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Banco farmaceutico 2018: “Cresce il bisogno di farmaci e sono 539 mila le persone che non possono curarsi e acquistare medicinali”


Presentato oggi a Roma il Rapporto 2018 della Fondazione. Evidenziata la crescita del 22% negli ultimi 5 anni del bisogno di farmaci. Focus sulle povertà: Le famiglie povere spendono in farmaci il 54% del proprio budget sanitario (contro il 40% delle altre famiglie) perché investono meno in prevenzione. Stimate in 13,7 mln le persone che tirano la cinghia per pagarsi le cure. IL RAPPORTO.

13 NOV - “Le famiglie povere spendono in farmaci il 54% del proprio budget sanitario (contro il 40% delle altre famiglie) perché investono meno in prevenzione. Spendono per il dentista solo 2,35 euro mensili (24,83 euro le altre famiglie). 13,7 milioni di individui risparmiano su visite mediche e accertamenti. Ma il SSN copre solo il 59,4% della spesa farmaceutica”.
 
Inoltre, “nel 2018, 539.000 poveri non si sono potuti permettere le cure mediche e i farmaci di cui avevano bisogno. Si tratta mediamente del 10,7% dei poveri assoluti italiani. La richiesta di farmaci (993.000 nel 2018) è aumentata del 22% nel quinquennio 2013-2018. Servono soprattutto farmaci per il sistema nervoso (32%), l’apparato muscolo-scheletrico (16%), il tratto alimentare e metabolico (13,4%), l’apparato respiratorio (8,7%) e le patologie dermatologiche (6,3%). Anche quest’anno, inoltre, più 13 milioni di persone hanno limitato le spese per visite e accertamenti”.
  
È quanto è emerso dal Rapporto 2018 - Donare per curare: Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e BFResearch e realizzato, con il contributo incondizionato di IBSA, dall’Osservatorio Donazione Farmaci (organo di ricerca di Banco Farmaceutico). Il Rapporto 2018, presentato presso la sede di AIFA il 13 novembre, si è avvalso del contributo del comitato tecnico scientifico composto da Giancarlo Rovati, Gian Carlo Blangiardo, Massimo Angelelli (CEI), Silvio Garattini (Istituto Mario Negri), Francesco Soddu (Caritas Italiana), Marco Bregni (Associazione Medicina e Persona) Roberto Rossini (ACLI), Francesco Rocca (Croce Rossa) e Antonello Zangrandi.
 
I poveri spendono per la salute un quinto degli altri…
A causa di spese più urgenti (perché non rinviabili), le famiglie povere destinano alla salute solo il 2,54% della propria spesa totale, contro il 4,49% delle famiglie non povere. In particolare, possono spendere solo 117 euro l’anno (con un aggravio di 11 euro in più rispetto all’anno precedente), mentre il resto delle persone può spendere 703 euro l’anno per curarsi (+8 euro rispetto all’anno precedente).
 
…ma spendono più soldi in farmaci perché fanno meno prevenzione…
Per le famiglie indigenti, inoltre, la quota principale della spesa sanitaria è destinata ai medicinali: 12,30 euro mensili, pari al 54% del totale. Il resto delle famiglie destina ai farmaci solo il 40% della spesa sanitaria, perché investe maggiormente in prevenzione.
 
…e possono spendere solo 2,35 euro al mese per il dentista
In tal senso, è particolarmente sintomatica le spesa delle persone in stato di indigenza per i servizi odontoiatrici: 2,35 euro mensili, contro 24,83 euro del resto della popolazione. Non è un caso che la cattiva condizione del cavo orale sia diventato un indicatore dello stato di povertà (economica e culturale).
 
13,7 milioni di persone risparmiano sulle cure…
La strategia del risparmio coinvolge 5,66 milioni di famiglie e 13,7 milioni di individui, configurandosi come un vero e proprio comportamento di massa. Nel triennio 2014-16 la percentuale di italiani, tra le famiglie non povere, che ha limitato il numero di visite e accertamenti è passato dal 24 al 20%. La quota, invece, è aumentata tra le famiglie povere, passando dal 43,4% al 44,6%.
 
