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Competenze infermieristiche. Dopo le polemiche con i medici. Perchè la Fnomceo sta zitta?

di Saverio Andreula

29 NOV - Gentile Direttore,
la proposta di accordo sull’ampliamento delle competenze infermieristiche, conseguentemente alle pubbliche contestazioni avanzate dall’intersindacale della dirigenza medica rivolte al Ministro Lorenzin con la dichiarata finalità di bloccarne l’iter, muove venti di guerra destinati a rafforzarsi per intensità. Tanto è quanto emerge dalla puntuale pubblicazione di numerosissimi articoli sull’argomento, amabilmente da Lei pubblicati.

L’accordo, da condividere tra le Regioni e il Ministero della salute, ritrae un brevissimo articolato, con un evidente basso peso specifico, in termini di valore giuridico, rispetto ad altri strumenti legislativi. L’accordo, negoziato lungamente sul tavolo tecnico ministeriale con il coinvolgimento di una serie interminabile di interlocutori istituzionali, tra cui la Fnomceo, sta generando prese di posizioni decisamente intollerabili che vanno ben oltre gli obiettivi dichiarati e ripresi dallo stesso.

Saverio Proia afferma nel recente suo interessante e qualificato articolo, tra l’altro, che “l’accordo il metodo è quello per il quale la politica, attraverso le scelte di programmazione sanitaria nazionale e regionale indica le aree nelle quali si voglia implementare le competenze delle professioni sanitarie e le modalità attuative”. Rispetto a questa affermazione mi chiedo se e come, dall’analisi del testo dell’accordo e considerando lo strumento tecnico-giuridico utilizzato, si possa concretamente raggiungere gli obiettivi indicati.

Si guardi, a titolo di esempio, all’accordo sul profilo dell’Operatore Socio Sanitario del 2001 o, ancora, il successivo accordo tra le regioni e il ministero, sulla funzione di coordinamento di cui alla L.43/2006 art.6. La realtà sulla loro applicazione in ogni contesto sanitario di riferimento, per le criticità che si riscontrano in particolare sui “modelli organizzativi” di riferimento dell’attività infermieristica, ci induce a ritenere che anche l’accordo in esame è destinato a creare ulteriori facili speculazioni applicative.

Vorrei soffermarmi su un altro aspetto dell’accordo. Le parole chiave riprese dallo stesso sono: Competenza e Responsabilità ovviamente declinate al profilo sanitario di cui si occupa. Prendo a prestito la lettura accademica del termine competenza ripresa dalla declaratoria degli obiettivi qualificanti dell’ordinamento didattico universitario per il Cdl in Infermieristica: “Al termine del percorso formativo il laureato Infermiere acquisisce competenze/conoscenze Scientifiche, Metodologiche, Educative e umanistiche, Relazionali, Tecnologiche, Manageriali – Gestionali”. In sostanza sono gli ordinamenti didattici universitari che nel sistema formativo sviluppano le conoscenze necessarie per laureare l’Infermiere abilitandolo all’esercizio professionale.

Ciò m’induce alla riflessioni e considerazioni che seguono:

- l’arricchimento e lo sviluppo delle competenze professionali di un sanitario devono avvenire prima di ogni altro luogo nell’università attraverso la definizione di ordinamenti didattici a valere su tutto il territorio nazionale costantemente e dinamicamente rivisti e resi compatibili con lo sviluppo dei sistemi sanitari.
- l’identità professionale di chi esercita una professione e il sistema formativo a essa dedicato negli ambiti della competenza richiesta per il suo esercizio resta materia di precipua pertinenza dello Stato e quindi non rientra nelle possibilità di definizioni locali.

