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Carni e tumori. Quanto dobbiamo credere a quest’ultimo allarme dell’Oms?

di Fabrizio Gianfrate

Solo un paio di anni fa fu proprio l’organismo Onu di Ginevra a prendere la più macroscopica delle cantonate sulla presunta ecatombe in arrivo per l’influenza suina, perdendo buona parte della sua fino ad allora rilevante credibilità. Ma come stanno realmente le cose?

02 NOV - “Tesoro, vieni a tavola che i vermicelli si freddano”. Saranno i tradizionali spaghettoni o i lombrichi veri? Già, perché l’altro giorno l’EU ha approvato l’uso alimentare degli insetti, il “novel food”. Tutte proteine, fibre e pochi grassi. Perché, dicono, di carne per tutti i sette miliardi quanti siamo al mondo non ce n’è e gli allevamenti intensivi, direttamente o per produrne il mangime, minano sempre più l’ambiente e l’ecosistema. Insomma, se oggi le formiche in giro per casa mentre ceniamo sono una iattura, domani le rincorreremo per farci la frittata.
 
E poi, a quanto pare, la carne fa pure assai male. In perfetto sincrono col nulla osta al “novel food” di Bruxelles, l’OMS ci ha diffidato dal mangiare carni rosse e lavorate perché causano il cancro. Quindi, ammoniscono le più importanti Istituzioni, basta dannosi cotechini e salsicce, sotto con scodelle di sani bacherozzi e locuste. Sembra quasi che qualche dispettosa divinità dionisiaca abbia voluto con sottile sense of humor far coincidere le due notizie. “Quanno a tordi e quanno a grilli” racconta un vecchio proverbio romanesco, evidentemente profetico.
 
L’OMS suona la sirena sulla carne appaiandola nella blacklist a sigarette, vino e liquori, stupefacenti e stimolanti di vario ordine e grado, cibi grassi, vita sedentaria, stravizi sessuali di variegata natura e a tutte le assai numerose cause di malattia e deperimento che ci accompagnano dalla culla alla tomba, seducenti quanto nocive (le cose più piacevoli della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare). Quanto dobbiamo credere a quest’ultimo allarme sulla carne dell’OMS?
 
Solo un paio di anni fa fu proprio l’organismo ONU di Ginevra a prendere la più macroscopica delle cantonate sulla presunta ecatombe in arrivo per l’influenza suina, perdendo buona parte della sua fino ad allora rilevante credibilità: uno dei più macroscopici flop epocali dai tempi di Maifredi alla Juve o della Fiat Duna. L’apodissi contro salama da sugo, luganeghe e Co. rischia d’ingenerare nell’opinione pubblica le stesse paure prodotte da mucca pazza, influenza suina, aviaria e altre passate presunte apocalittiche piaghe da armageddon gastrometabolico. Con però una differenza fondamentale che a ben vedere ne ispessisce la dimensione.
 
Quelle erano distorsioni del sistema mentre l’allarme odierno è invece, come dire, più costituzionale, strutturale. La mucca diventò pazza perché le davano da mangiare le carni di scarto e le ossa tritate di altri bovini più vecchi (chi non lo diventerebbe pazzo se fosse costretto a mangiarsi sua nonna liofilizzata). Analogamente avvenne per l’annunciata ecatombe da influenza suina, una gigantesca bufala (per rimanere in zootecnia), col maiale monatto, o porco, incolpevole simbolo di nequizia anche solo come aggettivo sostantivato, persino quando messo a capo di tutti gli animali (Orwell).
 
Va da sé che di queste campagne “salutiste” dobbiamo apprezzare le migliori buone intenzioni e quel sedimento educativo che depositano quando la piena dell’attualità della notizia si ritira. Non bisogna mai dimenticare che i cattivi stili di vita si trasformano in costi e impegno del SSN, che curare pazienti dai comportamenti sbagliati assorbe risorse sottraendole alle cure anche dei pazienti dagli stili di vita corretti. Che certi comportamenti, insomma, se primariamente autolesionistici, diventano al contempo dannosi all’intera collettività di cui, volenti o nolenti, spesso dolenti, facciamo tutti parte nei diritti come nei doveri.
 
