Autonomia differenziata e Ssn: il rischio concreto di nuove disuguaglianze

Autonomia differenziata e Ssn: il rischio concreto di nuove disuguaglianze

Autonomia differenziata e Ssn: il rischio concreto di nuove disuguaglianze
In un convegno promosso dall’Associazione Italiana di Economia Sanitaria (Aies) al Senato, esperti e istituzioni hanno discusso l’impatto della Legge 86/2024 sull’equità del Servizio sanitario nazionale. Tra analisi economiche e riflessioni organizzative, il messaggio è chiaro: senza LEP definiti e meccanismi di governance multilivello, l’autonomia rischia di amplificare le disuguaglianze tra territori

L’autonomia differenziata alimenta il confronto politico in Italia da diversi decenni. Un argomento, di grande attualità reso ancor più rilevante dalla recente approvazione della Legge n. 86/2024, che regola l’attuazione dell’autonomia differenziata prevista dall’articolo 116 della Costituzione in 23 ambiti, tra cui quello cruciale della tutela della salute, un ambito in cui il livello regionale ricopre un ruolo centrale nella programmazione ed nell’erogazione dei servizi sanitari sin dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale e dove si osservano significativi livelli di variabilità dell’offerta e dei risultati ottenuti.

Il tema è stato al centro de convegno “Salute e Livelli Essenziali delle Prestazioni: Tra Regionalismo Differenziato e Disuguaglianze Territoriali”, organizzato a Roma in Senato, promosso dall’Associazione Italiana di Economia Sanitaria (AIES).

L’evento ha rappresentato un momento di riflessione collettiva sulle implicazioni che l’autonomia differenziata può avere sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), già caratterizzato da significative differenze territoriali nella programmazione, nell’offerta e negli esiti delle cure. Già oggi, pur in presenza di risorse sostanzialmente simili tra le Regioni, il monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) evidenzia ampie disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi. Senza l’introduzione di meccanismi efficaci per garantire standard minimi omogenei, l’ampliamento degli spazi di autonomia rischia di accentuare ulteriormente tali disuguaglianze.

L’iniziativa ha avuto un duplice obiettivo: da un lato, alimentare il dibattito pubblico e scientifico sul rapporto tra autonomia e equità, mettendo in evidenza le implicazioni dell’autonomia differenziata sia in prospettiva economica che in prospettiva di management sanitario; dall’altro, offrire spunti concreti per orientare i decisori politici nella definizione di strumenti che, pur riconoscendo il ruolo centrale delle Regioni, sappiano prevenire un’ulteriore frammentazione del sistema e nell’implementazione di interventi volti a bilanciare l’attribuzione di autonomia con il contenimento delle disuguaglianze territoriali.,

La giornata si è articolata in due momenti: una sessione mattutina di confronto scientifico con gli interventi di Rosella Levaggi (Università di Brescia), Francesco Longo (Università Bocconi e CERGAS SDA Bocconi), Gilberto Turati (Università Cattolica del Sacro Cuore) e Milena Vainieri (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa), accademici esperti sul tema, e una tavola rotonda pomeridiana che ha coinvolto stakeholder del settore e personalità delle istituzioni, tra cui Renato Balduzzi (Università Cattolica del Sacro Cuore ed ex Ministero della Salute), Ettore Cinque (Assessore al Bilancio della Regione Campania) e Stefania Gabriele (Ufficio Parlamentare di Bilancio).

Nel suo intervento la professoressa Levaggi ha analizzato le tensioni tra regionalismo differenziato e principi di equità orizzontale e verticale e di equità di accesso. A livello organizzativo, il decentramento funziona bene per i beni pubblici locali, ma le prestazioni sanitarie sono beni meritori, cioè beni per i quali il decisore pubblico ritiene opportuno imporre (o indurre) un consumo positivo (o superiore a quello che l’individuo riterrebbe ottimale). Come si possono dunque riconciliare il finanziamento pubblico centralizzato da parte del governo centrale con l’erogazione delle prestazioni affidata alle Regioni? Solo in presenza di dotazioni, competenze organizzative e standard qualitativi omogenei sul territorio nazionale, condizione che in Italia è tutt’altro che realizzata. Levaggi ha mostrato come la disomogeneità nella distribuzione delle risorse, delle dotazioni e della qualità dei servizi offerti generino un forte aumento nei tempi di attesa e un crescente i divari di qualità percepita e facciano aumentare la mobilità sanitaria interregionale, con un massiccio spostamento di pazienti e risorse dal Mezzogiorno alle Regioni del Nord, soprattutto Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Questo fenomeno, se da un lato offre opportunità di cura migliori, dall’altro contribuisce a indebolire ulteriormente i sistemi sanitari delle aree già svantaggiate, andando in direzione opposta rispetto agli obiettivi redistributivi del SSN.

