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Una “nuova idea” per la nostra Medicina. Gli otto assist di Allineare Sanità e Salute

di A.Donzelli, A.Nova, L.Ronchi, G.Fattori, P.Longoni, G.Mariani, L.Mascitelli, A.Nobili

Su QS del 29 marzo Cavicchi ha invitato anche la Fondazione Allineare Sanità e Salute a partecipare a una discussione sulla filosofia del movimento internazionale Choosing Wisely, ispirandosi alla quale Slow Medicine ha lanciato uno dei suoi progetti. Come Fondazione Allineare Sanità e Salute ringraziamo e volentieri rispondiamo all’appello. Dal ruolo delle linee guida alle criticità del pagamento a prestazione

05 APR - Ivan Cavicchi ha invitato da par suo anche la Fondazione Allineare Sanità e Salute a partecipare a una discussione, impegnativa, sulla filosofia del movimento internazionale Choosing Wisely, ispirandosi alla quale Slow Medicine ha lanciato uno dei suoi progetti: la versione italiana “Fare di più non significa fare meglio”. Cavicchi ha anche invitato a “tirar fuori una nuova idea” per una riforma della nostra Medicina. Come Fondazione Allineare Sanità e Salute ringraziamo e volentieri rispondiamo all’appello, concentrandoci sui punti che riteniamo ora prioritari e decisivi per il nostro sistema sanitario.
 
A Slow Medicine, di cui siamo partner e con cui condividiamo lo spirito e gran parte delle idee forza, la nostra Fondazione ritiene di offrire un valore aggiunto, in spirito di collaborazione e per accrescerne le potenzialità. La proposta strategica di uno dei progetti di Slow Medicine, quello che si ispira a Choosing Wisely, è di chiedere ai medici, insieme agli infermieri e agli altri professionisti sanitari, un’assunzione di responsabilità, per individuare gli esami e i trattamenti effettuati in eccesso (non “inutili e da vietare”, bensì a volte utili, ma spesso prescritti in modo esagerato e improprio). L’invito è rivolto anzitutto alle rispettive Società scientifiche, e queste ad oggi hanno aderito a decine, pubblicando ciascuna una lista di 5 pratiche a rischio di inappropriatezza, per un totale finora di 145 pratiche, su cui i sanitari che fanno riferimento a ciascuna disciplina sono invitati a riflettere ogni volta e a parlare con i propri pazienti.

Uno dei punti di forza di questa strategia è di fare appello a grandi determinanti della motivazione degli esseri umani in genere, e dei sanitari in particolare, su cui occorre soffermarsi. Un modello utile per rappresentare graficamente i comuni determinanti di motivazione e comportamenti è la Piramide di Maslow (1973), che ordina i principali “bisogni alla base della motivazione” in una gerarchia di prepotenza relativa decrescente, dalla base verso il vertice. Il riadattamento interpretativo della teoria e dell’immagine di questa piramide (si veda la 1a slide dell’allegato; le altre saranno via via indicate al momento opportuno) aiuta a chiarire il ragionamento che svilupperemo.

La teoria esplicativa di Maslow, concepita per gli individui, ma con possibili interessanti applicazioni anche a “comportamenti di organizzazioni”, specie quando queste abbiano forti componenti professionali con alto grado di autonomia clinica, indica quanto segue.

La prepotenza relativa di interessi posti sul 2° gradone (sicurezza, ad esempio, di avere un lavoro garantito e ben remunerato, o che l’organizzazione che ci dà lavoro non sia sottoposta a minacce che mettano in pericolo la nostra sicurezza) o sul 3° gradone (ad esempio appartenenza a una categoria professionale, a una disciplina scientifica, a un paradigma culturale dominante; con il correlato timore di esclusione/riprovazione sociale se si percorrono strade diverse da quelle che la maggioranza dei simili percorre) può essere superiore a quella di interessi posti in gradoni più alti. Ad esempio di quelli posti sul 4° gradone, che comprende sia la stima attribuitaci dagli altri, sia il bisogno di autostima e integrità, e quello di essere utile e necessario nel mondo, che si può ricondurre all’etica (NB: gli interessi posti sul 5° gradone, dell’autorealizzazione, possono talvolta dominare i livelli inferiori, ma solo una parte degli esseri umani ha il privilegio di accedervi).