...ma la quota di spesa sanitaria a carico delle famiglie aumenta
Nonostante questa strategia di contenimento della spesa sanitaria a proprio carico, i dati ufficiali indicano una progressiva divaricazione tra la spesa pubblica (in riduzione) e quella privata (in aumento). In particolare, la quota di spesa per assistenza farmaceutica non sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale e a carico totale delle famiglie sfiora il record storico, passando al 40,6% rispetto al 37,3% dell’anno precedente.
 
nel 2017 record di mortalità – c’è un legame con la crisi?
“Dal più recente bilancio demografico diffuso dall’Istat, nel 2017 i morti, in Italia, sono stati 649mila, 34mila in più rispetto al 2016. Nel 2015, i morti sono stati 50mila in più rispetto al 2014. Nell’ultimo secolo, solo nel corso della seconda guerra mondiale (1941-1944) e nel 1929 si registrano picchi analoghi. Il richiamo al 1929 evoca un legame tra malessere economico e debolezza del sistema socio-sanitario che, pur con tutte le varianti e le riletture indotte dai tempi moderni, può aiutarci a capire l’altalena della mortalità su cui rischia di adagiarsi la popolazione italiana”, scrive Gian Carlo Blangiardo nel suo editoriale contenuto nel Rapporto sulla Povertà sanitaria 2018.
 
"Apprezzamento per l'iniziativa - ha scritto in un messaggio il Ministro della Salute, Giulia Grillo - che sono certa, rappresenterà un'occasione preziosa per soffermarsi su una problematica di grabde interesse sociale e per confrontarsi sui possibili strumenti perché il diritto all'assistenza, compresa quella farmaceutica, sia garantito in condizioni di effettiva eguaglianza". 

“Per l’Agenzia Italiana del Farmaco, il cui obiettivo primario è la tutela della salute attraverso i medicinali, è fondamentale realizzare sinergie tra le Istituzioni, gli enti no profit e l’intera filiera del farmaco con l’obiettivo di eliminare quelle barriere socio-economiche, culturali e geografiche che possono ostacolare l’accesso alle terapie. Il bisogno terapeutico è uguale per tutti i cittadini e non può conoscere limitazioni” - ha dichiarato il Direttore Generale dell’AIFA Luca Li Bassi - “Le analisi messe a disposizione da Banco Farmaceutico attraverso l’Osservatorio sulla povertà sanitaria rappresentano un importante contributo di conoscenza sia per analizzare la situazione socio-economica del nostro Paese e le sue ricadute sulla salute pubblica che per individuare strategie di politica sanitaria che tengano conto della correlazione esistente tra la povertà e lo stato di salute dei cittadini”.
 
“Sono davvero troppe le persone che non hanno un reddito sufficiente a permettersi il minimo indispensabile per sopravvivere. I dati pubblicati quest’anno nel Rapporto sulla Povertà Sanitaria dimostrano che il fenomeno si è sostanzialmente consolidato nel tempo e che, prevedibilmente, non è destinato a diminuire sensibilmente nei prossimi anni. Siamo anche convinti che il nostro Paese è caratterizzato da una cultura del dono che si esprime in maniera particolarmente visibile durante la Giornata di Raccolta del Farmaco, quando centinaia di migliaia di cittadini donano un medicinale per chi è più sfortunato. La strada per cambiare le cose è che quella cultura si diffonda sempre più anche tra le istituzioni e le aziende farmaceutiche e che quest’ultime inizino a contemplare la donazione non più come un’eccezione, ma come parte del proprio modello di sviluppo imprenditoriale destinato al bene di tutta la comunità”, ha affermato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus.
  
“Grazie alla collaborazione scientifica instaurata da alcuni soci SIF con il Banco Farmaceutico – ha riferito Silvano Cella (Università di Milano) in rappresentanza della Società Italiana di Farmacologia (SIF) – è stato già possibile indirizzare la nostra attenzione sulla dispensazione dei farmaci usati per il trattamento di alcune patologie croniche non trasmissibili come il diabete mellito, le affezioni cardiovascolari e il disagio psichico e i nostri dati preliminari confermano che queste condizioni rappresentano un pesante fardello di malattia tra i più poveri, con rilevanti differenze su base etnica”.
“Dalle nostre analisi preliminari – ha continuato – emerge che nella popolazione migrante il T2DM sembra avere un esordio più precoce rispetto agli italiani, è meno legato all’obesità e alle malattie cardiovascolari, ma determina più frequentemente complicanze renali. Inoltre i diabetici migranti ricevono terapie anti-diabetiche meno intensive e un numero minore di farmaci per la terapia delle patologie concomitanti”.

13 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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