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Specializzazioni. Oliveti (Enpam): “Servono più medici e più lavoro per salvare il Ssn”

di Alberto Oliveti (presidente Enpam)

Se verranno a mancare nei prossimi anni, causa pensionamento, i medici sul territorio – le cosiddette cure primarie del medico di famiglia – l’effetto sulla medicina pubblica e sull’ospedale sarà incompatibile con la tenuta di un Servizio sanitario nazionale, che già oggi in tempo di crisi economica appare sempre meno universale, equo e solidale

04 SET - La scorsa settimana è scaduto il termine per fare domanda di accesso ai corsi di formazione in medicina generale, che permettono ai neo dottori di diventare medici di famiglia. I posti a disposizione per il triennio 2017-2020 sono poco meno di 1100 (1095), qualcuno in più rispetto all’anno scorso, meno della metà di quanti ne servirebbero per mantenere nei prossimi anni l’attuale contingente di medici di medicina generale, a fronte dei pensionamenti attesi, e continuare a garantire a tutti gli italiani l’accesso gratuito a un curante di fiducia.

Invece il bando per l’ammissione alle scuole di specializzazione in Medicina e chirurgia non è stato ancora pubblicato. Tra rimbalzi di responsabilità, l’attesa per il documento si prolunga da fine maggio, tant’è che i camici bianchi che ambiscono a guadagnarsi uno dei circa 7000 posti (scarsi) in lizza quest’anno, lo hanno definito con amara ironia il “concorso fantasma” (così come nella lettera di una dottoressa, comparsa qualche settimana fa su Repubblica).

COMPITI E RESPONSABILITÀ
Si dice ad ognuno il suo. Proviamo a partire da questo per delineare quali sono le responsabilità e il compito dei vari attori del nostro Servizio sanitario nazionale, per provare in poche righe a sottolineare la questione principale che come cassa di previdenza di medici e dentisti ci interessa: il lavoro. È questo l’elemento fondamentale perché i conti tengano anche in futuro e affinché i giovani abbiano convenienza a partecipare al sistema, qui in Italia, così come questa convenienza finora l’ha avuta chi oggi è al lavoro o si è pensionato.

Al ministero della Salute – insieme alle Regioni, al ministero dell’Università e agli atenei – spetta il compito di costituire l’adeguata “dotazione medica” commisurata ai bisogni dei cittadini e necessaria al nostro Servizio sanitario nazionale per garantire una tutela della salute appropriata.

Gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri hanno il compito prioritario di garantire al cittadino la qualità dell’esercizio professionale. Alle Società scientifiche delle professioni spetta la definizione e l’aggiornamento dei modelli operativi conformi alle evidenze del metodo scientifico. I sindacati professionali hanno il compito di tutelare il lavoratore iscritto partendo dalla corretta definizione contrattuale della funzione, delle attività e dei compiti del suo lavoro. Alla Cassa di previdenza spetta il compito di finanziare con il flusso di contributi le prestazioni pensionistiche e assistenziali dei suoi iscritti.

IL LAVORO AL CENTRO
Al centro di questo sistema di interessi – che vanno costantemente allineati – deve esserci il lavoro, in questo caso la buona pratica medica. Del resto il nostro Paese ha una Costituzione fondata sull’effettività del diritto al lavoro e sull’interesse collettivo alla salute.

A sua volta il Servizio sanitario nazionale, fonte primaria di contributi per la Cassa di previdenza, funziona se le sue articolazioni fondamentali (l’ospedale, la medicina pubblica e le cure sul territorio) sono in correlazione armonica tra loro. Se ciò non avviene si generano maggiori costi, sprechi e inefficacia, attraverso la duplicazione di prestazioni inutili, e si determinano anche buchi assistenziali a cui nessuno provvede. Proprio questa disarmonia è uno dei problemi del nostro Servizio sanitario nazionale, forse il principale insieme alla corruzione.

URGONO SCELTE TEMPESTIVE E LUNGIMIRANTI
Per far fronte ai problemi del Ssn, si ipotizzano modelli alternativi di sanità integrativa o sostitutiva che, efficaci o meno, di fatto sottrarrebbero ulteriori risorse economiche e professionali al sistema pubblico. In ogni caso adottare questi modelli sancirebbe la fine del progetto storico della riforma sanitaria del 1978 che stabilì l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla malattia grazie al pagamento di tasse progressive.

Se verranno a mancare nei prossimi anni, causa pensionamento, i medici sul territorio – le cosiddette cure primarie del medico di famiglia – l’effetto sulla medicina pubblica e sull’ospedale sarà incompatibile con la tenuta di un Servizio sanitario nazionale, che già oggi in tempo di crisi economica appare sempre meno universale, equo e solidale. Questo è il problema prioritario da affrontare con una politica ministeriale e regionale di scelte tempestive e lungimiranti, di cui la Fondazione Enpam si fa propugnatrice e, se del caso, sostenitrice.

Nell’immediato occorre rinnovare gli accordi convenzionali, favorendo l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro a fronte di una flessibilità in uscita dei pensionandi, auspicando l’arrivo negli ambulatori di personale socio sanitario e un accesso prioritario alla tecnologia strumentale e informatica, cominciando dalla piena implementazione della sanità elettronica.

In una prospettiva strategica, bisogna rendere più appetibile la professione di medico di famiglia, insegnandone i fondamenti nel corso di laurea, garantendo un adeguato training operativo durante la fase formativa, collegando più strettamente la laurea accademica con l’abilitazione professionale, definendone con una scuola di specializzazione la sua caratteristica peculiare e programmando un numero congruo di borse di studio. Se non ora, quando?

Alberto Oliveti
Presidente Enpam, ente di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri


04 settembre 2017
© Riproduzione riservata

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