E che la prevenzione è la migliore delle prestazioni sanitarie (ma siamo tra i Paesi EU che investe meno). E che è poco educativa la battuta, pur deliziosa, di Woody Allen: “se smetto di fumare vivrò una settimana più a lungo, ma in quella settimana pioverà”. Bisogna tuttavia prestare grande attenzione a ciò che massime istituzioni come OMS ed EU dicono e comunicano “urbi et orbi”, specialmente su temi che richiamano l’attenzione di tutti. Troppi dimenticano che nel rapporto tra scienza, salute pubblica e opinione della gente comune a comandare è quell’asimmetria informativa anarchica e dispettosa, potenzialmente assai dannosa.
 
Allora, in merito, è d’obbligo comunicare e informare con grande prudenza e buon senso. Per addomesticare quelle tentazioni eccessivamente moraliste, talvolta persino puriste, da regole teocratiche (socialmente utili a certi climi, ma nate quando il frigorifero non esisteva) o da stato etico hegeliano, di peccato in rima con reato, che a volte anima certe posizioni intransigenti di coloro che, detto per slogan, ci vorrebbero far vivere da malati così da morire sani. Perché, qui il punto, scienza e civiltà, ma ancora di più millenni di evoluzione hanno, evidentemente non a caso, portato l’homo sapiens a dominare dal vertice la piramide alimentare proprio masticando e ingerendo nobili proteine animali con annesse vitamine e micronutrienti (carne).
 
Il che c’insegna e ammonisce dalla notte dei tempi a restare in quella mediana lontana ed equidistante dagli estremi. Perché se è vero che la morte si sconta vivendo, come dice Ungaretti, ciò vale in modo ambivalente nei due opposti, col troppo e col troppo poco. Il Siddharta paupero-nichilista di Hesse che digiuna e rinuncia, il ciccione bulimico de “il senso della vita” dei Monthy Python che esplode alla fine del torrenziale pasto.
 
Educazione all’equilibrio nella nutrizione e negli stili di vita sani già nella scuola primaria, allora. Era anche il tema di partenza dell’Expo, benché poi dalla nobile nutrizione del globo si sia scivolato prima nella profittevole alimentazione dei Paesi ricchi per poi ruzzolare nella ristorazione di massa, soprattutto quella in coda per ore (questo considerato evidentemente segno di trionfale successo della manifestazione) Educazione e formazione nei giovani per far crescere coscienza e responsabilità negli adulti di domani. Perché possano scegliere consapevolmente anche di trasgredire, serve anche quello, ma senza trascendere una data soglia di responsabilità verso se stessi e la collettività di cui si è parte.
 
Ecco perché possono suonare stonate certe drammatizzazioni nella sostanza o nell’interpretazione mediatica come quelle dell’OMS sulla carne. E di concerto come sia al limite del ridicolo solo pensare di rimpiazzare le nostre tradizioni culinarie storiche con le indicazioni entomologiche dell’EU. Proprio in Italia, poi, la patria del buon cibo, in cui il cibo è valore che accomuna, appiana e affratella (l’antitesi del bellicoso antagonismo competitivo trasmesso in materia dai vari “masterchef”).
 
Insomma, il no alla carne e il sì alle cavallette sarà difficile avrà successo. Gargantua e Pantagruel non si sarebbero avventati sui bacherozzi con la stessa furia che sulle pernici bianche. E non vedremo il super-chef carogna maltrattare belluinamente l’aspirante cuoco sul fricandò di blatte poco condito o la presentatrice di mezzogiorno squittire garrula sul fragrante stufato di locuste caldo caldo. Insomma, il guanciale di amatrice o la porchetta di Ariccia, per quanto temibili di strage, non molleranno al Tafano Dop di Manziana o all’Arenicola IGP di Santa Marinella. Insomma la carbonara non sarà scalzata dalla frittura di mosche.
 
In quel remoto caso, eventualmente, un vantaggio pratico ci sarebbe pure: quando non avessimo voglia di uscire a fare la spesa, almeno nei mesi più caldi, basterà “farla” in salotto con la finestra aperta… una decina di minuti e la spesa sarà fatta. Buon appetito
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

02 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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