Verso un nuovo modello di cura per l’Alzheimer: il progetto RAPID

Verso un nuovo modello di cura per l’Alzheimer: il progetto RAPID

Verso un nuovo modello di cura per l’Alzheimer: il progetto RAPID
Un’iniziativa nazionale, sostenuta incondizionatamente da Eisai con la collaborazione di IQVIA, ha coinvolto un gruppo multidisciplinare e una rete di centri pilota per analizzare i percorsi di diagnosi e trattamento dell’Alzheimer. Il White Paper prodotto rappresenta l’esito della fase iniziale del progetto: un primo passo per orientare l’evoluzione del modello organizzativo in vista dell’arrivo delle terapie modificanti la malattia, con l’obiettivo di accompagnare nei prossimi anni una trasformazione progressiva e condivisa.

Con l’introduzione delle prime Disease-Modifying Therapies (DMTs) per l’Alzheimer, il servizio sanitario italiano si trova di fronte alla sfida organizzativa di garantire equità e tempestività nell’accesso alle cure. Il progetto R.A.P.I.D. – Revolutionizing Alzheimer’s Patient Care Model. Initiatives Driving the Future – nasce per contribuire a rispondere a questa sfida, esplorando i punti critici del sistema e definendo azioni di miglioramento a partire dalla realtà dei centri clinici. Realizzato grazie al contributo non condizionato di EISAI, RAPID punta a ottimizzare il percorso di cura delle persone con Alzheimer, partendo dall’analisi delle inefficienze e disuguaglianze oggi presenti.

Diagnosi precoce, accesso ai centri e tempi di attesa
“I centri esperti sono mal distribuiti, spesso oberati di richieste, e questo comporta mesi di attesa, a volte più di un anno, anche solo per il primo accesso”, nota Patrizia Spadin, presidente dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA). Le conseguenze sono evidenti: “sulla base dei dati dell’Istituto Superiore di Sanità sappiamo che circa la metà dei pazienti con sintomi conclamati arriva effettivamente al Servizio Sanitario Nazionale”.

La situazione preoccupa AIMA, specialmente a fronte dell’arrivo delle nuove terapie, che richiederanno una diagnosi ancora prima dell’insorgenza dei sintomi. “Ci chiediamo come i Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) potranno accogliere, per una diagnosi precoce e approfondita, i pazienti che finora sono rimasti fuori dal sistema. Il progetto RAPID è intervenuto proprio qui, cercando di capire quali sono i punti che creano disuguaglianze nel percorso e come intervenire per renderlo più accessibile e uniforme”.

Un modello di valutazione per ripensare l’intero percorso
Al centro del progetto RAPID c’è lo sviluppo di un framework di equità, pensato per valutare la prontezza organizzativa dei centri lungo quattro fasi: individuazione precoce, diagnosi, trattamento e follow-up. Nella prima fase del progetto sono stati valutati tre centri pilota di eccellenza per identificare buone pratiche, elementi critici e soluzioni replicabili. Il lavoro è stato guidato da una cabina di regia multidisciplinare, composta da esperti di sanità pubblica, società scientifiche e rappresentanti dei pazienti. “Gli esperti hanno analizzato il sistema organizzativo della rete dei servizi e cercato di capire come intervenire per dare uniformità al territorio, con criteri esportabili rispetto ai primi centri presi in esame in modo che le nuove terapie fossero disponibili per i pazienti che ne hanno diritto”.

Disomogeneità regionale, fragilità organizzative, e un sistema da ricostruire
L’innovazione che attendevamo da tempo è finalmente arrivata, ma ci trova impreparati, conferma Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN). “Le criticità non sono solo tecniche, ma soprattutto organizzative. Non tutte le Regioni hanno attuato i PDTA, e laddove esistono, non sempre sono coerenti tra loro. Persiste poi un problema di raccordo tra la medicina territoriale e la medicina specialistica e i CDCD. Nei CDCD c’è un problema di definizione di requisiti strutturali”.

RAPID ha permesso di toccare con mano queste differenze. “Abbiamo capito che oggi la diagnosi precoce non è garantita su tutto il territorio e che le linee guida stesse sono superate rispetto alle attuali possibilità tecniche, come i biomarcatori ematici o plasmatici che permettono di fare una diagnosi con un prelievo di sangue”. Padovani ricorda inoltre che i farmaci in arrivo non sono per tutti, ma richiederanno un approccio di precisione, con una selezione accurata dei pazienti idonei – circa il 5-10% – e questo cambia completamente la prospettiva della presa in carico.

Una roadmap pluriennale per accompagnare la trasformazione
Alla luce dei risultati raccolti nella prima fase – formalizzati nel White Paper – , RAPID si sta ora evolvendo in una roadmap nazionale pluriennale, che mira a coinvolgere progressivamente nuovi centri sul territorio. “La fase due porterà a un ampliamento che permetterà di trovare dei denominatori comuni in una fase cruciale, anche per avviare un vero collegamento con le istituzioni, in particolare con l’Istituto Superiore di Sanità, AIFA e il Ministero della Salute”, spiega Padovani.

Secondo l’esperto, uno degli impatti più importanti del progetto è stato “maturare una consapevolezza su cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo andare. È emersa la necessità di costruire una linea di pensiero condivisa, che possa diventare un benchmark per le Regioni che oggi sono meno attive”.

L’obiettivo è quello di favorire la diffusione di modelli organizzativi già sperimentati nei contesti più avanzati: “Attraverso RAPID, le Regioni più strutturate potrebbero già sviluppare dei modelli da cui le altre, magari in ritardo, potranno trarre insegnamento e adattarli alle proprie specificità, pur nella diversità delle organizzazioni”. Padovani conclude con una nota positiva: “Sono molto contento di aver partecipato a questa attività, e anche molto ottimista sulla possibilità che, grazie a RAPID, si possa davvero riorganizzare l’intera filiera della presa in carico dei pazienti con Alzheimer”.

CdF

17 Luglio 2025

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