Ciò implica che un conflitto, ad esempio, tra interessi economici ed etica potrebbe non risolversi a favore della seconda, per quanto vi sia riluttanza a fare questa ammissione, anche di fronte alla constatazione di fatti. In effetti, il processo attraverso il quale si mette la sordina all’etica, sottomettendola di fatto ad altri interessi, è spesso inconsapevole, per consentire a chi compie questa operazione di conservare un sufficiente senso di integrità. Questo processo in Sanità è favorito dalla disponibilità di una grande pluralità di «linee guida», che sarebbe ingenuo considerare solo frutto di un differente grado di conoscenze metodologiche e scientifiche dei diversi team di estensori. Molte differenze si spiegano meglio se si guarda a diverse linee guida anche come il prodotto di specifici interessi e, per chi vi fa riferimento, come mezzo volto a giustificare/legittimare il perseguimento di proprie convenienze, senza entrare in conflitto con il proprio bisogno di (auto)stima (Donzelli, Sghedoni. Le linee guida cliniche tra conoscenze, etica e interessi. Ed. Franco Angeli, 1998).

È stato dimostrato in maniera convincente che i comportamenti degli operatori sanitari, come quelli degli altri esseri umani, non sono anzitutto determinati dalle finalità espresse nei primi articoli delle leggi o dagli obiettivi enunciati dalla normativa, ma - in larga misura - dal sistema premiante (inteso in senso lato, fino a comprendere almeno i tre gradini centrali della piramide di Maslow) connesso ai comportamenti stessi (Articolo-base Mecosan 2004). Solo se il sistema premiante è coerente con gli obiettivi dichiarati questi saranno davvero perseguiti.

Dato che il sistema di pagamento di un professionista è fra i costituenti maggiori del suo sistema premiante, ne deriva che la sua coerenza con gli obiettivi desiderati per quel professionista è decisiva. Lo stesso è ragionevole pensare del sistema di finanziamento di un’Organizzazione rispetto agli obiettivi desiderati dalla Società, e della coerenza fra convenienze-obiettivi di un’Organizzazione e convenienze-obiettivi di chi vi lavora e contribuisce ai risultati dell’Organizzazione stessa.

Se si vuole che i diversi attori che compongono un Sistema sanitario pubblico perseguano i suoi obiettivi fondamentali, è necessario l’allineamento del sistema premiante (interessi) degli attori con gli obiettivi del Sistema sanitario. Tale allineamento di interessi non è di certo l’unica modalità di intervento (si pensi, ad esempio, al ruolo della programmazione, o della formazione) e non si esaurisce certo con una ridefinizione del sistema di remunerazione, ma deve di necessità contemplare anche questo intervento, che oltretutto è modellabile con decisioni interne al Sistema sanitario.

Se gli "architetti di sistema" non ne sono abbastanza consapevoli, e disegnano un sistema premiante che divarica le convenienze (economiche, ma anche di appartenenza e stima) degli attori principali in sanità rispetto agli obiettivi fondamentali di un Servizio sanitario pubblico (efficacia netta nel produrre salute, buon rapporto costo-efficacia, soddisfazione dei cittadini/assistiti rispetto al Sistema Sanitario e ai servizi fruiti), che ne giustificano l’esistenza a carico della collettività, il Sistema non riuscirà a ottenere i risultati che si dichiara di voler raggiungere.

Questo è uno dei principali problemi di molti Sistemi sanitari, che non si risolve solo con l’uso di avanzate tecniche manageriali e con un più importante impegno formativo, come troppe proposte si limitano a prevedere, ma richiede anche di sanare la contraddizione strutturale di base.

