Le malattie cardiovascolari colpiscono più dei tumori e sono prevenibili più delle malattie infettive, sono una moderna epidemia in aumento e se non si agisce con forza subito nei prossimi anni non ci saranno risorse sufficienti per reggerla. L’allarme viene rilanciato ieri a Milano dall’Alt (Associazione Lotta alla Trombosi), da oltre vent’anni in prima fila per la sensibilizzazione e la ricerca contro infarto miocardico, ictus e altre trombosi: “Sono malattie strettamente legate allo stile di vita, la gente lo sa ma cambiare i comportamenti è più difficile che prendere una pillola” sottolinea la presidente Lidia Rota Vender. “Si potrebbe invece salvare una persona su tre”. Non c’è un fattore killer ma una squadra di complici, sei dei quali ben noti e cioè ipertensione, sovrappeso e obesità, colesterolo o glicemia elevati, fumo, sedentarietà, non averne nessuno abbassa a meno dell’1% la probabilità di un accidente cardiovascolare; lo stile di vita è quindi decisivo, benché esistano anche fattori genetici predisponenti. “Ognuno pensa: a me non capiterà” aggiunge in un messaggio video Valentin Fuster, presidente del Comitato scientifico Alt e direttore del Mount Sinai Heart-Medical Center di New York. “Bisogna fare prevenzione cominciando dai bambini, da adulti è più difficile cambiare abitudini. Ma per questi ultimi va fatto di più, noi abbiamo per esempio gruppi di autoaiuto per mangiare meno o smettere di fumare; serve anche il supporto dei governi”.
Abitudini sbagliate e sottovalutazione dei rischi cardiovascolari, prima di tutto, poi necessità di più ricerca, utile per la prevenzione e la terapia. Persistono anche false certezze, come quella che il genere femminile sia comunque al riparo rispetto a quello maschile o che da giovani non si corrano rischi: le malattie cardiovascolari nel mondo sono la prima causa di morte nel 55% delle donne contro il 48% degli uomini. In totale a livello mondiale ogni anno sono 12 milioni i morti d’infarto miocardico e ictus, più che per tumori, tubercolosi, Aids e malaria messi insieme; in Italia ci sono oltre 200mila morti all’anno per cause cardiovascolari. “Le donne sono più protette nell’età fertile ma dopo la menopausa la prevalenza cresce, sia per il fattore ormonale in sé sia per l’aumento dei fattori di rischio noti quali ipertensione, diabete, obesità. Inoltre le manifestazioni cliniche possono essere diverse da quelle maschili e il riconoscimento più tardivo” precisa Marco Stramba-Badiale, direttore Dipartimento geriatrico-cardiovascolare dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano. “C’è una percezione insufficiente tra le donne dei loro rischi cardiovascolari: e il diabete è in aumento particolarmente nel genere femminile, come il fumo in particolare specie nel caso degli eventi più precoci. Le donne poi si sottopongono di meno agli accertamenti diagnostici e c’è anche una loro sotto-rappresentazione negli studi clinici sull’efficacia degli interventi preventivi e terapeutici, come abbiamo rilevato nel progetto EuroHeart coordinato in Italia da Alt e FipC (Federazione italiana per il cuore)”.
Quanto all’età, ci possono essere anche casi in persone di 50 o 40 anni o meno ancora: come per i due giovani che hanno testimoniato all’incontro milanese, 19 anni il primo con un infarto a 15 legato a una mutazione di un fattore della coagulazione e 20 il secondo con un ictus a 17 per un difetto del forame, fortunatamente con completo recupero (uno studia medicina, l’altro è maestro di sci). “Se c’è un fattore genetico predisponente è importante la diagnosi precoce: occorre più ricerca di base per ottenere test sul profilo di rischio individuale, oltre che per capire i meccanismi e per la prevenzione (per esempio il fattore VII di coagulazione aumenta se si fuma e si normalizza se si smette)” afferma Zaverio M. Ruggeri dello Scripps Research Institute di La Jolla e del Comitato scientifico Alt.
“I tassi di mortalità cardiovascolare in Italia sono inferiori a molti altri paesi europei – questa è comunque la prima causa di mortalità e anche d’invalidità – e sono abbastanza buoni i dati sull’assistenza e l’aderenza ai trattamenti. Siamo invece al terzo posto per il sovrappeso e l’obesità infantile” informa Sergio Coccheri, ordinario di malattie cardiovascolari all’Università di Bologna e vicepresidente Alt. “L’aumento di sedentarietà, obesità, diabete, fumo specie femminile sono nostri punti deboli, a fronte di un punto di forza da esportare come la dieta mediterranea. Esemplare il caso della Finlandia, dove interventi radicali sullo stile di vita, in primis alimentare, hanno portato a dimezzare in dieci anni le malattie cardiovascolari e a ridurre fortemente la mortalità. Occorre imparare dai paesi virtuosi e per questo ci vuole un confronto e un coordinamento a livello europeo dei programmi di prevenzione, per il quale ci stiamo attivando come Alt con l’Ehn (European Heart Network)”.
Elettra Vecchia