Mancato coinvolgimento delle Regioni durante tutto il processo di redazione del Pansm, della Conferenza Stato-Regioni e del Dipartimento Politiche Antidroga. Nessun riferimento concreto al Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025.
E ancora, contenuti eccessivamente generici e ancorati a un lessico e a un impianto concettuale non completamente allineato ai più recenti sviluppi internazionali e alle migliori pratiche documentate. Nessun riferimento allo strategico coinvolgimento dei Servizi delle Dipendenze nei percorsi di transizione Npia Salute Mentale dell’adulto. Consultori trascurati. Non solo, la figura dello psicologo di assistenza primaria risulta “anomala” e relegata all’interno del Dsm riducendo drasticamente il contributo che la professione psicologica può offrire alla cittadinanza. E molto altro ancora.
È una bocciatura senza appello quella del Gruppo Tecnico Interregionale sub area Dipendenze al Piano d’Azione per la Salute Mentale 2025-2030 che non lesina aspre critiche all‘impianto del testo e alle modalità con le quali è stato redatto.
Più “morbide” invece le osservazioni del Gruppo interregionale Salute Mentale che complessivamente condivide l’impostazione generale e “apprezza lo sforzo di proporre un modello organizzativo condiviso con la proposta del modello del Dipartimento Integrato e Inclusivo”, anche se le sottolineature con la matita blu non mancano. Le osservazioni sulla sua reale possibilità di attuazione non sono infatti poche: sono necessarie risorse dedicate di carattere strutturale oppure, qualora solo progettuali, di respiro almeno triennale. Bisogna considerare il potenziamento del personale, in deroga ai tetti di spesa. Oltre alla “necessità di un generale editing del testo e l’eliminazione delle ripetizioni”.
Dure critiche dal Gruppo Tecnico Interregionale sub area Dipendenze “Si esprimono forti critiche sulla mancanza di coinvolgimento delle regioni durante tutto il processo di redazione – si legge nel documento redatto dal Gruppo Tecnico Interregionale sub area Dipendenze – le regioni sono infatti state coinvolte solo a documento concluso e con richiesta di esprimere pareri sui contenuti, limitando però la possibilità di integrazioni e modifiche a tempistiche estremamente ristrette. Alla redazione del documento hanno collaborato quasi esclusivamente psichiatri e alcuni direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze, rappresentativi solo di una parte di un insieme articolato. La redazione di Piani di Azione della Salute Mentale, delle Dipendenze e delle altre aree, dovrebbe prevedere percorsi a medio e lungo termine di graduale coinvolgimento dei gruppi tecnici delle sub aree del nostro e degli altri coordinamenti tecnici, finalizzati a costruire quel terreno di conoscenza reciproca, di interscambio di competenze che dovrebbe portare a meglio definire le attività e le strategie di presa in carico”.
Il Gruppo Tecnico Interregionale sub area Dipendenze, segnala inoltre il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni e del Dipartimento Politiche Antidroga “fondamentale in un momento di definizione di politiche in materia di Dipendenze”. In generale, il Gruppo tecnico, esprime perplessità per l’impostazione metodologica: vengono proposti piani d’azione settoriali, separati per singole materie. Manca inoltre il riferimento concreto al Piano Nazionale Prevenzione 2020-2025, strumento che ha favorito la messa a sistema in tutte le Regioni dei programmi di prevenzione collettiva e di linee di azione basate su buone pratiche consolidate e strategie raccomandate, nazionali e internazionali.
Non mancano le sottolineature del Gruppo interregionale Salute Mentale. Tra le tante, sul tema del Dipartimento Integrato e Inclusivo andrebbe definito meglio il concetto di “salute mentale”, inteso come un “concetto unitario che comprenda psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia e non come sinonimo di psichiatria adulti”. Nel documento in diversi passaggi, sottolinea, si coglie poi un taglio medico-centrico, che rischia di limitare la reale efficacia dei percorsi assistenziali proposti. Va quindi data dove possibile maggiore enfasi al concetto della multiprofessionalità.
E ancora, non viene trattato il tema della residenzialità ritenuto tra i più importanti e prioritari nell’area salute mentale, se non altro per il rilevante impatto economico sui servizi. E non viene presa in considerazione la disabilità determinata dalla patologia psichica, condizione che può rendere necessari prevalenti interventi di carattere assistenziale.
Insomma, più che un punto di arrivo, il Piano d’Azione per la Salute Mentale 2025-2030 somiglia a una bozza ancora tutta da rivedere. Tra esclusioni eccellenti, approccio medicalizzato, concetti poco aggiornati e percorsi assistenziali ancora sbilanciati, il documento ha acceso più dubbi che entusiasmi, almeno tra le regioni.
Se davvero si vuole costruire un sistema di salute mentale inclusivo, moderno e capace di parlare alle diverse componenti della rete dei servizi, a quanto pare, servirà molto più di un semplice restyling.
E.M.