Questa lunga premessa ci consente di tornare alla proposta strategica di Choosing Wisely e ai suoi limiti, evidenziati dalla prima verifica pratica su larga scala. L’analisi USA a livello di popolazione delle prime 7 pratiche di low value indicate dalle Società scientifiche aderenti a Choosing Wisely, ha dimostrato che le raccomandazioni erano note ai professionisti, ma che l’impatto netto in termini di cambiamento è stato nullo. Le spiegazioni da noi attribuite a questi risultati deludenti (disponibile nei prossimi giorni in JAMA April 5-12, 2016), oltre alla formulazione ambigua e inadeguata di alcune raccomandazioni (come accade anche in alcune liste italiane), sono da ricondurre all’assenza di convenienza dei professionisti ad adottare le raccomandazioni, e non di rado a convenienze opposte. In pratica, se potenti interessi strutturali vanno in altra direzione, questi risultano in grado di neutralizzare spinte culturali di tipo scientifico ed etico (scienza e coscienza). È ora di prenderne atto.

Anche il progetto “Fare di più non significa fare meglio” di Slow Medicine agisce su determinanti reali dei comportamenti professionali: la responsabilizzazione/etica e il senso di appartenenza a una disciplina/Società scientifica che indica pubblicamente alcune pratiche da cui disinvestire. Ma spesso queste motivazioni non bastano, se i gradoni dell’etica e dell’appartenenza entrano in conflitto con gradoni più basali, come accade con gli attuali modelli di remunerazione degli attori in Sanità, su cui torneremo tra poco. In caso di conflitto, in genere prevalgono gli interessi dei gradoni più basali.

Ci si consenta qui di osservare che le strategie di Choosing Wisely e di “Fare di più…” presentano altre criticità, analizzate nel testo pubblicato in occasione della 10a Conferenza Nazionale GIMBE (Relazioni →Abstract book n. 60, allegato in pdf). Per ciascuna criticità la Fondazione Allineare Sanità ha proposto altrettanti antidoti, che auspica di esaminare con Slow Medicine in un confronto costruttivo.

Ma ritorniamo al cuore dell’idea riformatrice della Fondazione Allineare Sanità e Salute, che proviamo a esprimere in otto punti.

1) I comportamenti degli operatori sanitari non sono determinati solo da conoscenze scientifiche (scienza) ed etica (coscienza). I sanitari non sono così diversi dagli altri esseri umani da non essere fortemente influenzati anche da un terzo grande determinante: le convenienze o interessi, cioè quello che in economia si usa chiamare in senso lato “sistema premiante”. Questo include sia il modo in cui gli operatori sanitari sono remunerati, compresi incentivi/disincentivi finanziari, ma anche incentivi di carriera, accademici, potere, fama, prestigio…
Dato che il sistema di pagamento di un professionista e quello di remunerazione/finanziamento dell'Organizzazione che gli dà lavoro sono fra i costituenti maggiori di un “sistema premiante”, cioè degli interessi/convenienze di ogni professionista e di ogni Organizzazione, ne deriva che la coerenza di questi sistemi di pagamento/finanziamento con gli obiettivi desiderati dal Sistema sanitario e dalla Società è decisiva per far sì che tali obiettivi siano davvero perseguiti.
 
Gli obiettivi fondamentali di un Sistema Sanitario Pubblico universalistico si potrebbero a nostro avviso così sintetizzare:
- ottimizzazione della produzione di salute (efficacia netta, detratti gli effetti avversi degli interventi), liberazione dal dolore e rassicurazione, per i singoli e la comunità dei cittadini,
- soddisfazione dei cittadini/assistiti rispetto al Sistema Sanitario e ai servizi fruiti,
- equilibrio economico/sostenibilità del sistema sanitario da parte della Società e di tutti i suoi membri, compresi quelli più socio-economicamente svantaggiati.
 
Se si vuole che questi obiettivi siano perseguiti, è necessario allineare ad essi il sistema premiante (gli interessi/convenienze, a partire da quelli basali) degli attori del Sistema Sanitario.
Gli "architetti di sistema" non sono stati finora abbastanza consapevoli di questa necessità imprescindibile e hanno disegnato un sistema premiante che divarica le convenienze degli attori principali in sanità rispetto agli obiettivi fondamentali di un Servizio Sanitario Pubblico. Non dovrebbe stupire, quindi, che il Sistema non riesca a ottenere i risultati che dichiara di voler raggiungere. Purtroppo il problema sta diventando globale.

