta Chersevani, Omceo di Gorizia: “Sì i medici sono in crisi, lavoriamo per le giovani generazioni”. Per Roberta Chersevani, Presidente dell’Omceo di Gorizia e candidata alla presidenza della Fnomceo, è quasi pleonastico affermarlo dal momento che la stragrande maggioranza degli abitanti di questo Paese stanno vivendo problematiche economiche e sociali particolarmente serie, e da tanto tempo. Anche se ciò non toglie che bisogna comunque agire per sollevare i medici dal proprio disagio. Soprattutto occorre agire con determinazione per assicurare un futuro ai giovani medici che troppo spesso si trovano davanti tante porte chiuse. “Ci troviamo di fronte ad un evidente disagio della categoria medica – ha spiegato Chersevani – un disagio, da un punto di vista contrattuale, evidente poiché abbiamo contratti fermi da moltissimi anni. E questo è indiscutibilmente un peso.
 
Ma ci sono anche tantissime altre difficoltà che impattano pesantemente sulla vita lavorativa dei medici. Orari di lavoro in surplus non recuperabili, pensiamo al fenomeno del burnout che colpisce molti colleghi. Ci sono problemi del rapporto con il paziente. Ci sono anche difficoltà di aggiornamento. Un elenco lunghissimo. A questo – ha aggiunto – si sommano le criticità dei giovani medici: hanno entusiasmo da vendere, ma troppo spesso trovano nel nostro Paese tante, troppe, porte chiuse, e altrettante porte aperte all’estero”.
 
Come arginare quindi il disagio? Per la presidente dell’Omceo di Gorizia bisogna innanzitutto creare un rapporto più incisivo con l’Università per dare, realmente, una mano ai giovani, rivedendo, quindi, il percorso formativo dall’ingresso all’Università allo sviluppo professionale continuo: “Dobbiamo monitorare i bisogni delle nuove  generazioni di medici per individuare progetti, strumenti e servizi a  sostegno  del loro percorso professionale, prevedendo modelli, sviluppo di competenze  e  capacità  gestionali  nuovi  ed  adeguati  al cambiamento in atto”. E ancora, bisogna supportare il medico “nel rispetto del suo ruolo, delle sue funzioni e delle sue competenze e nel rapporto con le altre professioni sanitarie”.
E in quest’ottica la definizione dell'atto medico può essere un importante elemento di supporto. Anche i rapporti con l’Ordine vanno rivisti: “Se si riuscisse ad avere un maggiore potere di attrazione stringendo un patto forte con i medici si potrebbe migliorare la realtà ordinistica”.
 
Giacomo Milillo, segretario nazionale Fimmg: “Delusione e rassegnazione pronte a trasformarsi in rabbia”. Per il segretario dei medici di famiglia della Fimmg le ragioni della crisi della professione “partono dai tagli” che “sono una tragedia, che è stata per giunta mal gestita in passato con i tagli lineari”. E poi “c’è l’incapacità delle Regioni di formulare progetti organizzativi uniformi”. Milillo ricorda come le Regioni “in passato hanno tenuto bloccato il Patto per la Salute per tre anni per le risorse e ora, una volta sottoscritto, hanno rinunciato all’aumento del Fsn, alla faccia dei professionisti ma soprattutto dei cittadini. A volte mi chiedo se le risorse, invece che per erogare i Lea, non siano usate per mantenere apparati”.

Per quanto riguarda il comma 566 il leader Fimmg evidenzia che “non c’è un conflitto reale tra le professioni, come evidenziano anche i sondaggi. In ogni caso, al di la delle infelice espressioni usate per definire la questione, sono le Regioni che vogliono spostare la competenza regolamentare dallo Stato alle Regioni e creare conflitti tra le varie professioni. Nessun medico vuole impedire la crescita delle professioni sanitarie ma questo non può avvenire attraverso logiche da tecnocrati” basate sul minor costo ma, pure bassa qualità e sicurezza. Infine, il segretario dei medici di famiglia analizza il momento difficile anche dal punto di vista specifico della categoria. “C’è delusione e rassegnazione”. Tutti sentimenti che possono però “trasformarsi in rabbia in un qualsiasi momento. Soprattutto, e questa è una mia valutazione personale, se da parte delle Regioni ci sarà un nuovo boicottaggio dell’accordo sul rinnovo della convenzione”.  
 
