Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 19 APRILE 2024
Lettere al direttore
segui quotidianosanita.it

Gli "shareholders" in sanità esistono già. E stanno sul territorio

di Rosa Sciarpelletti

19 NOV - Gentile direttore,
con sorpresa ma anche con un certo coinvolgimento ho letto gli articoli pubblicati su Quotidiano Sanità del 31 ott e del 3 nov 2014 dal prof Cavicchi. Io sono una persona pratica e non un pensatore (faccio ambulatorio tutto il giorno per quasi tutti i giorni della settimana e sono madre di quattro figli), ma questa volta “un teorico”, che però per le sue esperienze personali dimostra di saperla lunga in fatto di sanità, mi ha indotto a fare delle considerazioni proprio sulle cose pratiche che svolgo ogni giorno.

Prima di tutto vorrei dire che mi ha sorpreso che rispetto a degli articoli evidentemente indirizzati al sindacato, cioè a coloro che per mestiere si occupano di lavoro, ci sia stato soprattutto da parte delle sigle sindacali più importanti un vuoto di dibattito, come se il sindacato con il suo silenzio tradisse non tanto un dissenso ma una vera e propria difficoltà strategica. Eppure le tesi offerteci dal prof Cavicchi erano molto intriganti e dati i tempi grami molto persuasive. Forse queste difficoltà del sindacato, bisogna iniziare a dircelo, fanno parte del problema lavoro e con esse noi che facciamo sindacato (personalmente sono iscritta al sindacato Unione Nazionale Pediatri) dobbiamo farci i conti. Ciò detto voglio anticipare quella che è stata la conclusione dei miei ragionamenti dopo la lettura degli articoli di Cavicchi, e cioè che la figura dello shareholder non è così teorica o utopistica come appare, dal momento che in alcuni settori della sanità di fatto essa è giù qualcosa di concreto ma che aspetta una sistemazione giuridica contrattuale e quindi una evoluzione nei modi di definire il lavoro medico.

Nel primo articolo del 31 ottobre 2014 si evidenzia come sia necessario cambiare il contenuto della parola “lavoro” in sanità. Lo svolgimento delle attività in tutti gli ambiti sanitari, non deve essere visto sotto il profilo economico e politico solo come costo: deve essere considerate come valoreche generano un plus valore in termini di salute e che comunque non comporti spreco di denaro. E nel secondo articolo del 3 novembre 2014 vengono date delle indicazioni atte a che questi valori del lavoro sanitario vengano attuati. Sono proprio coloro che svolgono quotidianamente le professioni sanitarie a dover cambiare il profilo professionale: non semplici esecutori di una routine pre-impostata, ma “autori” della attività stessa (sempre ottemperando a codice deontologico, linee guida e protocolli), impostando essi stessi la modalità operativa del proprio settore tale da garantire un risultato finale che sia la somma di buono stato di salute della popolazione più non spreco di denaro pubblico (semmai risparmio dello stesso grazie a queste attuazioni).

Grazie a queste teorie ho riflettuto sul quotidiano lavoro da me svolto e mi sono chiesta anzitutto:le indicazioni date da questa autorevole personalità del mondo della sanità sono davvero teorie?
Senza sapere che producevo dei cambiamenti, ma solo utilizzando la logica ed il buon senso, negli ultimi 10 anni come pediatra di base ho portato avanti un progetto che avevo nella mia mente già da tempo riguardo il mio lavoro quotidiano, che sicuramente ha modificato l’utilizzo del servizio di pediatria del territorio da parte degli utenti, favorendo qualità del servizio stesso e risparmio di denaro pubblico (cioè del denaro degli utenti stessi). Nel tempo mi sono chiesta se questo mio fare fosse solo il frutto di un personale modo di vedere il lavoro ed ho scoperto, con molto piacere, che diversi altri colleghi, sia pediatri che medici di base (sempre silenziosamente e all’interno del loro studio o del loro gruppo), operavano con una logica atta comunque a migliorare la qualità del servizio e ridurre lo spreco economico che questi settori della sanità potevano comportare. Provo a descrivere solo alcuni dei comportamenti professionali che personalmente ho introdotto nella mia routine.