2) Come si può sperare di far lavorare per la salute chi è pagato per (ha interessi allineati al)la malattia?
Il sistema di remunerazione a prestazione degli erogatori, esteso con il DL.vo 502/92 (che lo ha sostituito ad altri sistemi, disfunzionali per altri versi), presenta un grave problema strutturale quando è applicato in sanità. Infatti un limite strutturale per il "mercato" in sanità è l'insufficiente informazione del consumatore, che non gli consente di adottare le scelte più razionali nell'acquistare i servizi e le prestazioni più utili alla sua salute. Ciò vale anche per un acquirente più esperto (ASL/AUSL), che in molti casi non sa quale sia la risposta ottimale per grandi tipologie di problemi sanitari, e a maggior ragione spesso non può sapere cosa realmente serve in una specifica situazione clinica.

Molte linee-guida/LG (di questo forse l’amico Cavicchi non è abbastanza consapevole) rispecchiano più gli interessi degli erogatori che le hanno prodotte e dei produttori che le sponsorizzano che quelli della salute della comunità dei cittadini, e sembrano concepite per condizionare i comportamenti dei sanitari a favore degli interessi di chi produce ed eroga tecnologie. Molti rituali riferimenti all’evidence, a forza e livelli di prove sono finzioni, ad uso di chi è disposto a bersele senza approfondire, o si limita ad applicare solo check-list metodologiche formali, senza verifiche di sostanza, o a volte anche solo di buon senso.

Ma anche dove LG valide su interventi efficaci e costo-efficaci siano ben definite, vi è spesso l'impossibilità strutturale da parte di un controllore esterno, per quanto qualificato, di verificare l'appropriatezza (cioè l’intervento giusto alla persona giusta) dell'applicazione di una LG a un caso clinico.
Ciò spiega l’"assoluta libertà dei medici pagati a prestazione, se lo vogliono, di incoraggiare la domanda di servizi ... i medici sono in grado di attutire l'impatto di una riduzione tariffaria aumentando la quantità dei servizi forniti e modificandone la composizione, per mantenere il livello di reddito desiderato ... (Saltman et al. Quaderni SP OMS, 1998).

La remunerazione a prestazione (in risposta a una malattia), come pure il disease management dei professionisti (e il finanziamento di loro Organizzazioni a DRG, sia ospedalieri che “di territorio”, sotto varie sigle) si può descrivere in sintesi come un sistema che paga la malattia.

Con il finanziamento a prestazione di Strutture erogatrici e singoli professionisti, il disaccoppiamento tra gli obiettivi di salute attribuiti a parole e il sistema premiante operante nei fatti diventa sempre più grave, man mano che gli attori comprendono cos'è che fa aumentare il finanziamento per la propria Azienda, o Dipartimento/Unità Operativa, e in definitiva la convenienza per ciascuno di loro. Tale profonda divaricazione tra obiettivi di salute proclamati e interessi reali alla malattia di chi eroga prestazioni sanitarie sta alla base di fenomeni come il disease mongering, che ha suscitato un vasto quanto (finora) poco concludente dibattito internazionale.

Per frenare gli effetti distorsivi di tale sistema di remunerazione sul comportamento erogativo si sono messi in piedi sistemi di controllo sanitario e amministrativo sempre più costosi, che consumano una quota crescente delle risorse del sistema senza tuttavia produrre salute, ma solo per controllare/contenere i guasti, assunti come inevitabili, di un modello intrinsecamente conflittuale.

Si noti che negli USA, dove tale modello predomina, la spesa amministrativa e di controllo è ormai salita a più del 25% della spesa sanitaria totale (Himmelstein DU et al, Health Affairs 2014), che è anche la più alta nel mondo. Ciò nonostante gli USA hanno risultati molto insoddisfacenti dal punto di vista dell'efficacia complessiva, dell'efficienza (rapporto efficacia/costi - OECD Health Data 2015) e della soddisfazione di cittadini e medici.

