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Ipertensione: va rivoluzionata la filosofia di trattamento

di Maria Rita Montebelli

La parola chiave è ‘semplificazione’ e sarà la vera svolta del trattamento dell’ipertensione. Dal 1990 ad oggi sono state prodotte quasi 30 linee guida sull’ipertensione nel mondo. E il risultato del raggiungimento dei target pressori nella pratica clinica è quanto meno deludente. Se ne è parlato ad Atene, all’ultimo congresso congiunto della società europea e internazionale dell’ipertensione arteriosa (ESH/ISH).

21 GIU - Le statistiche sul controllo dell’ipertensione continuano ad essere drammaticamente insoddisfacenti. E la goccia che ha fatto traboccare il vaso è di pochi giorni fa. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicati di recente sul Giornale Italiano di Cardiologia, nel periodo 2008-2012, appena il 15% degli ipertesi sarebbe stato in buon controllo pressorio, cioè avrebbe raggiunto i target pressori di < 140/90 mmHg. “Sebbene a noi non risultano cifre così drammatiche – afferma il professor Massimo Volpe, ordinario di Cardiologia presso l’Ospedale Sant’Andrea, Università ‘La Sapienza’ di Roma e Presidente della fondazione della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) – la percentuale di ipertesi a target è ancora troppo bassa. Secondo i dati della SIIA si aggira intorno 35% tra gli ipertesi in trattamento, mentre secondo i medici di famiglia, che si sono organizzati con dei database, arriva al 40%”. Nella migliore delle ipotesi comunque, almeno un 60-65% di ipertesi continua a rimanere con la pressione troppo alta, fuori controllo.

“La chiave di tutto sta nell’aderenza al trattamento – prosegue il professor Volpe - avere dei buoni farmaci a disposizione e poi non assumere la terapia, o farla in maniera incompleta e incostante, è il vero problema. E da questo punto di vista, io sono un po’ un ‘pentito’. Siamo stati per anni fautori della terapia fatta paziente per paziente, su misura, selezionando con cura i farmaci più adatti. Ma la realtà dimostra invece che la terapia di combinazione, racchiusa in una singola pillola, è l’unica che consenta di raggiungere percentuali straordinarie di controllo”.
Nei vari studi condotti finora, la percentuale dei soggetti ben controllati dalla terapia di associazione si aggira sul 70-90%; e anche in studi più recenti, come il BP-CRUSH, che ha utilizzato la triplice associazione olmesartan-amlodipina-idroclorotiazide, ha portato a percentuali di controllo prossime al 90% .

“In uno studio open label europeo, pubblicato in questi giorni su Advances in therapy – ricorda il professor Volpe -  abbiamo dimostrato che, con la terapia di triplice associazione, si raggiunge il 70% di ‘normalizzati’. Ora, se questo è possibile nella pratica clinica controllata, altrettanto dovrebbe esserlo nella pratica clinica aperta”.
Una volta stabilito che il vero colpevole dello scarso controllo pressorio è la mancata aderenza alla terapia, si viene a ridimensionare molto anche tutta l’enfasi data negli ultimi anni al problema dell’ipertensione cosiddetta ‘resistente’. Si tratta alla fine di un concetto ‘comodo’, che in qualche maniera solleva il medico dalla responsabilità del mancato raggiungimento degli obiettivi terapeutici, in una certa fascia di pazienti; ma nella realtà, i pazienti realmente ‘resistenti’, sono ben al di sotto del 5% del totale degli ipertesi. “Questo vuol dire – prosegue il professor Volpe - che in tutti gli altri, con la terapia farmacologica e le modifiche allo stile di vita, tranquillamente si possono raggiungere alte percentuali di controllo. Per questo ritengo che avere a disposizione una terapia di associazione duale o triplice nella stessa compressa, sarà la svolta epocale nella terapia dell’ipertensione. Dal punto di vista scientifico è abbastanza una sconfitta; si tratta di un approccio un po’ semplicistico, che può contrastare con la pratica clinica alla quale siamo stati abituati. Ma d’altra parte, di fronte al fallimento totale della terapia dell’ipertensione, nonostante le complicatissime linee guida a disposizione, credo che si debba fare qualcosa”.

E qualcosa in questo senso si sta muovendo. Un gruppo di sei esperti internazionali nel campo dell’ipertensione arteriosa, comprendente il professor Massimo Volpe, il francese Stéphane Laurent, past president dell’ESH, lo spagnolo Alejandro de la Sierra, il tedesco Reinhold Kreutz e il greco Athanasios Manolis, ha messo a punto una ‘piattaforma’ per il medico pratico, che offre una guida semplificata, ma efficace dell’ipertensione arteriosa.  In base ai livelli pressori e alle comorbilità, viene suggerito quale potrebbe essere una piattaforma basata su una monoterapia farmacologica o su una terapia di associazione (duplice o tripla), in modo da coprire tutte le tipologie di pazienti: da quelli con alterazioni dismetaboliche, a quelli con scompenso cardiaco, cardiopatia ischemia, nefropatia, dagli  fragili a quelli healthy. “Abbiamo realizzato uno schema colorato, di facile e immediata fruibilità- spiega il professor Volpe -  che è stato pubblicato lo scorso mese di marzo su High Blood Pressure and Cardiovascular Prevention; sta avendo molta risonanza tra i medici, perché risulta di grande utilità per la pratica clinica. Come farmaco di base abbiamo scelto l’olmesartan, perché nelle sue varie associazioni (con l’amlodipina o con l’idroclorotiazide – in Italia non è purtroppo disponibile la triplice associazione), dispone di tutte le combinazioni posologiche possibili e quindi è adattabile a tutti i pazienti”.
 
Maria Rita Montebelli

21 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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