Il primo cambiamento è stato l’accoglienza quotidiana dell’utenza: al pediatra di famiglia spetta non solo la cura della patologia ma la prevenzione della stessa cioè visitare i soggetti sani. E queste due tipi di utenze non debbono trovarsi in attesa nello stesso momento in sala d’aspetto. Si è dovuto modificare allora l’abitudine dell’utenza di venire all’interno degli orari previsti per qualunque problematica, adottando il sistema dell’appuntamento per le visite e utilizzando cosi da parte del professionista orari programmati per le visite generali di buona salute (i bilanci di salute) e ulteriori orari (dati nel giorno stesso della richiesta) per lo stato di patologia, differenziando così le due tipologie di utenze nella sala di attesa. E per migliorare ancor di più questo aspetto dell’attività quotidiana si è favorito l’incontro (sempre nella sala di attesa) tra i soggetti delle stesse età (fasce di età neonatali, pediatriche, adolescenziali). Tutto questo è oggi realtà non teoria, ma è frutto di un lavoro “certosino” e di grande pazienza del professionista che ogni giorno (per 5 giorni a settimana) da la possibilità all’utenza di poter accedere a visite generali dei propri bambini (durante le quali si praticano anche screening adeguati per le varie fasce di età che riducono poi sul Ssn il costo di visite specialistiche inopportune) senza incontrare fasce di popolazione che accedono con patologia (che diffondendo su quella sana produce così una ulteriore futuro carico di spesa sul Ssn).

Per quanto concerne poi la popolazione con patologia sono stati messi in atto alcuni cambiamenti tutt’altro che teorici differenziando la patologia acuta e quella cronica.
Per la patologia acuta lo studio è attrezzato con alcuni dei sistemi diagnostici self-help: ciò consente di migliorare la qualità ed i tempi della diagnosi evitando così sprechi per l’utilizzo inappropriato di sistemi diagnostici al di fuori dello studio medico e per terapia inadeguate. Anche questo è stato il frutto di un lavoro importante per l’operatore (che deve necessariamente aumentare competenze e tempi di lavoro) e dell’utente (abituato da anni a prescrizioni diagnostiche del medico di base effettuate fuori dello studio a carico del Ssn e con tempi di attesa per le risposte spesso al di la’ del tempo di durata della patologia stessa).

Per quanto concerne il paziente con patologia cronica questi viene seguito anche a domicilio (dove necessario) ogni giorno della settimana (anche nella fascia del week end), favorendo lo scambio di informazioni con l’ospedale di riferimento e tutto ciò è stato possibile solo aumentando le competenze del professionista e la disponibilità oraria.
Sempre in relazione ai cambiamenti adottati negli ultimi anni è stato chiesto ai medici di base (pediatri e medici di medicina generale) di aggregarsi a far si che gli studi fossero disponibili in fasce orarie maggiori. Ed è ciò che è accaduto: personalmente non sono, per motivi organizzativi, riuscita a formare associazione e gruppo, ma condivido il mio studio con un altro collega pediatra, favorendo cosi quotidianamente la presenza di un medico nello studio per gran parte delle ore diurne, la discussione e lo scambio di pareri diagnostici su casi clinici complessi. Il dialogo tra colleghi all’interno dello studio ma anche dello stesso distretto o della stessa Asl ha personalmente favorito lo scambio di conoscenze e sicuramente di competenze.