Ciò detto resto perplesso dell’uso, nell’accordo, di termini e definizioni che contrastano con l’attuale ordinamento. Pertanto, non condivido l’affermazione di Saverio Proia secondo cui “l’accordo libera atti e competenze che sono attribuibili agli infermieri, che se ne assumerebbero anche la diretta responsabilità non solo professionale ma anche civile e penale, per la loro formazione universitaria e per il loro attuale ordinamento professionale … e che potrebbero sollevare i medici dall’effettuazione degli stessi, permettendo loro di esercitare appieno le competenze più elevate, proprie del loro lungo percorso universitario di laurea e di specializzazione e della loro funzione dirigenziale”. Responsabilità avanzate ??? Si provi a chiedere a tuti gli Infermieri Italiani, quelli che esercitano, se disponibili, con l’ attuale livello di riconoscimento economico ad assumere ulteriori carichi di responsabilità nell’ esercizio delle proprie attività.

Allora innoviamo l’ordinamento universitario! E consideriamo l’opportunità di verificare la concreta applicazione “sul campo” dei vantati processi di rinnovamento che “avrebbero” riguardato la professione infermieristica con i cosi detti nuovi e professionalizzanti percorsi formativi introdotti con i nuovi ordinamenti didattici universitari (laurea in infermieristica di I livello e laurea magistrale in scienze infermieristiche di II livello).

L’evoluzione normativa, parliamo chiaro, non ha mai prodotto realmente la transizione attesa da infermiere esecutore a infermiere decisore, in grossa misura per la preoccupazione della professione medica, costantemente in agguato a fasi alterne, di vedere scalfita la propria centralità, messa in atto, prima di tutto con la rappresentanza politica in sede parlamentare atteso l’affossata legge 42/96 per lo sviluppo dell’Infermiere specialista e quindi delle competenze avanzate. Tanto ha impedito che la definizione normativa fosse introdotta negli accordi contrattuali e nelle ovvie modifiche organizzative del sistema sanitario.

Da una definizione legislativa cogente che afferma la necessità per una “professione” di sviluppare competenze avanzate nel suo naturale alveo formativo, ora si transita in un altro contenitore normativo rappresentato dall’ Accordo tra le Regioni. L’effetto più scontato è il dividere la professione infermieristica rilegandola in una classificazione di sviluppo regionale.
Che razza di accordo è ?

Si è certi che le regioni italiane, forti della propria cultura amministrativa, non approfittino dell’attuale situazione politica e delle modifiche costituzionali intervenute, che le rende protagoniste nel governo delle risorse da utilizzare in ambito sanitario, per ignorare l’accordo o peggio costruendo pseudo-percorsi di valorizzazione del ruolo dell’Infermiere?

Ancora oggi in molte strutture sanitarie pubbliche di numerose regioni italiane, come evidenziano molti rapporti implementati con rigore scientifico da organismi governativi e non, è la presenza numerica di personale Infermieristico a non essere qualificabile sia per numero che per “modello organizzativo” per cui spesso i cittadini ricevono cure infermieristiche non “definibili tali”.

Ciò significa che non c’è nessun rapporto funzionale tra il rinnovato quadro normativo regolatore dell’esercizio professionale degli infermieri rispetto alla realtà dell’infermieristica italiana. Tale forte contraddizione e criticità influenza altresì le Università presenti sul territorio Italiano ed estere in regime convenzionale con quelle italiane, impegnate nella formazione degli Infermieri con offerte formative fortemente condizionate dalle regioni che chiedono numeri, sacrificando la qualità.

La gran parte delle Università italiane e ancor più quelle estere che applicano gli ordinamenti italiani non hanno né strutture adeguate né personale dedicato.

Considerazioni e valutazioni finali

Se proprio accordo deve esserci:
In via preliminare l’intersindacale Medici e altri, dovrebbero abbandonare atteggiamenti inqualificabili che, tra l’altro, li espone, per i concetti espressi, a evidenti critiche nel momento in cui, rispetto a quanto affermato si deduce che non hanno conoscenze sull’ambito di esercizio professionale dell’Infermiere nell’attuale ordinamento. Si preoccupino di riformare i modelli organizzativi in cui operano fermi ad epoche giurassiche.

