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Lazio. Consiglio dei ministri impugna legge su accreditamento privati


La legge n.6/2011 rappresenta uno dei punti cardine del Piano di rientro approntato dalla giunta Polverini ma per il Governo la normativa è censurabile in parte degli articoli 1 e 6 e ha deciso quindi di presentare ricorso alla Consulta. Tra le contestazioni alla legge quella di consentire ai privati “di continuare ad operare, addirittura in regime di accreditamento, in assenza dei requisiti di legge e in attesa dell'eventuale successiva acquisizione delle certificazioni comprovanti il possesso dei predetti requisiti di legge”.

17 GIU - Doccia fredda per la giunta del Lazio dopo l’ultimo Consiglio dei Ministri. Il ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto ha impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale la legge n.6/2011 della Regione Lazio sull’accreditamento delle strutture sanitarie private approvata in Consiglio regionale lo scorso mese di Aprile. Una legge, ricordiamo, decisiva per la rinascita del sistema sanitario laziale. Il ministero degli Affari regionali ha ritenuto “censurabile” la legge nei commi 5,6,7,8 e 9 dell’articolo 1 al comma 5 dell’articolo 6. Tra le contestazioni fatte dal Governo vi è il fatto che la legge regionale consente alle strutture sanitarie private “di continuare ad operare, addirittura in regime di accreditamento, in assenza dei requisiti di legge e in attesa dell'eventuale successiva acquisizione delle certificazioni comprovanti il possesso dei predetti requisiti di legge”. Inoltre il Governo contesta come “la nuova norma regionale non prevede un limite temporale certo e prefissato di cessazione del regime di accreditamento provvisorio per le strutture che non abbiano i requisiti per l'accreditamento”.
 
Ecco più nel dettaglio le ragioni dell’impugnativa deliberata dal Cdm:
 
1) Il comma 4 dell'art. 1, individuando l'ASL come competente a indire la conferenza di servizi necessaria all'acquisizione dei provvedimenti amministrativi richiesti e propedeutici all'adozione del provvedimento finale, si pone in contrasto con l'art. 14 della l. n.241/90. Infatti, l'art.14 della legge n.241/90 prevede che sia l'amministrazione competente all'adozione del provvedimento finale ad indire la conferenza di servizi per l'esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, oppure per acquisire intese, concerti, nulla osta o atti di assenso comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. Nella fattispecie in esame l'amministrazione competente all'adozione del provvedimento autorizzatorio è la Regione Lazio e, pertanto, il legislatore regionale, attribuendo alle ASL, anziché alla Regione stessa, il potere di convocare la predetta conferenza, inficia le finalità di semplificazione e accelerazione dell'azione amministrativa poste a fondamento dell'istituto della conferenza di servizi come strumento di tutela dei cittadino, violando l'art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (vedi art. 29, comma 2 ter, della legge n. 241/1990).
 
2) L'art. 1, comma 5, prevede che le strutture sanitarie private attualmente operanti sul territorio regionale possono esercitare l'attività assistenziale, anche in regime di accreditamento, anche nel caso in cui abbiamo incolpevolmente mancato di presentare la domanda di conferma dell'autorizzazione e/o di accreditamento definitivo ovvero l'abbiano presentata in modo incompleto a condizione che presentino ovvero integrino la domanda stessa entro il termine di quindici giorni dall'entrata in vigore della legge in esame. L'art. 1, comma 13, inoltre, aggiunge i commi 16 bis, 16 ter e 16 quater all'art. 2 della legge regionale n. 9/2010 con cui si autorizzano le case di cura che sottoscrivono accordi di riconversione dei posti letto soppressi ad avviare nuove attività in regime di accreditamento a decorrere dalla data di presentazione delle domande di autorizzazione e/o di accreditamento definitivo corredate da dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà comprovanti il possesso dei requisiti minimi previsti dalla normativa regionale vigente nonché copie di istanze volte ad ottenere certificati, pareri, nulla osta, o altri atti di assenso previsti dalla normativa vigente. Il comma 16 ter, in particolare, prevede che le stesse case di cura, "in caso di carenza dei requisiti minimi strutturali e tecnologici, debbono provvedere ad adeguarli entro il termine di sei mesi dalla data di rilascio dei singoli certificati, pareri, nulla osta, o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla disciplina vigente". Il decorso inutile di quest'ultimo termine "determina il venir meno degli effetti dell'accordo di riconversione".I commi 5 e 13 dell'art. 1 si pongono in contrasto con l'art. 8, comma 4, del decreto legislativo n. 502/92 e con il D.P.R. 14 gennaio 1997 che subordinano l'esercizio delle attività sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche e private al possesso di determinati requisiti minimi (strutturali, tecnologici e organizzativi) nonché con gli artt. 8 ter e 8 quater del stesso d. lgs n. 502/1992 che condizionano il rilascio dell'autorizzazione e dell'accreditamento al possesso dei suddetti requisiti. Infatti le norme regionali in esame consentono alle strutture sanitarie private di continuare ad operare, addirittura in regime di accreditamento, in assenza dei requisiti di legge e in attesa dell'eventuale successiva acquisizione delle certificazioni comprovanti il possesso dei predetti requisiti di legge. La norma non prevede, inoltre, che in caso di riconversione delle attività il rapporto autorizzativo e di accreditamento sia sospeso per il tempo necessario allo svolgimento delle opere di adeguamento e fino alla necessaria e preventiva verifica di rispetto dei requisiti minimi e di accreditamento da parte degli ispettori delle ASL. Il legislatore regionale, pertanto, disciplinando in modo non conforme ai principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale in materia di tutela della salute, viola l'art.117, comma 3 della Costituzione.
 
3) L'art. 1, comma 6, dispone che alle strutture sanitarie e socio-sanitarie provvisoriamente accreditate che abbiano presentato la domanda di autorizzazione ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della L.R. n. 3/2010 e la domanda di accreditamento ai sensi dell'articolo 1, comma 21, della L.R. n. 3/2010, si applica in via transitoria il regime vigente alla data del 30 dicembre 2010 fino, rispettivamente, al rilascio dei provvedimenti di conferma di cui all'articolo 1, comma 22, della L.R. n. 3/2010, come modificato dalla presente legge, ovvero all'adozione del provvedimento di diniego dell'accreditamento istituzionale definitivo. Così disponendo, la norma regionale si pone in contrasto con la normativa statale di cui all'art. 1, comma 796, della legge n. 296/2006. Il contrasto tra la norma regionale e quella statale si evidenzia rilevando che, nonostante il citato comma 796 imponga alle regioni l'adozione di norme e provvedimenti che "garantiscano" la cessazione del regime dell'accreditamento provvisorio delle strutture private ospedaliere e ambulatoriali, non confermate dall'accreditamento definitivo, a decorrere dal 1 gennaio 2011, la nuova norma regionale non prevede un limite temporale certo e prefissato di cessazione del regime di accreditamento provvisorio per le strutture che non abbiano i requisiti per l'accreditamento, poiché infatti dispone che il regime di accreditamento provvisorio perduri fino "all'adozione del provvedimento di diniego dell'accreditamento istituzionale definitivo". Quindi, mentre la normativa statale prevede una data certa per la cessazione del regime di accreditamento provvisorio, la normativa di origine regionale di fatto elude la normativa statale laddove non fissa, in modo univoco e senza possibilità di ulteriori proroghe, un limite temporale certo di cessazione del regime di accreditamento provvisorio per tutte le strutture attualmente interessate dal procedimento di verifica di cui alle Leggi 3/2010, 9/2010 e 6/2011, con particolare riferimento e rigore per i casi in cui le strutture non abbiano i requisiti di autorizzazione o di qualità per l'accreditamento. Tale possibilità di elusione può rivolgersi a discapito dei pazienti che vengono a essere privati della garanzia di qualità delle prestazioni sanitarie, con violazione del diritto alla salute e violazione del principio di eguaglianza, giacché il regime di tutela del paziente sarebbe di grado e misura diverse tra le regioni italiane. Peraltro, la Corte Costituzionale ha già censurato un precedente provvedimento legislativo della Regione Lazio intervenuto nella medesima materia. Con sentenza n. 93 del 3 aprile 1996 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio, approvata il 20 aprile 1994 di "Proroga del termine di cui all'art. 58 della legge regionale 31 dicembre 1987, n. 64", (termine previsto per l'adeguamento delle strutture sanitarie ai requisiti autorizzativi di origine statale) stigmatizzando la mancata previsione nella normativa regionale di una data certa o altri elementi che garantiscano con sicurezza il superamento di situazioni di non conformità delle strutture ai requisiti previsti dalla normativa statale. Il legislatore regionale disciplinando in modo non conforme ai principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica, viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
 