Questi sono solo alcuni dei cambiamenti (a volte anche non ufficiali, cioè senza che vi sia stato un rimborso in termini economici da parte della Asl) che diversi operatori del settore come me hanno voluto adottare per dare risposte adeguate alle nuove esigenze che l’utenza stessa richiedeva.
L’attività che quotidianamente sostengo, grazie a queste modifiche (ed anche altre) ha cosi assunto valore e qualità (avvertita anche dal paziente), ma anche problematicità e criticità che spesso sono nuove per un professionista (il medico poco sa di come si organizza un accesso in una struttura o quale sia la migliore marca di una metodologia diagnostica).
Chi gestisce nel modo sopracitato la propria attività già considera il lavoro che esercita tutti i giorni come un capitale e lo valorizza ogni giorno.
Esistono già nella realtà territoriale della sanità degli “Shareholders”.

E questi operatori dovrebbero poter vedere contrattualizzata questa modalità lavorativa: concordando con le strutture managerali, il professionista potrebbe garantire annualmente, per es., al SSN dei percorsi assistenziali atti a migliorare la qualità di salute dei pazienti (con riduzione della spesa), valutando con il manager come e quanto retribuire gli obiettivi raggiunti ed utilizzando come sottraendo il risparmio degli sprechi evitati grazie a questi comportamenti. Quindi concordo con l ‘ipotesi di un contratto in cui venga riconosciuta retribuzione ed attribuzione.
In tutto ciò, data l’esistenza di queste realtà e la possibilità della nascita di nuove sull’esempio delle esistenti, non vedo di nessuna utilità la riorganizzazione della sanità territoriale in nuove strutture (come si ipotizza da qualche anno citando le “Case della salute”), diverse dagli ospedali e delle ASL, cui dovrebbero affluire vaste quantità di popolazione per servizi sanitari di ogni genere.

Nella nostra quotidianità di medici di famiglia vi è una importante relazione con il paziente che si instaura dal primo incontro e che (se non vi sono asperità) si protrae per 14-16 anni per i pediatri (anche oltre ma non è ufficiale) e per tutto il resto della vita di un uomo per i medici di medicina generale. Questa personale relazione rimane il cardine fondamentale a cui farà riferimento il paziente durante il succedersi delle sue vicissitudini patologiche (ma anche vicissitudini sociali). Il piccolo studio (anche se aggregato di più medici) dislocato in qualche punto della città o della periferia o del paesino è proprio questo per i nostri utenti-pazienti, un punto di riferimento magari facilmente raggiungibile e nel quale egli è già conosciuto o già è conosciuta la famiglia che lo assiste: tutto ciò renderà possibile la relazione medico-paziente.

In queste piccole realtà lavorano per il loro minuto mantenimento e per il raggiungimento di obiettivi (primo tra tutti la salute del paziente) medici “shareolders”: professionisti cioè che, come in una azienda propria, promuovono ed incentivano la loro attività al fine di garantire il miglior stato di salute riducendo al minimo la spesa sanitaria.
Le attuali realtà aggregative (e le possibili nuove nascenti) sono a mio giudizio la buona risposta che sanità e medici hanno dato alle nuove esigenze dei pazienti, mantenendo integra la relazione medico-paziente. Ospedali, Asl e centri privati (quindi già grandi strutture esistenti) suppliscono dove vi sia la carenza o l’impossibilità a proseguire le cure da parte dei medici di base, ma non possono (senza nulla togliere alle capacità di coloro che vi lavorano) garantire queste relazioni umane.

Come pediatra di famiglia (termine non a caso nato per la nostra professione territoriale), spero di poter continuare a lavorare, applicando questi tre importanti fattori: metodologia clinico-diagnostica, innovazione e relazione umana.
Grazie davvero Prof. Cavicchi per aver teorizzato in modo cosi illustre ed adeguato una pratica che rischia di restare silenziosamente tra le mura di studi di operatori coraggiosi ma cosi impegnati da non rendersi conto che la loro è la nuova e unica risposta alle attuali esigenze della sanità pubblica.

Dr.ssa Sciarpelletti Rosa
Pediatra di famiglia ASL RMH4
Membro UNP (Unione Nazionale Pediatri) del Comitato Aziendale Permanente per la Pediatria Asl RMH  

19 novembre 2014
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Lettere al direttore

lettere al direttore
ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy