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Ideate le prime “pinzette molecolari” anti-Alzheimer 


Ricercatori dell’Università Cattolica di Roma insieme a colleghi americani dell’Università di Los Angeles (Ucla) hanno scoperto una molecola a forma di pinza che impedisce la formazione nel cervello degli aggregati di proteine tossiche responsabili della principale forma di demenza senile.

15 NOV - Ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma -Policlinico A. Gemelli insieme con colleghi dell’Università di Los Angeles (Ucla) hanno dimostrato l’efficacia di “pinzette molecolari” che potrebbero risultare importanti nella cura della malattia di Alzheimer: le pinzette “pizzicano” le proteine tossiche che si aggregano nel cervello dei pazienti e, così facendo, ne bloccano l’aggregazione, impedendo che avvelenino i neuroni. La nuova molecola anti-Alzheimer è risultata efficace in un modello animale di malattia. È il risultato del team di Claudio Grassi, Direttore dell’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università Cattolica di Roma, insieme al gruppo di Gal Bitan della Ucla. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista internazionale Brain.

La protagonista di questo lavoro si chiama “CLR01”, è una molecola a forma di pinzetta che si attacca alle proteine tossiche dell’Alzheimer, prevenendo e contrastando gli effetti neurotossici derivanti dall’accumulo del peptide β-amiloide. “Questi studi aprono la strada a nuove prospettive terapeutiche per la malattia neurodegenerativa che rappresenta oggi la principale causa di demenza nell’uomo”, ha spiegato Grassi.

“La malattia di Alzheimer - ha continuato il fisiologo della Cattolica di Roma - è una patologia di origine multifattoriale che si caratterizza per una progressiva perdita della memoria e un generale deterioramento delle capacità cognitive. Tra i molteplici fattori che concorrono a generare questo quadro clinico, un ruolo di primo piano spetta all’accumulo di piccoli aggregati del peptide β-amiloide che hanno come bersaglio le sinapsi, ovvero i ponti di comunicazione tra neuroni, che sono fondamentali per le funzioni di apprendimento e memoria”. Oggi l’Alzheimer colpisce oltre 36 milioni di persone e, a seguito del progressivo allungamento della vita media e del conseguente invecchiamento generale della popolazione, si stima che il numero dei pazienti supererà i 115 milioni nel 2050.

Nella sua ricerca l’equipe del professor Grassi, costituita da giovani ricercatori under-30 (Cristian Ripoli, Elisa Riccardi, Donatella Li Puma) ha analizzato la capacità di CLR01 di prevenire e contrastare il danno alle sinapsi causato dal peptide β-amiloide. Molti recenti studi hanno ampiamente dimostrato che proprio queste alterazioni della trasmissione e della plasticità sinaptica sono alla base del declino cognitivo tipico della malattia di Alzheimer. “Le nostre ricerche – ha spiegato Grassi - puntano, quindi, all’identificazione di terapie specificamente mirate a contrastare il sintomo chiave della malattia”.


Il CLR01, come precisato dal fisiologo, esercita i suoi effetti agendo come una “pinza” molecolare che, avvolgendo il peptide β-amiloide in punti specifici, ne previene l’aggregazione e il conseguente danno a carico delle sinapsi.

"Questa ricerca offre la prima dimostrazione che CLR01 è efficace in un modello animale di mammifero (topi geneticamente modificati che presentano disturbi neurologici molto simili a quelli della malattia di Alzheimer)”, ha affermato Bitan, docente presso il Dipartimento di Neurologia della Uclae coordinatore dello studio. Un aspetto importante, evidenziato docente americano, è “che nei topi CLR01 attraversa la barriera emato-encefalica (il ’muro‘ protettivo che impedisce a sostanze estranee di entrare nel cervello attraverso la circolazione sanguigna) e, una volta giunto nel cervello, contrasta l’aggregazione sia del peptide β-amiloide sia della ‘proteina tau fosforilata’, un’altra molecola con un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia. Il CLR01 esercita, quindi, la sua azione protettiva sui neuroni senza che gli animali trattati mostrino alcun segno di tossicità”.

“Saranno ovviamente necessarie ulteriori indagini prima di considerare il possibile impiego di CLR01 nell’uomo – hanno concluso gli autori dello studio - ma i risultati ottenuti finora sono molto incoraggianti e ci spingono a proseguire le nostre ricerche in sistemi biologici più complessi”.

15 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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