La crescente percezione degli aspetti negativi di tale sistema anche nell'indurre una gran quantità di prestazioni inutili o nel complesso dannose legittima lo sforzo di considerare anche nuove strade e nuovi paradigmi per finanziare e remunerare i principali attori in Sanità (www.allinearesanitaesalute.org).

3) La stima dell’OMS, ripresa da Slow Medicine, che il 20%-40% della spesa sanitaria sia costituita da sprechi e prestazioni non necessarie (WHO 2010), sembra più che verosimile anche per l’Italia. Il sovrautilizzo di interventi inefficaci e inappropriati e l’acquisto di tecnologie più costose di quanto si potrebbe a pari efficacia figurano ai primi posti nella stima degli sprechi. Tuttavia non si può pensare che gli attori in Sanità si impegnino realmente a contrastarli e a costruire salute se, per come oggi sono retribuiti, ciò significherebbe perdere ricavi e guadagni.
 
4) Ciò non significa che la maggior parte degli attori in Sanità ne sia lucidamente consapevole. Infatti l’industria produttrice di farmaci, tecnologie diagnostiche, dispositivi sanitari riesce a influenzare ricerca, valutazioni di sicurezza e costo-efficacia, LG cliniche, educazione medica continua, tanto che la maggior parte dei professionisti pensa realmente di servire i migliori interessi dei pazienti con le prescrizioni e le prestazioni oggi erogate.

5) Gran parte delle LG internazionali è elaborata da gruppi di lavoro in cui la maggioranza dei membri ha conflitti di interesse e relazioni finanziarie con produttori di tecnologie implicate. La situazione italiana non è migliore: si veda l’assenza di trasparenza delle Società scientifiche ostetrico-ginecologiche (http://bit.ly/1XbF3y2), o un’indagine svolta da autori italiani nel 2014 sui siti web delle Società professionali mediche e sui loro conflitti d’interesse nei loro rapporti con l’industria (BMJ Open, in press). In sintesi, solo il 4,6% dei 131 siti web consultabili pubblica un codice etico che affronta le relazioni con l’industria e solo il 6,1% dei siti mostra un rapporto finanziario annuale. E le Società scientifiche di questi sottogruppi non hanno affatto meno conflitti d’interesse delle altre quanto a relazioni con l’industria (in base agli indicatori “sponsorship industriale all’ultima conferenza”, o “sponsorship privata di simposi satelliti”, o “presenza di loghi di produttori sui siti web”), anzi è vero il contrario, in tendenza, o talora con differenze significative.

Se anche le Società scientifiche italiane si affrettassero a rimediare formalmente a questa clamorosa mancanza di trasparenza e a queste contraddizioni, resterebbe comunque il problema strutturale: gli interessi degli specialisti di una disciplina li portano in modo oggettivo a enfatizzare le proprie prestazioni, per come essi sono pagati e incentivati sul lavoro e in libera professione, per carriera, potere, prestigio…

Tali elementi "strutturali" possono operare anche dove appaiano nella forma rispettati (gran parte de)i pur importanti criteri della Checklist AGREE II, o degli standard G-I-N, per non parlare dei criteri IOM (Institute of Medicine USA), che dubitiamo siano integralmente rispettati da alcuna LG italiana!
Ovviamente le Società scientifiche devono partecipare al processo di costruzione delle LG per i sanitari, ma non dovrebbero essere le uniche né le prime responsabili. In pratica la definizione di raccomandazioni/LG/percorsi Preventivi-Diagnostico-Terapeutico-Assistenziali rivolti (in modo non vincolante, nel rispetto dell’autonomia finale del clinico) ai professionisti sanitari di un territorio dovrebbe coinvolgere anche le rappresentanze delle discipline specialistiche, della Medicina Generale, degli Ordini. Ma le articolazioni del SSN dovrebbero sedere dall’inizio agli stessi tavoli, con funzioni di coordinamento e con proprie rappresentanze tecnico-scientifiche (e adeguata partecipazione di esperti privi di conflitti d’interesse), con capacità di entrar nel merito delle valutazioni comparative di efficacia e di costo-efficacia degli interventi, per tutelare gli interessi complessivi della comunità di riferimento. Infine, prima dell'adozione formale, le bozze di raccomandazioni andrebbero aperte ai contributi/commenti pubblici della comunità scientifica e delle espressioni organizzate dei cittadini, come proposto da un appello alla Ministra della Salute e ai Parlamentari, corredato da 10 concreti esempi della distanza tra raccomandazioni/LG di famose Società scientifiche e prove realmente disponibili.

