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Liste d’attesa. La proposta di Palermo (Anaao): “Usare incassi intramoenia di Stato e Regioni per finanziare nuove assunzioni”

di Carlo Palermo

Continua il trend in diminuzione per l'attività intramoenia già iniziato dal 2010. Non è questa la causa delle liste d'attesa. Perché non utilizzare quanto Stato e Regioni incassano ogni anno dalla Lpi, oltre 600 mln, e quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2019, 350 mln, per finanziare un ampio e duraturo programma di riduzione delle attese attraverso un incremento delle assunzioni e dell’utilizzo orario degli ambulatori specialistici, delle attrezzature tecnologiche e delle sale operatorie?

01 MAR - I dati sulla libera professione intramoenia (LPI) dei medici dipendenti del Ssn, recentemente pubblicati (Relazione del Ministero della Salute al Parlamento, 2019) e riferiti al 2016, hanno il grande merito di fare piazza pulita delle tante leggende metropolitane messe artatamente in giro al solo scopo di impedire a medici dotati di elevate conoscenze professionali e sofisticate capacità tecniche di stare su un mercato, quello della spesa ”out of pocket” in campo sanitario, che evidentemente qualcuno vuole riservare solo al privato, “puro” o “sociale” esso sia.
 
L’analisi della serie storica dei ricavi complessivi della LPI, conferma  il trend in diminuzione a decorrere dal 2010. I ricavi per questa tipologia di prestazioni  passano ,infatti, da 1,264 miliardi di € del 2010 a 1,120 miliardi  del 2016 (- 12%) corrispondenti  ad una spesa pro-capite, calcolata sulla popolazione residente,   di 21 €/anno per il 2010 e di 18,5  nel 2016.
 
La crisi economica che ha attanagliato dal 2009 il nostro Paese  ha progressivamente eroso  il mercato della LPI, che solo nel 2016 ha registrato una lievissima inversione di tendenza (+ 2 milioni di introiti rispetto al 2015). Anche la gestione approssimativa da parte delle aziende sanitarie con gli incrementi ingiustificati dei costi sostenuti,  gli oneri aggiuntivi previsti dalla Legge Balduzzi, la tassazione Irpef elevata, l’Irap scaricata sul cittadino e , come se tutto ciò non bastasse, la tassazione imposta da alcune regioni per recuperare quota parte del  mancato gettito derivante dalla  abolizione dei ticket sulla specialistica, ha prodotto un mix che tende a  portare  fuori mercato la LPI rendendola non competitiva rispetto all’offerta del privato orientata sempre di più verso il low cost.
 
Eppure stiamo parlando di un settore che  rappresenta un valore aggiunto per le aziende sanitarie che  traggono dalla LPI una non trascurabile fonte di finanziamento in tempi di vacche magre. A dispetto della crisi economica, la quota incassata dalle aziende è passata da 164 milioni di € nel 2010 a  239 milioni nel 2016 (+ 32%). Sulla parte rimanente, 881 milioni di €,  versata dalle aziende ai professionisti , con ritardi che spesso superano i 6 mesi, lo Stato incassa per la tassazione Irpef  circa 380 milioni di €. In sintesi ,questa vituperata attività alimenta i flussi di cassa aziendali con denaro fresco, contribuisce  all’ammortamento degli investimenti effettuati attraverso un maggiore utilizzo  delle strutture e delle tecnologie, anche con orari prolungati serali, determina  utili aziendali e una imposizione fiscale certa.
 
Ci si aspetterebbe ,pertanto, una agevolazione  attraverso processi di sburocratizzazione,  di riduzione dei costi generali  e vantaggi fiscali come la flat tax concessa al lavoro  privato ed a quello pubblico nella scuola. Così non è. E molti medici ospedalieri oggi cominciano a preferire il rapporto di lavoro non esclusivo per la ridotta imposizione fiscale  sui proventi annuali  fino a 65.000 € (15% invece del 43% di chi lavora in esclusiva per il SSN), che potrebbe compensare la rinuncia  ad una indennità di esclusività svilita nei suoi valori economici fermi all’anno 2000.
 
Quanto  alla vexata questio del presunto rapporto negativo tra LPI e liste di attese, che tanto contribuisce alla criminalizzazione dell’istituto, giova  ricordare i numeri. I ricoveri in regime di libera professione sono stati nel 2016 circa 27.600 a fronte di 8.285.000 in regime ordinario o di day hospital, pari allo 0,33% di tutti i ricoveri in strutture pubbliche nel 2016. Per quanti sforzi mentali si  possano fare, non si capisce come un numero così piccolo possa influenzare le lunghe attese presenti nel nostro sistema sanitario,  per esempio in tutta la chirurgia di bassa complessità o per l’impianto di protesi in campo ortopedico.
 
Nella analisi del fenomeno delle liste di attese si continua a trascurare, anche da parte di dotti economisti oltre che di Governo e Regioni, il rilevante taglio delle risorse destinate al finanziamento del SSN dal  2009 al 2016, oltre 30 miliardi secondo  le Regioni e  la Corte dei Conti,  la massiccia riduzione  del personale (- 8.000  medici e - 50.000 infermieri dal 2009 al 2016, senza contare gravidanze e malattie di lunga durata non sostituite), la falcidia dei posti letto ( - 71.000  negli ultimi 15 anni).
 
