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Toscana. Depositate le prime firme per abrogazione riforma sanitaria. Collegio di garanzia dovrà verificare la sua ammssibilità

In caso di accoglimento, sarà pubblicato sul Burt il quesito referendario e “da quell’istante inizieranno i 3 mesi necessari per raccogliere le residue 38 mila firme delle 40 mila necessarie”, ha spiegato Giuseppe Ricci, portavoce del comitato ed ex direttore generale Asl di Arezzo.

29 GIU - Depositate stamane circa 4mila (richieste almeno 2mila) firme per avviare il referendum abrogativo della riforma sanitaria toscana. Giuseppe Ricci, portavoce comitato referendario ed ex direttore generale Asl di Arezzo, ha spiegato che “oggi abbiamo depositato le prime firme. Adesso il collegio di garanzia del Consiglio toscano ha circa 40 giorni per verificare l’ammissibilità e la regolarità delle firme. Dopodiché sarà pubblicato sul Burt il quesito referendario e da quell’istante inizieranno i 3 mesi necessari per raccogliere le residue 38 mila firme delle 40 mila necessarie”.

Cinque le ragioni alla base dell’iniziativa. In primis si ritiene che la riforma sia “il frutto di una decisione affrettata e solitaria, in assenza di un dibattito approfondito, senza una vasta consultazione come era sempre avvenuto in precedenza per riforme del genere, senza il necessario coinvolgimento dei Comuni, delle comunità locali e degli operatori della sanità”.

I promotori criticano l’idea fondante, “meglio la scommessa, della riforma”, cioè che riducendo il numero delle Asl e concentrando in poche mani i livelli di programmazione, direzione e gestione si ottengano risparmi economici, miglioramenti dell’efficienza e della qualità dei servizi. Questa idea non trova riscontro nella realtà perché le esperienze nazionali e internazionali dimostrano che – nove volte su dieci – le macrofusioni organizzative in sanità producono l’effetto contrario: fanno aumentare i costi e riducono l’efficienza e la qualità dei servizi”.

Altra critica formulata riguarda “il gigantismo organizzativo” che, scrive il Comitato, “in sanità non paga: aumenta la complessità organizzativa e finanziaria, diminuisce la capacità di controllo sul funzionamento dei servizi e aumentano le distanze tra il livello decisionale e la partecipazione democratica, e si riducono quasi a zero le possibilità di influenza dei sindaci e delle comunità locali. La Asl dell’area vasta centro (Firenze, Prato, Pistoia e Empoli) conta circa un milione e seicento mila abitanti e si troverà a gestire un budget annuale di circa 3 miliardi di euro. Una tale concentrazione di denaro rischia di risvegliare non pochi appetiti, in una situazione di corruzione e malaffare dilagante, che non ha certamente risparmiato la Toscana”.

Viene poi giudicata una scommessa molto rischiosa la fusione delle Asl poiché “lungi dall’ottenere i risparmi attesi - per un lungo periodo di tempo la sanità toscana sarà impegnata in un defatigante processo di riorganizzazione interna che certamente non gioverà al “clima” all’interno delle ASL e al buon funzionamento dei servizi. Si tratta in realtà di una vasta operazione di distrazione di massa dietro cui si cela il vero obiettivo politico della riforma: ridurre il finanziamento del servizio sanitario pubblico attraverso un drastico taglio del personale: in Toscana nel biennio 2015-16 se ne andranno 2.260 operatori (e non saranno sostituiti), che sommati ai 2.500 dipendenti “persi” negli ultimi anni portano a un taglio del personale del servizio sanitario regionale vicino a un – 10% del totale. Aumenteranno le liste di attesa e soffrirà la qualità dei servizi, mentre – a causa del blocco delle assunzioni – crescerà l’esodo di giovani medici e infermieri verso l’estero”.

Nel complesso, conclude il comitato promotore, lunghi tempi di attesa associati a ticket particolarmente costosi “è un mix in grado di produrre migrazioni di massa verso il settore privato, soprattutto se questo mette sul mercato prestazioni low cost. Anche questo è un effetto – e un obiettivo (non dichiarato) – del definanziamento del servizio sanitario pubblico. ll mix che porta alla privatizzazione ha naturalmente costi sociali elevati, rappresentati dalle persone che rinunciano a prestazioni sanitarie o all’acquisto di farmaci a causa di motivi economici o carenze di strutture di offerta”.

29 giugno 2015
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