Tutte le organizzazioni di rappresentanza professionale e contrattuale degli infermieri, si confrontino rispetto agli argomenti trattati e prospettino soluzioni capaci di risolvere le criticità che vive la professione infermieristica italiana a partire dalla formazione per continuare con l’esercizio professionale; processi oggi soffocati da una serie interminabile di condizionamenti.

La proposta di definizione di un ampliamento delle “competenze” per gli Infermieri, va considerata una iniziativa nell’ambito di una rivalutazione complessiva degli ambiti di esercizio professionale e per i vincoli e limiti che presenta, a mio avviso, potrebbe essere corretta. Bisognerebbe strutturare “politiche di confronto” e di coinvolgimento di tutti gli attori del sistema sanitario riunendoli attorno ad un unico tavolo dal livello regionale. Non è il solo tavolo di confronto nazionale che può definire accordi applicabili. L’ambito applicativo dell’accordo, declinato nell’attuale contesto organizzativo dei sistemi sanitari regionali attuali, deve essere ottimizzato per evitare “distorsioni interpretative e applicativa”

Andrebbe definito uno schema di regolamento che impegna le Regioni a comporre “cabine di regia” coordinate dal Ministero della salute, cui assegnare il ruolo di verifica applicativa degli indirizzi contenuti nell’accordo.

La “cabina di regia” regionale composta di rappresentanti tecnici e istituzionali delle Regioni, OO. SS. e Collegi o Associazioni delle professioni interessate cui assegnare il compito, attraverso la “lettura” della propria situazione regionale, è chiamata ad esprimere pareri sui provvedimenti di interesse attinenti ai contenuti professionalizzanti dell’accordo.

Si consideri che qualsivoglia provvedimento di programmazione sanitaria che le singole Regioni determineranno, se non definiti con il diretto coinvolgimento delle professioni, è destinato a non raggiungere gli obiettivi. Solo un proficuo e sereno confronto può significativamente rilanciare il sistema. Bisogna stringere con le professioni veri e propri 'patti. Oggi, più che in altre occasioni, si rende necessario "riprogettare i modelli organizzativi" dell’attività di assistenza infermieristica e di definizione dei livelli minimi delle prestazioni infermieristiche da erogare ai cittadini, prima di tutto.

Bisogna altresì aggiungere nell’accordo che s’impegna il Governo e le Regioni a definire percorsi comuni per applicare concretamente i contenuti di cui alla legge 43/2006 art 6 comma uno che di seguito si esplicita:
1. In conformità all'ordinamento degli studi dei corsi universitari, disciplinato ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, il personale laureato appartenente alle professioni sanitarie di cui all'articolo 1, comma 1, della presente legge, è articolato come segue:
a) professionisti, b) professionisti coordinatori, c) professionisti specialisti, d) professionisti dirigenti.

Sull’argomento si fa rinvio a quanto precisato sul CCNL - BIENNIO ECONOMICO 2008 - 2009
sottoscritto in data 31 luglio 2009, nelle norme finali, art. 12 3° comma che di seguito si riportano.
3. in considerazione della rilevanza e della complessità della materia degli incarichi di coordinamento e specialistici, di cui alla l. 43/2006, nonché di posizione organizzativa, le parti affronteranno in maniera organica e completa la tematica del sistema di valorizzazione della responsabilità e dell’autonomia professionale nella prossima tornata contrattuale

Nella certezza di aver offerto proposte “costruttive” al dibattito aperto alla pubblica visibilità da Quotidiano Sanità. Mi intriga sapere e con pubblico appello chiedo, il parere sulla “nota stonata” dell’intersindacale medica alla Fnomceo, incredibilmente silenziosa.

Saverio Andreula
Presidente Collegio Ipasvi di Bari

29 novembre 2013
© Riproduzione riservata

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