Gentile direttore,
sin dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e mediante successive disposizioni normative di conferma e provvedimenti attuativi mai sottoposti a revisione legislativa, l’ordinamento giuridico italiano attribuisce alle Aziende Sanitarie la copertura finanziaria delle prestazioni sociosanitarie, ivi comprese quelle socio-assistenziali, qualora strettamente connesse a trattamenti sanitari.
Tale principio assume una particolare rilevanza economica per quanto concerne l’erogazione di prestazioni residenziali di lungo assistenza rivolte a soggetti affetti da disabilità grave o gravissima, nonché ad anziani non autosufficienti con patologie cronico-degenerative (quali, a titolo esemplificativo, il morbo di Alzheimer), per i quali l’integrazione tra cure sanitarie e assistenziali risulta inscindibile.
Nonostante l’elevato onere economico derivante da tali prestazioni (le rette mensili si attestano generalmente tra i 3.000 e i 4.000 euro), è noto che la giurisprudenza della Corte di Cassazione* abbia costantemente ribadito negli ultimi dodici anni, che tali costi debbano essere a carico del SSN e, conseguentemente, delle Aziende Sanitarie, anche qualora l’erogazione avvenga in regime di lungo assistenza (ex art. 3-septies D.lgs. 502/92). Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che non possono esistere “diritti di salute a tempo” (Sent. 1/2020) e che ogni piano personalizzato di assistenza, anche residenziale, debba esser riconfermato via via, laddove necessario.
L’alternativa alla copertura sanitaria stabilita dalle norme e ribadita in sede di legittimità, è la certo meno efficace copertura sociale, affidata come noto alle esigue finanze comunali e alle famiglie (con lo strumento dell’idee sociosanitario) e con soglie d’accesso per l’utenza che raramente consentono una reale contribuzione pubblica.
Nonostante le reiterate contestazioni avanzate dagli enti erogatori e dalle Aziende Sanitarie, la consolidata interpretazione della Suprema Corte ha determinato un incremento del contenzioso, con una crescente attenzione mediatica sulla questione.
L’Associazione Luca Coscioni denuncia da anni l’assenza di una politica sanitaria adeguata e sollecita l’approvazione di un nuovo Piano Sanitario Nazionale, assente dal 2006. Chiede un riequilibrio delle risorse, spostandole dagli ospedali alla cronicità e alla disabilità, e un piano per colmare la carenza di personale infermieristico. Propone inoltre di rafforzare le interazioni tra le varie strutture sanitarie e migliorare il monitoraggio della qualità dei servizi, rendendo più tempestiva la valutazione dei LEA (Link)
L’Intervento Legislativo e le Sue Implicazioni
Nel tentativo di porre un freno – che si palesa abborracciato e temporaneo, iniquo e di certo inefficace – a tale situazione giurisprudenziale, gli enti coinvolti hanno sollecitato un intervento parlamentare “bloccaprocessi”.
E’ legittimo modificare una norma sostanziale di tale impatto, ma una simile modifica avrebbe richiesto un adeguato dibattito pubblico sull’allocazione delle risorse pubbliche ed un accurato riesame della stratificata normativa primaria e secondaria di riferimento, considerata la rilevanza della materia per enti e famiglie coinvolte nei progetti di cura. Così come proposto dall’emendamento che segue, non si risolve alcunché.
Ma è evidente che l’intento del proponente è un’altro: raccogliere l’SOS delle Aziende Sanitarie per i giudizi in corso, per fermare i quali non basta modificare le norme per il futuro, ma occorre una soluzione retroattiva che impedisca le “vittorie” nei Tribunali che si allineano (non tutti, alcuni “resistono”) all’indirizzo della Corte di Cassazione.
Criticità dell’Intervento Normativo
L’intervento non incide direttamente sulle disposizioni di maggior rilievo che disciplinano la materia, ma si limita a modificare in via retroattiva l’art. 30 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, una norma che, pur rilevante, non rappresenta l’elemento cardine del quadro normativo di riferimento. Tale scelta rischia di generare ulteriori incertezze interpretative e un incremento del contenzioso, anziché fornire una soluzione sistematica e coerente.
L’emendamento in questione, proposto dalla Relatrice di maggioranza Cantù pende alla 10ª Commissione permanente (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato, è formulato nei seguenti termini:
Testo dell’Emendamento n. 13.0.400 al DDL “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria” (A.S. 1241)
“La Relatrice (Cantù) Dopo l’articolo, aggiungere il seguente: «Art. 13-bis (Modifiche all’articolo 30 della legge 27 dicembre 1983, n. 730)
1. All’articolo 30, comma 1, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, le parole “Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali” sono sostituite dalle seguenti “Sono a carico del fondo sanitario nazionale esclusivamente gli oneri delle attività di rilievo sanitario anche se connesse con quelle socio-assistenziali”.
2. Le disposizioni di cui al primo comma si applicano anche agli eventuali procedimenti giurisdizionali in essere alla data di entrata in vigore della presente legge.»”
Conclusioni
L’emendamento in esame solleva rilevanti questioni di legittimità costituzionale e sistematicità normativa. L’attribuzione retroattiva di un’interpretazione restrittiva degli oneri a carico del SSN rischia di compromettere il diritto alla tutela sociosanitaria di soggetti particolarmente vulnerabili, oltre a porsi in contrasto con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. La mancata riforma organica del quadro normativo, unitamente all’intervento su una disposizione secondaria, potrebbe inoltre determinare un’accentuazione del caos interpretativo e applicativo, con conseguenti ricadute negative sia per le famiglie che per il sistema sanitario nazionale.
Claudia Moretti
Avvocata e Consigliera dell’Associazione Coscioni