4) L'art. 1, comma 7 prevede la possibilità per le strutture sanitarie e socio-sanitarie provvisoriamente accreditate di continuare ad operare anche in caso di accertamento di difformità delle strutture stesse rispetto a quanto autorizzato e, circostanza ancor più grave, di poter continuare ad operare anche nell'ipotesi in cui le modifiche, necessarie ad adeguare la struttura stessa ai requisiti autorizzativi vigenti, siano state realizzate senza alcuna comunicazione e, conseguentemente, in assenza di autorizzazione regionale. Così disponendo, il legislatore regionale si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute di cui all'art. 8 ter del D.Lgs 502/1992 e art. 193 del R.D. 27/7/1934, n. 1265, poiché prevede espressamente la possibilità per i privati di poter esercitare attività sanitaria in strutture che non siano conformi all'autorizzazione di cui sono titolari e, inoltre, fatto ancor più grave, di apportare modifiche alla struttura senza richiesta di modifica dell'atto autorizzativo e relativo assenso regionale. La disposizione viola, pertanto, l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
 
5) L'art. 1, comma 8 prevede che se nel corso dell'istruttoria emerga, per ciascuna singola struttura, che l'accreditamento provvisorio sia stato rilasciato per un numero di posti letto superiori a quelli formalmente autorizzati per la specialità considerata, l'autorizzazione è confermata e contestualmente adeguata per tutti i posti letto già operanti in regime di provvisorio accreditamento, a condizione che la struttura possieda integralmente i requisiti minimi autorizzativi richiesti dalla disciplina vigente. Inoltre, il comma 9, prevede che qualora nel corso dell'istruttoria emerga, per ciascuna singola struttura, che l'accreditamento provvisorio sia stato rilasciato per attività non ancora formalmente autorizzate, il titolo autorizzativo è rilasciato e contestualmente adeguato alle attività già esercitate in regime di provvisorio accreditamento, a condizione che la struttura possieda integralmente i requisiti minimi autorizzativi e quelli ulteriori di accreditamento richiesti dalla disciplina vigente. Così disponendo le suddette norme regionali consentono alle strutture sanitarie private di mantenere lo stato di accreditamento senza avere né i requisiti di qualità per l'accreditamento né quelli autorizzativi per l'esercizio dell'attività sanitaria in violazione dei principi fondamentali di tutela della salute di cui all'art. 8 quater del d. lgs. N. 502/1992 e, conseguentemente, in violazione dell'art. 117, comma 3.
 
6) L'art. 6, comma 5, abrogando il comma 4 dell'art. 42 della legge regionale n.26/2007 elimina la verifica triennale sugli esiti della sperimentazione gestionale stabilita con protocollo d'intesa tra la Regione Lazio e l'Università degli studi di Roma "Tor Vergata" di cui al comma 3 dello stesso art. 42, si pone in contrasto con quanto disposto dall'art. 9 bis, comma 3, del d. lgs. N.502/92 che impone una fase di verifica per le sperimentazioni gestionali e, conseguentemente, viola l'art. 117, comma 3, in materia di tutela della salute. Per i suddetti motivi, si ritiene di dover proporre questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost.

17 giugno 2011
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