Roberto Lala, segretario nazionale Sumai-Assoprof: “Il nostro senso di responsabilità ha un limite”. “Siamo veramente arrivati ad un punto di saturazione”, denuncia il leader degli specialisti ambulatoriali. “Quand’è che si metterà mano alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale?”.  E Lala si riferisce in special modo al rinnovo della convenzione. “È ferma da cinque anni, mentre sono tre che si sta lavorando alla nuova e le condizioni di lavoro nel frattempo sono peggiorate nonostante le promesse. Per nostro conto abbiamo accettato con sacrificio il fatto che il rinnovo delle convenzioni fosse a costo zero. Lo abbiamo fatto con senso responsabilità vista la situazione economica del Paese e perché prima di tutto c’è l’intenzione di migliorare il sistema e offrire al cittadino un servizio pubblico di assistenza territoriale specialistica di qualità. In questo periodo ci siamo dimostrati aperti al dialogo e pronti al cambiamento. Ora però le Istituzioni devono dare gambe alle intese e agli accordi. Il vaso è colmo”.
 
Per il segretario del Sumai c’è poi la questione delle relazioni con il paziente che si “sono deteriorate” e dove la politica si è “mostrata attiva sui media ma assente in quanto a misure concrete”. E poi c’è il precariato che per dimensioni e impatto fa “impressione”. E sempre guardando al futuro “è sotto gli occhi di tutti la situazione della formazione medica. Tra test sbagliati e programmi da riformare”.
 
Ma c’è pure il tasto delle nuove competenze delle professioni sanitarie. “Ci tacciano di conservatorismo. Ma io mi domando se veramente vogliamo una sanità in cui il ruolo del medico è depotenziato. Noi chiediamo di occuparci più di attività clinica e di abbandonare le scartoffie, mentre dagli ‘ambigui’ provvedimenti del Governo emerge uno scenario contrario e tutto improntato al minor costo ma pure alla minore qualità e sicurezza. Come possiamo essere d’accordo”.
 
Biagio Papotto, segretario generale Cisl Medici. "Servono interventi specifici per creare nuova occupazione".  "Bisogna innanzitutto sottolineare - esordisce -  che i medici sono falcidiati dal blocco del contratto, che ha determinato un’erosione del loro potere d’acquisto pari al 30%. Purtroppo questo governo non ha alcune intenzione di sedersi al tavolo delle trattative per il rinnovo e rifiuta categoricamente di stanziare le adeguate risorse. Nel complesso l’attuale esecutivo sta mostrando un atteggiamento mortificante verso la dirigenza medica e gli operatori della sanità. Nell’ultima legge di Stabilità non ci sono stati veri e propri tagli lineari, ma con i tagli alle Regioni automaticamente si sottraggono risorse alla sanità con evidente danno per i professionisti e per le prestazioni erogate".

Altro aspetto drammatico è legato al blocco del turn over. "Per 10mila medici che vanno i pensione - suggerisce - oggi servono 10mila medici che vengono assunti. In caso contrario, il Ssn sarà messo definitivamente in ginocchio. Non è infatti possibile garantire l’assistenza esclusivamente con i precari. Il Dpcm della Lorenzin sulle stabilizzazioni procede nella giusta direzione, ma da solo non è sufficiente".
E, soprattutto, ci vogliono ulteriori interventi per creare occupazione. "Per esempio sono necessari standard per il personale uniformi in tutto il Paese, azzerando le attuali disparità territoriali. Allo stesso tempo servono standard omogenei tra pubblico e privato accreditato, altrimenti si rischiano fattispecie di concorrenza sleale. Una norma prevede che chi è in pensione col Ssn non può in alcuna forma lavorare presso strutture pubbliche; lo stesso identico principio deve essere applicato al privato accreditato. Se così fosse, avremmo immediatamente 40mila posti di lavoro in più".