La non corrispondenza tra bisogni crescenti dei cittadini e flussi  finanziari centrali non è solo un dato macroeconomico, in quanto si traduce nelle singole aziende sanitarie in fatti molto concreti:  blocco del turn over,  limitazioni degli acquisti di beni e servizi (farmaci, protesi, device, kit diagnostici, kit chirurgici....),  obsolescenza delle tecnologie mediche, degrado delle strutture, riduzione degli investimenti in formazione del personale. Fino a tagliare le sedute operatorie  a fine anno per mantenere in equilibrio i bilanci aziendali riducendo le spese.  Il tutto pesa sui tempi d'attesa meno  del diritto a effettuare la libera professione? 
Nella analisi dei DRG più richiesti, ai primi  posti troviamo il parto cesareo (3268 ricoveri in LPI) e il parto per via vaginale (1352 ricoveri in LPI) e ,ancora una volta,  riesce arduo comprendere come queste particolari prestazioni  possano  influire sui tempi di attesa,a parte quella  dei genitori, fratellini e nonni per il nuovo arrivo.   Sul versante delle attività ambulatoriali,  il rapporto tra regime libero professionale e istituzionale è dell’8 %,  con oltre 60 milioni di prestazioni in regime istituzionale a fronte di circa 5 milioni in libera professione per le 34 tipologie oggetto di monitoraggio, tra visite e indagini diagnostiche. La visita più richiesta è quella ginecologica con 541.369 prestazioni , seguita da quella cardiologica (15%) e ortopedica (12%).  Anche in questo caso è la scelta della donna di un professionista di fiducia che porta a preferire il regime libero professionale con percentuali superiori alla media (27% del totale delle prestazioni).
Le leggi vigenti garantiscono il diritto dei medici a esercitare una professione liberale e il diritto del cittadino a scegliersi un medico di propria fiducia in un periodo critico della propria vita.  Il SSN offre la singola prestazione chirurgica o diagnostica, ma non può sempre garantire la possibilità di scelta del medico che la eseguirà, per ovvi motivi organizzativi. La libera professione, invece, permette questa scelta e sono le donne che in particolare preferiscono questo canale.
 
Entrambi i diritti  sono sanciti da leggi, contratti, regolamenti e sentenze della Corte costituzionale (sentenza n.  371 del 2008) ,e non possono essere stracciati con una semplice  “intesa”  Stato/Regione, come pensa di fare il recente Piano nazionale per il governo delle liste d’attesa 2019/2021. Senza nemmeno preoccuparsi di rapportare  l’eventuale  prolungamento dei tempi istituzionali massimi alla dotazione organica in essere, riferendosi in modo assolutamente aspecifico e volutamente ambiguo a volumi di attività ma non alle risorse disponibili.
 
I dati illustrati dimostrano ancora una volta come l’attività istituzionale sia ampiamente prevalente su quella libero-professionale, con rapporti molto lontani dai limiti massimi, pari al 100% dei volumi prestazionali istituzionali di équipe, indicati dalle leggi e dai contratti.  La LPI, lungi dal determinare allungamento dei tempi di attesa,  contribuisce a contenere il fenomeno permettendo l'accesso a un canale sostenuto dal lavoro aggiuntivo dei professionisti,  spesso a costi calmierati e a imposizione fiscale certa. E  rappresentando per le aziende sanitarie una delle possibilità per acquisire con il proprio personale prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, anche in regime di ricovero, intercettando e introitando denaro che altrimenti andrebbe ad alimentare il settore privato e offrendo agli utenti la possibilità di accedere a prestazioni diagnostiche e terapeutiche sicure e di qualità, perchè garantite dal SSN.
 
Se la percezione dei cittadini che, in diverse  realtà  del nostro Paese, attendono mesi, se non anni,  per accedere ad una prestazione sanitaria, è quella di un diritto negato, occorre  rimuovere i fattori determinanti  le attese. I quali vanno ricercati nel pesante  sotto finanziamento  del SSN, nei ritardi del sistema di organizzazione ed erogazione delle prestazioni in regime istituzionale, nei cambiamenti demografici, epidemiologici e sociologici dei nostri tempi che spingono la domanda di prestazioni sanitarie in assenza di un contestuale rafforzamento della offerta.
 
Infine una proposta concreta. Se veramente si ha a cuore il governo del fenomeno, e non solo la ricerca di un capro espiatorio, si potrebbe  utilizzare quanto Stato e Regioni incassano ogni anno dalla LPI, cioè dal lavoro dei Medici nel loro tempo libero da obblighi istituzionali (oltre 600 milioni di €),  insieme con quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2019 (350 milioni di €)  per finanziare  un ampio e duraturo programma di riduzione delle attese attraverso un incremento  delle assunzioni  e  dell’utilizzo orario degli ambulatori specialistici, delle attrezzature tecnologiche e delle sale operatorie.  Lo strumento contrattuale è quello della libera professione in favore dell’azienda , opportunamente incentivato dalla  defiscalizzazione concessa ai lavoratori privati o dalla flat tax concessa agli insegnanti.
 
Per ridurre  i tempi di attesa, recuperare la fuga di pazienti, intercettare  risorse economiche che oggi si indirizzano verso il privato, restituire valore, anche economico, al lavoro dei medici dipendenti dal SSN.  
 
Carlo Palermo
Segretario Nazionale Anaao Assomed 


01 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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