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Melanoma: scoperto il suo tallone d’Achille. Per gli scienziati potrebbe portare a una cura definitiva

di Maria Rita Montebelli

In Belgio un team di scienziati, comprendente molti italiani, ha scoperto che lo sviluppo dei melanomi maligni è del tutto dipendente da un gene non codificante, detto SAMMSON. Un’altra buona notizia è che la sua azione può essere bloccata in maniera mirata da molecole antisenso, che negli studi preclinici sono riuscite ad arrestare del tutto la crescita del tumore. La ricerca è pubblicata su Nature.

24 MAR - Un gruppo di scienziati belgi ha scoperto la presenza di un importante legame tra melanoma maligno e un gene particolare, detto SAMMSON. La crescita delle forme aggressive di questo tumore della pelle sembra essere strettamente dipendente da questo gene. Una scoperta questa che potrebbe aprire la strada a nuovi strumenti di diagnosi e a trattamenti innovativi e che di certo farà molto parlare di sé, prevedono gli autori.
 
Fino a poco tempo fa si riteneva che un’ampia parte del DNA fosse ‘di scarto’, in quanto non codificante; di recente tuttavia si è scoperto che molti di questi RNA non codificanti proteine svolgono un ruolo importante in una serie di processi biologici e possono dunque essere implicati in una serie di patologie. Gli scienziati belgi, autori di questa nuova ricerca hanno appunto trascorso gli ultimi due anni a studiare il contributo allo sviluppo dei tumori dato da alcuni di questi geni ‘non codificanti’. Quelli più interessanti al riguardo sembrano essere i cosiddetti geni lncRNA (long non-coding RNA).
 
La ricerca, frutto della collaborazione tra l’Istituto Fiammingo di Biotecnologie (VIB)/Università di Leuven e il dipartimento di pediatria e di genetica medica dell’Università di Gent, è consistita in un ampio screening volto a studiare l’espressione di numerosi lncRNA in una serie di tumori. Questo screening ha consentito di individuare il gene SAMMSON, come lncRNA specifico del melanoma.
 
“Il nostro studio – spiega Pieter Mestdagh dell’Università di Gent – ha dimostrato che il gene SAMMSON è espresso in maniera specifica nel melanoma umano e risulta duplicato o amplificato nel 10% dei casi. Non è possibile ritrovarlo nei melanociti normali, né in altre cellule adulte normali. Questo ci ha indotto a ritenere che il gene SAMMSON potrebbe giocare un ruolo di primo piano nell’eziologia del melanoma.”
 
Il gruppo del VIB ha confermato che il gene SAMMSON è espresso in oltre il 90% dei melanomi maligni umani e ha dimostrato inoltre che il gene viene attivato dal melanoma-specific transcription factor SOX10. Ma non è tutto. Le cellule di melanoma presentano una vera e propria ‘dipendenza’ dall’espressione di questo gene. Riducendo la presenza del SAMMSON nelle colture di melanoma, le cellule tumorali muoiono rapidamente e in maniera massiccia, a prescindere dal tipo di melanoma. Questo ha portato gli scienziati a parlare di ‘SAMMSON -dipendenza’.
 
“Sia gli studi in vitro che quelli preclinici sugli animali da esperimento – afferma Jean-Christophe Marine del VIB - hanno dimostrato che bloccando il SAMMSON per mezzo di molecole antisenso mirate, si riesce a ridurre la crescita del melanoma in maniera drastica. Un altro dato molto importante emerso dalla nostra ricerca è che il SAMMSON viene reclutato dai mitocondri, gli organelli che producono energia per la cellula. Promuovendo la degradazione del SAMMSON, le molecole antisenso distruggono l’attività mitocondriale, vitale per il tumore e la sua crescita ne risulta così compromessa. Insomma la ‘dipendenza’ da SAMMSON è un punto di vulnerabilità del tumore che possiamo colpire attraverso una terapia a target, senza danneggiare le cellule normali del paziente”.
 
Ulteriori ricerche dovranno validare il SAMMSON come biomarcatore del melanoma maligno; questo gene non è espresso nei melanomi benigni. Per questo gli studiosi belgi ritengono che rappresenti un elemento importante da sviluppare in strumenti diagnostici che contribuirebbero a migliorare in maniera drammatica la prognosi del melanoma. La speranza, come visto, è anche quella di arrivare presto a nuovi trattamenti per questo tipo di neoplasia. Gi stessi ricercatori hanno annunciato di voler presto avviare gli studi tossicologici e stanno cercano partnership aziendali per sviluppare nuove terapie basate sulla loro scoperta.
 
Tra gli autori di questo importante lavoro, molti i nomi italiani. La prima firma è di Eleonora Leucci.
 
Maria Rita Montebelli

24 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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