Le nuove norme di accesso al Ssn rischiano seriamente di creare medici di serie A e medici di serie B. "Il doppio accesso è inaccettabile - attacca -  e diventa pericolosissimo: la conseguenza sarebbe quella di perdere numerosi posti da dirigente a vantaggio di personale medico sottopagato". Ulteriore fardello che pesa sui medici è costituito dai contenziosi. "L’unica strada percorribile è eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale per l’atto medico. Soltanto così potremo snellire l’enorme mole di accertamenti dovuti alla paura di denunce. Il medico deve inoltre lavorare all’interno delle strutture coperto interamente da un’assicurazione aziendale. La malasanità - conclude -  non è causata dai professionisti: basti pensare che circa il 98% delle cause si risolve con un’assoluzione".
 
Massimo Cozza, segretario nazionale Fp-Cgil Medici. "Senza nuove risorse impossibile garantire miglioramento condizioni di lavoro". Il medico può uscire dalla crisi - osserva -  soltanto "rilanciando a 360 gradi il Ssn, non ragionando per compartimenti stagni. Il nodo principale attiene quindi alle risorse perché in assenza di esse è impossibile fornire adeguate risposte. Per esempio i medici convenzionati vengono abbandonati sul territorio e non sono supportati dagli adeguati investimenti, recidendo alla radice qualsiasi ipotesi di valorizzazione. Mancano quindi gli strumenti per costruire una vera alternativa all’ospedale".

"Il Paese - sottolinea con amarezza -  sta progressivamente disinvestendo nei servizi pubblici con ovvio detrimento per i lavoratori e per i servizi erogati ai cittadini. In questo tessuto si inserisce il mancato rinnovo del contratto fermo da anni: le conseguenze riguardano ovviamente il profilo economico, ma anche un peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro. Basti pensare agli orari che in Italia non rispettano in alcun modo i canoni europei. Un problema legato anche al fatto che dal 2009 sono venuti meno circa 5mila medici e non si intravede un piano concreto per una stima reale dei fabbisogni del personale necessario a garantire i Lea".

Per rilanciare quindi la figura del medico "è imprescindibile mettere fine alla stagione dei tagli, riaprire le trattative per il rinnovo dei contratti e costruire un ragionamento nuovo sugli orari. A ciò bisogna assolutamente legare - ragiona -  un rilancio della formazione di qualità e delle condizioni dei giovani, promuovendo concorsi nazionali trasparenti ed evitando che le nuove leve vengano utilizzate esclusivamente per coprire a basso costo i vuoti di organico. Voglio inoltre sottolineare come il doppio accesso rischi seriamente di mettere a repentaglio la tenuta del Ssn, creando due categorie difformi di professionisti".

Altra questione nodale riguarda il precariato "e purtroppo in questo senso - attacca -  il Dpcm sulle stabilizzazioni è largamente insufficiente e non risolve in alcun modo il tema del precariato e degli atipici. Risparmi importanti potrebbero arrivare costruendo un argine al fenomeno della medicina difensiva: è quindi impellente una revisione normativa di tutta la responsabilità professionale in sanità, anche perché la Legge Balduzzi non è stata assolutamente dirimente. Per il medico è infine fondamentale - conclude -  affrontare la sfida delle nuove competenze in sanità, non restando ancorato ai vecchi schemi ma riuscendo ad approfondire le differenti necessità assistenziali del cittadino rispettando sempre la chiarezza dei ruoli".
 
A cura di: Gennaro Barbieri, Luciano Fassari, Ester Maragò e Giovanni Rodriquez

18 marzo 2015
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