6) Con il “Decreto Appropriatezza” la Ministra Lorenzin ha commesso certamente errori di metodo, rimarcati tra gli altri su QS da Slow Medicine e da molti altri, e alcuni correggibili errori di contenuto, ma non si può certo negare che esistano gravi problemi di appropriatezza in quanto oggi i medici prescrivono ed erogano. Inoltre – dopo tanto denunciare la pratica dei tagli lineari - va riconosciuto alla Ministra di aver provato a entrar nel merito e di aver fatto aprire una discussione che Sindacati medici e Società scientifiche non avevano finora affrontato seriamente. Se gli esperti cui il Ministero si è affidato non sono certo sufficienti ad affrontare un compito simile, per quanto espresso al punto precedente sarebbe una sbandata ancor più grave affidare tutto per legge alle Società scientifiche, escludendo al tempo stesso tutti gli altri attori!.
 
7) Le rappresentanze mediche avrebbero più motivi di mostrarsi offese per gli interventi delle Autorità sanitarie se avessero finora dato prova di efficace autogoverno e di offrire al Governo e al Paese, per quanto di competenza, una credibile lotta agli sprechi clinici (consumismo sanitario, medicalizzazione dei sani, screening non raccomandati…), oltre a ricercare in modo sistematico le soluzioni più costo efficaci, attuare una capillare educazione alla salute e promuovere l’empowerment degli assistiti…. Alla richiesta delle categorie di ritirare il decreto deve corrispondere un impegno credibile a lavorare insieme ad altre competenze e ai rappresentanti della sanità pubblica, e a non tirare avanti come finora è stato, salvo molto gridare agli sprechi altrui. O salvo rivendicare un’autonomia che si proclama strategicamente risolutiva, senza però indicare serie misure di lotta agli sprechi clinici che parta dalla propria disciplina (con la parziale eccezione del processo attivato da Slow Medicine, con i limiti strategici cui si è fatto cenno, e di pochi altri).
 
8) Siamo comunque convinti che anche gli impegni auspicati al punto precedente non sarebbero risolutivi senza una riforma strutturale che renda conveniente la Salute per la maggior parte degli attori in Sanità (vedi i punti 1 e 2). 
 
Vogliamo infine raccogliere l’appello di Cavicchi a chi “sta dalla stessa parte”, perché “si faccia una festa in cui portare idee, scoperte, ricerche e riflessioni sulle proprie sconfitte”. Per questo la Fondazione Allineare Sanità e Salute, insieme a SMI nazionale, invita a una giornata di lavoro il 18 giugno, all’Università Statale di Milano (seguirà programma dettagliato), per discutere in modo costruttivo della nostra proposta riformatrice: un modello di finanziamento delle Organizzazioni e di remunerazione degli attori in Sanità che allinei le loro convenienze alla Salute. Tale proposta è molto adatta ai Medici di famiglia, ma è stata declinata anche per tante altre tipologie di attori, e attende di essere perfezionata e validata in sperimentazioni da attuare in almeno due Aziende Sanitarie, in Regioni disponibili a sostenerle, con una seria misurazione dei risultati ottenuti, prima di procedere a possibili estensioni.

Per favorire una discussione in proposito e fare del 18 giugno un’occasione di avanzamento, suggeriamo di prender visione dei materiali illustrativi e delle proposte già formulate nel Convegno interuniversitario del 20-9-2014 su un “Modello che allinei alla salute le convenienze degli attori in Sanità”.

Per la Fondazione Allineare Sanità e Salute: 
il Consiglio direttivo: Alberto Donzelli, Alberto Nova, Luisa Ronchi
per il Comitato Scientifico: Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Alessandro Nobili

05 aprile 2016
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