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Sclerosi e Metodo Zamboni. I pazienti: “La valutazione deve essere oggettiva, ci sentiamo presi in giro”


Il dibattito tra chi dice che sclerosi multipla e insufficienza cerebrospinale venosa non siano collegate e chi pensa il contrario sembra infinito. Il botta e risposta nella comunità scientifica continua. Ma la ricerca ancora non parte, almeno in Italia. E i pazienti chiedono chiarezza.

06 DIC - Si riaccende il dibattito sul legame tra sclerosi multipla e insufficienza cerebrospinale venosa (CCSVI) e sulla tecnica proposta dal medico italiano Paolo Zamboni per trattare la terribile patologia, che colpisce ad oggi 60mila italiani. Stavolta è Giancarlo Comi, presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN), a riaccendere la discussione definendo “un bravo ragazzo, ma scientificamente inesistente” Fabrizio Salvi, medico dell’Ospedale di Bellaria di Bologna che da sempre appoggia Zamboni nelle indagini sulle due patologie. Le parole, pronunciate ai microfoni della trasmissione Report, hanno già provocato l’accesa risposta delle associazioni dei pazienti affetti da CCSVI, che fino ad oggi hanno chiesto di fare chiarezza sulle procedure terapeutiche, reclamando il proprio diritto alla salute.
 
Cosa è successo finora. Nel 2010 il congresso scientifico internazionale ECTRIMS (European Committee for Treatment And Research in Multiple Sclerosis) è giunto alla conclusione che non ci siano abbastanza prove a sostegno che la sclerosi multipla sia causata dalla insufficienza cerebrospinale venosa (CCSVI), come proposto qualche anno fa dal chirurgo vascolare Paolo Zamboni. Tuttavia, le evidenze di alcuni studi condotti sulle due patologie instillano un dubbio: alcuni pazienti affetti da sclerosi multipla presentano un restringimento delle vene cervicali e toraciche che rende difficile il deflusso del sangue dal sistema nervoso centrale a livello di collo, torace e colonna vertebrale. Nonostante il parere del congresso, secondo alcuni esperti sarebbe proprio questa la causa dell’affaticamento e del rallentamento dei movimenti che provano i pazienti, mentre secondo altri ne sarebbe semplicemente conseguenza.
A complicare ulteriormente il quadro un ulteriore dato: a seconda dei criteri utilizzati per cercare la correlazione, talvolta questa addirittura sembra scomparire del tutto. Tuttavia, a partire dall’ipotesi che le due patologie siano connesse, attraverso un semplice intervento ideato dallo stesso chirurgo vascolare le condizioni dei pazienti talvolta migliorano: alcuni ritrovano la capacità di scrivere, altri quella di alzarsi in piedi da soli, altri ancora quella di correre. Il procedimento, chiamato proprio “metodo Zamboni”, consiste nell’applicare tramite catetere un palloncino angioplastico, che si dilata all’altezza dei vasi sanguigni bloccati e ristabilisce il corretto flusso di sangue.
 
 Una procedura che spacca in due il mondo accademico. Da una parte numerosi neurologi, che non credono che la CCSVI possa essere causa della sclerosi e che non sono convinti della sicurezza o del reale beneficio offerto dal trattamento. Dall’altra numerosi chirurghi vascolari che nelle cliniche private già offrono l’intervento a pagamento, spesso con buoni risultati. In mezzo alla diatriba ci sono i pazienti, che guardano alla procedura con speranza, come una possibile soluzione ai loro problemi. Questi – così come Zamboni – chiedono solo che si possa avviare una sperimentazione che risolva finalmente tutti i dubbi sulla sicurezza e sul beneficio del metodo Zamboni.
Sperimentazioni sono infatti state condotte, ma nessuna con i criteri indicati dal chirurgo vascolare e quasi sempre su di un numero ristretto di pazienti. Il più grande, condotto a Buffalo, presenta risultati quantomeno poco chiari, che cambiano a seconda del campione considerato, dal quale la CCSVI risulta presente anche in numerosi soggetti del tutto sani, facendo pensare che non si tratti affatto di una patologia.
 
La soluzione? Potrebbe essere la ricerca Brave Dreams (BRAin VEnous DRainage Exploited Against Multiple Sclerosis), uno studio clinico multicentrico in doppio cieco promosso dalla Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara e dalla Regione Emilia Romagna. Questo prevederebbe un campione di 679 pazienti e confronterebbe gli esiti di un intervento di flebografia con angioplastica venosa con un trattamento di controllo in cui viene effettuata solo la flebografia. L’uso del condizionale è dovuto ad una serie di problemi burocratici ed economici che ad oggi hanno bloccato il progetto, impedendo la sperimentazione che potrebbe risolvere gli ultimi dubbi.
Lo studio costa infatti 2 milioni e mezzo di euro, fondi che sono stati recuperati solo in parte. Altri finanziamenti sono stati promessi dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM). Questi sono però vincolati al risultato di un altro studio sulla relazione tra la patologia e la CCSVI, lo studio Cosmo. Questa ricerca – dalla quale tra l’altro Zamboni aveva preso le distanze affermando che valutava una procedura diversa da quella da lui ideata – dovrà essere valutata proprio dal comitato scientifico della Federazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM), di cui Comi è consigliere di amministrazione.
 
Il cerchio si chiude? Appena qualche giorno fa lo stesso Comi ha definito uno dei collaboratori storici di Zamboni, Fabrizio Salvi, come un “pervertito all’idea di essere neurologo”. Una dichiarazione che sembra lasciare poca speranza al fatto che il progetto Brave Dreams possa effettivamente partire. E che ha scatenato l’ira della CCSVI-Campania Onlus, organizzazione no-profit a sostegno della ricerca su sclerosi multipla e la CCSVI e del diritto alla salute dei pazienti affetti da questa patologie. “Ci chiediamo come sia possibile che la valutazione sia oggettiva se il professor Comi ha già deciso che la patologia in questione non esiste”, ha detto seccamente Celeste Covino, presidente della CCSVI-Campania Onlus. “Sembra un’offesa alla nostra intelligenza. La CCSVI non esiste? Dateci modo di valutarlo. Non vogliamo altro che salvarci la vita, non altro che avere il diritto di poter mantenere la nostra dignità, visto che già questa malattia ci calpesta riducendoci a vegetali.”
 
Una storia che appare quasi senza fine, quantomeno in Italia. All’estero, e in particolare in Canada, non sembrano invece essere intenzionati a perdere altro tempo. Gli Institutes of Health Research hanno infatti avviato la procedura per far partire uno studio sul legame tra CCSVI e sclerosi multipla. Una ricerca pubblica, che verrà probabilmente finanziata dal governo con un investimento tra i 3 e i 5 milioni di dollari.
E che, speriamo, dimostri finalmente se il metodo Zamboni può essere un’opzione terapeutica reale.
 
Laura Berardi

06 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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