Potrebbe essere uno degli annunci sanitari più controversi e significativi degli ultimi anni quello atteso dalla Casa Bianca nelle prossime ore. Secondo quanto riportato dal Washington Post, l’amministrazione Trump sarebbe pronta a mettere in guardia le donne in gravidanza sull’uso del paracetamolo per un possibile legame con l’autismo. Ma non solo. Parallelamente, si aprono spiragli di speranza sul fronte terapeutico: i funzionari americani intendono promuovere un farmaco poco noto, il leucovorin, come potenziale trattamento per alcuni sintomi dell’autismo.
Il paracetamolo, farmaco di uso comune e spesso raccomandato alle donne incinte per trattare febbre o dolore, potrebbe presto trovarsi al centro di una campagna di sensibilizzazione da parte delle autorità sanitarie statunitensi. Le fonti citate dal Washington Post parlano di una revisione condotta da ricercatori di Harvard e del Mount Sinai, che avrebbe evidenziato una possibile correlazione tra l’uso del farmaco nelle prime fasi della gravidanza e un aumentato rischio di autismo nei bambini.
La revisione ha esaminato decine di studi precedenti e, pur senza dimostrare un nesso causale diretto, ha identificato un’associazione statistica preoccupante. Il messaggio che potrebbe emergere è chiaro: evitare il paracetamolo nei primi mesi di gravidanza, a meno che non sia strettamente necessario, ad esempio in presenza di febbre alta. Non si tratta di una novità assoluta nella comunità scientifica, ma il fatto che a parlarne ora siano funzionari federali, con il sostegno del Presidente in persona, rappresenta una svolta significativa.
Accanto al capitolo prevenzione, la Casa Bianca intende puntare anche sulla cura. Al centro dell’attenzione c’è un farmaco poco noto: il leucovorin, un derivato dell’acido folico già utilizzato in oncologia o per trattare carenze vitaminiche. Eppure, i primi studi clinici sul suo utilizzo nei bambini con autismo sembrano promettenti: alcuni ricercatori parlano di miglioramenti sorprendenti nelle abilità linguistiche e relazionali.
Questi risultati hanno spinto l’amministrazione a esplorare la possibilità di autorizzare ufficialmente il farmaco come trattamento. La Food and Drug Administratio è al lavoro per valutare come etichettarlo e in che contesti raccomandarne l’uso.
Naturalmente, la prudenza è d’obbligo. Gli studi finora condotti sono di dimensioni limitate e ancora lontani da una validazione scientifica definitiva. Ma il solo fatto che un trattamento farmacologico venga considerato per una condizione a lungo ritenuta quasi esclusivamente genetica e, in parte, “incurabile”, è di per sé un segnale di cambiamento.
Dietro queste iniziative c’è una volontà politica precisa. L’autismo è da tempo una delle preoccupazioni dichiarate del Presidente Donald Trump, che ha più volte espresso la necessità di fare luce sulle cause del suo aumento. L’attuale campagna è guidata da figure di primo piano dell’amministrazione: Robert F. Kennedy Jr., a capo del Dipartimento della Salute, il direttore della Fda Marty Makary e Jay Bhattacharya per i National Institutes of Health (NIH).
Durante un intervento pubblico domenica scorsa, lo stesso Trump ha parlato apertamente dell’imminente annuncio, definendolo “uno dei più importanti nella storia medica degli Stati Uniti”.
Il rischio, però, è che il messaggio politico prenda il sopravvento sulla prudenza scientifica. Gli esperti ricordano che, al di là delle associazioni statistiche, non esiste ancora una prova definitiva che il paracetamolo sia causa diretta dell’autismo. Studi più recenti, condotti su vasti campioni e con controlli genetici e ambientali più accurati, non confermano la stessa correlazione.
Allo stesso modo, l’entusiasmo per il leucovorin è comprensibile, ma deve essere accompagnato da studi ampi e solidi prima di poter essere considerato un trattamento raccomandato.