Partendo dagli squilibri tra risorse, dotazioni e qualità, il prof. Francesco Longo ha evidenziato la scollatura tra l’universalismo dichiarato del SSN e il razionamento implicito delle risorse e dei servizi sanitari (insufficienti entrambi a soddisfare i bisogni crescenti di una popolazione di utenti sempre più anziana e sempre più sperequata), richiamando la necessità di governare le aspettative dei cittadini rispetto al servizio sanitario pubblico. Il professor Francesco Longo ha inoltre offerto una lettura istituzionale e organizzativa della governance dell’SSN, che smonta la visione conflittuale del rapporto tra Stato e Regioni come un gioco a somma zero, mettendo invece in evidenza il difficile equilibrio di poteri tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute. Mentre il primo esercita una forte influenza imponendo vincoli economici stringenti, il secondo è caratterizzato da una debole capacità di far rispettare standard nazionali. Anche questo aspetto, ripreso nel pomeriggio dal prof. Ettore Cinque, Assessore al Bilancio della Regione Campania, richiede una riflessione sull’opportunità di potenziamento del ruolo del Ministero della Salute, nell’ottica di un superamento della logica conflittuale Stato-Regioni, rafforzando le competenze istituzionali lungo tutta la filiera e promuovendo una vera “multilevel governance”, in cui la cooperazione tra i diversi livelli istituzionali – centrale, regionale e aziendale – può diventare un moltiplicatore di competenze e capacità. Il messaggio finale di Longo è chiaro: per superare disuguaglianze e inefficienze, serve investire in capitale istituzionale lungo tutta la filiera, rafforzando la capacità amministrativa e decisionale sia al centro che in periferia, e promuovendo un vero coordinamento multilivello che superi la logica della contrapposizione.

Su quest’ultimo punto si è sviluppato anche l’intervento del professor Gilberto Turati, che ha ricostruito l’evoluzione del regionalismo sanitario in Italia, mettendo in luce le fragilità di un modello incompleto e incoerente. A partire dagli anni Ottanta, con il decentramento amministrativo, passando per le riforme degli anni Novanta (decentramento funzionale e fiscale), fino alla revisione del Titolo V della Costituzione nel 2001, Turati ha mostrato come il processo di autonomia regionale sia stato più dichiarato che realizzato, spesso frenato da interventi correttivi del Governo centrale – come i Piani di Rientro – e da un assetto istituzionale ambiguo. Il punto critico, secondo Turati, è il mancato consolidamento di strumenti strutturali come i costi e fabbisogni standard e una definizione effettiva dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), elementi indispensabili per garantire equità. A ciò si aggiunge il “soft budget constraint”: l’aspettativa che i disavanzi regionali verranno sempre ripianati dallo Stato, alimentando irresponsabilità finanziaria. Un esempio recente è la Legge 86/2024 sull’autonomia differenziata, che si innesta su un impianto già debole, e che – secondo la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024 – non può trasformare la Repubblica in uno Stato federale, né consentire una devoluzione illimitata di competenze. L’attribuzione di nuove funzioni deve basarsi su LEP definiti, finanziati con risorse certe e garantite a livello nazionale. Turati ha quindi sottolineato come ampliare l’autonomia senza chiarire confini di responsabilità, fonti di finanziamento e meccanismi di controllo rischi di produrre effetti regressivi, aggravando disuguaglianze e inefficienze. Solo un rafforzamento della capacità istituzionale e una reale perequazione territoriale possono rendere il regionalismo uno strumento per l’efficienza senza compromettere l’universalismo del SSN.

A chiudere la sessione mattutina dell’evento, è stata la professoressa Milena Vainieri, che ha posto al centro del suo intervento il tema della variabilità interregionale nelle performance sanitarie. Vainieri ha invitato a distinguere tra variabilità “giustificata” – legata a bisogni specifici dei territori – e variabilità “ingiustificata”, espressione di inefficienze, assenza di standard condivisi o modelli organizzativi incoerenti. Richiamandosi al concetto di unwarranted variation di Wennberg, ha mostrato come la mancanza di equità orizzontale nel SSN italiano derivi anche da pratiche cliniche divergenti e da assetti di offerta disomogenei. Attraverso dati e analisi multilivello, Vainieri ha documentato che oltre il 70% della variabilità osservata è riconducibile al livello distrettuale, molto più che a quello regionale o aziendale. Ciò rafforza il ruolo strategico del Distretto come nodo centrale nella rete dei servizi sanitari e sociosanitari, spesso però sottovalutato nelle logiche di governance. I dati di performance, se letti correttamente, possono diventare strumenti potenti di monitoraggio, apprendimento e riallocazione delle risorse, favorendo pratiche virtuose e contenendo le disuguaglianze. Tuttavia, ha ammonito Vainieri, l’analisi dei dati non è mai neutra: richiede competenze tecniche, un quadro normativo abilitante e una cultura organizzativa fondata sulla valutazione. Concludendo, ha sottolineato che governare la variabilità non significa eliminarla, ma saperla interpretare e orientare, attraverso strategie multilivello, commitment politico e istituzionale, e un uso consapevole delle evidenze. Solo così la variabilità geografica regionale potrà diventare occasione di miglioramento del SSN anziché fonte di disuguaglianza.

Il pomeriggio si è sviluppato intorno ad una tavola rotonda che ha visto la partecipazione del prof. Renato Balduzzi, del prof. Ettore Cinque, e della dott.ssa Stefania Gabriele dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Nel corso della tavola rotonda i relatori si sono prevalentemente concentrati sulle naturali tensioni tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero della Salute e le Regioni, dibattendo sulla necessità di potenziare le competenze, le risorse ed i ruoli di quest’ultime e del Ministero della Salute al fine di garantire un governo del SSN multilivello, consapevole ed orientato al perseguimento di qualità ed equità delle cure in modo uniforme a livello nazionale, pur tenendo in considerazione le specificità e le condizioni dei diversi territori. In questo senso, i criteri di attribuzione delle risorse finanziarie sono stati oggetto di particolare attenzione.

Giorgia Marini,
Sapienza Università di Roma
Guido Noto,
Università degli Studi di Messina

G. Marini, G. Noto

15 Luglio 2025

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