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Con la riforma costituzionale cosa cambia per la sanità?

di Roberto Cardano

22 AGO - Gentile direttore,
le scrivo perché sono fortemente preoccupato per la gestione delle risorse economiche in Sanità. Mi riferisco alla riforma costituzionale,  temo che deciderà tutto il nuovo Senato, lasciando un mero potere consultivo alle Regioni (sia sui LEA che sulle risorse da destinare ad essi).
Lei cosa ne pensa?
 
Roberto Cardano
Fisioterapista, Novara
 
 
Gentile dottore,
la riforma del titolo V e del sistema bicamerale approvata dal Parlamento e che a breve sarà sottoposta a referendum, inserisce senz’altro elementi di forte novità rispetto al quadro istituzionale in vigore con la riforma della Costituzione del 2001.
 
Per la sanità in particolare viene meno la cosiddetta legislazione concorrente tra Stato e Regioni e si ristabilisce un primato statale nelle decisioni di politica sanitaria (vedi nuova lettera m dell’articolo 117). Con la nuova dizione dell’articolo si ampliano infatti le competenze statali prevedendo l'esclusività della potestà legislativa dello Stato non solo nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lea) ma anche nelle "disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali".
 
È poi previsto che alle Regioni resti "la potestà legislativa in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali".
 
C'è poi anche una cosiddetta clausola di "supremazia", per la quale lo Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva qualora "lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale".
 
Questo è quanto prevede la riforma del titolo V della Costituzione. In quanto alla riforma del Senato da Camera legislativa tout court ad assemblea delle rappresentanze delle istituzioni territoriali, il discorso cambia.
 
Si tratta di un tentativo di correzione dell’attuale bicameralismo perfetto che lascerebbe alla sola Camera dei Deputati la competenza legislativa ordinaria e soprattutto quella di dare la fiducia al Governo.
Il nuovo Senato (non più elettivo e ridotto nel numero dei suoi componenti) manterrebbe solo alcune residue competenze. E solo nel caso di leggi che riguardano le competenze regionali il voto del Senato sarà obbligatorio.
 
Insomma un cambiamento notevole che, per quanto mi riguarda, è necessario e auspicabile e dal quale non vedo rischi per la nostra sanità. Che anzi dovrebbe uscire rafforzata sul piano delle garanzie di equità e uniformità dei Lea sul territorio nazionale.
 
E questo proprio grazie al maggior ruolo che Governo e Parlamento sono chiamati ad assumere nelle grandi decisioni di indirizzo e politica sanitaria ponendo fine, di fatto (ma vedremo se sarà poi effettivamente così e questo sempre che vinca il sì al referendum), al "primato" delle Regioni che con la riforma del 2001 sono diventate le vere dominus della sanità.
 
Con risultati quanto meno discutibili per quello che riguarda i livelli e la qualità dell'assistenza in molte aree del Paese.
 
Cesare Fassari


22 agosto 2016
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