“Una legge equilibrata, compassionevole e prudente”: è questa l’esortazione forte e chiara che la Commissione Bioetica dell’Accademia Nazionale dei Lincei rivolge al Parlamento italiano sul delicato tema della morte volontaria medicalmente assistita. Il documento, frutto di un lungo lavoro istruttorio e interdisciplinare, è una presa di posizione netta, che denuncia con rigore scientifico e giuridico l’insostenibile immobilismo legislativo italiano.
La Commissione parte da una constatazione inequivocabile: “Attualmente esiste una lacuna normativa”, poiché nessuno dei disegni di legge in discussione “è ancora giunto alla fase della discussione finale e della votazione in aula”. Questo stato di incertezza genera “un aumento a dismisura dell’incertezza per i cittadini” e “del margine di discrezionalità della Corte costituzionale e dei giudici comuni”.
Pur consapevole del rischio di “una cattiva normativa”, la Commissione sottolinea come l’assenza di una legge “non può essere supplita dal codice di deontologia medica”, il quale semmai “porrebbe un problema di coordinamento” con il diritto positivo. Da qui l’urgenza di “un intervento legislativo che la Corte costituzionale – come è noto – ha dichiarato indispensabile”.
Un punto centrale del documento è l’attenzione alla libertà di scelta e alla necessità di garantire le cure palliative. “Un ordinamento fondato sul principio personalista non può tollerare che una persona sia lasciata o fatta morire senza sottrarla alle inutili sofferenze”, si legge. La Commissione insiste: “Il tema delle cure palliative, sovente trascurato, è dunque centrale in tutta la problematica del c.d. fine vita”.
In questo senso, si ribadisce che il diritto a non farsi curare “non equivale però a formulare un’implicita richiesta di morte”, né significa rinunciare all’accesso alle cure. Il documento sottolinea l’importanza di garantire i Livelli essenziali delle prestazioni anche in questo ambito, e in particolare “il diritto all’accesso alle cure palliative pediatriche”, una necessità che “risponde a un’esigenza sociale sempre più ampia e diffusa”.
Il documento entra poi nel cuore della questione: la volontà di morire. Essa deve essere “autentica”, cioè “non viziata da pressioni o condizionamenti esterni”, e fondata su una “condizione medica e una condizione giuridica”. La sofferenza deve essere dichiarata “in modo inequivocabile e continuativo da parte del soggetto stesso”, e la patologia non deve necessariamente essere mortale, ma può essere “guaribile solo a prezzo di sofferenze intollerabili”.
Quanto alla capacità di intendere e volere, si auspica “una più precisa definizione legislativa” e si chiede che la volontà “permanga per un tempo congruo”, evitando che basti una “volontà lucida espressa per intervalla insaniae”. La Commissione raccomanda inoltre che la volontà sia “attuale”, ossia espressa nell’imminenza del trattamento richiesto, salvo casi di impossibilità.
La procedura deve poggiare su un’“alleanza terapeutica” tra medico, paziente e giudice. Il medico, si legge, ha “il dovere di informare nel dettaglio il paziente sul procedimento da seguire, sul suo esito e sulle alternative possibili (in particolare, sulle cure palliative)”. Al giudice, invece, “spetta il compito di accertare le condizioni previste dalla legge”, con l’obbligo di farlo nel “più breve tempo compatibile con la serietà dell’istruttoria”.
Particolare attenzione è riservata ai minori: “La volontà deve poter essere manifestata anche da un minore”, ma con “garanzie particolarmente rigorose”, data la sua maggiore vulnerabilità. In questi casi, l’intervento del giudice tutelare deve essere “comunque imprescindibile”.
Sulla questione dell’obiezione di coscienza, la Commissione è chiara: “Per quanto riguarda il medico, il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza dovrebbe essere pieno”, ma non quando si tratta solo di esprimere un parere clinico. Per il giudice, invece, “l’obiezione di coscienza dovrebbe essere esclusa”, poiché “è soggetto ‘solo’ alla legge ai sensi dell’art. 101 Cost.”.
Infine, la Commissione respinge con decisione le iniziative regionali in materia: “È irragionevole che una questione sensibile come il fine vita sia oggetto di regolazione differenziata”. Le Regioni, secondo il documento, possono gestire l’organizzazione sanitaria, ma non legiferare su “profili di diritto penale e dei rapporti fra i privati”.
Il documento dei Lincei si chiude con un auspicio e un monito: il Parlamento “potrebbe cogliere la straordinaria occasione istituzionale di adottare una legge che potrebbe essere esemplare nella stessa esperienza giuridica europea”. Una legge, aggiungono, che restituisca dignità, libertà e giustizia a chi, nel momento più difficile, chiede semplicemente di poter scegliere.