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Verso le elezioni. Parlano i responsabili sanità dei partiti. Ricciardi (Azione): “Il Pnrr non basta, serve il Mes sanità”. E sul Covid: “Grazie a vaccini e antivirali mai più chiusure”

di Giovanni Rodriquez

"Il Mes sanità ci garantirebbe un finanziamento di 37 miliardi. Il Pnrr è importante ma lì in gran parte si parla solo di 'mura', è quindi necessario che contemporaneamente si vada ad avviare un piano straordinario di assunzioni per il personale e di rafforzamento delle competenze". Quanto al Covid: "Dobbiamo conviverci ma senza rassegnarci ad avere 100-200 morti al giorno, la campagna vaccinale va incentrata soprattutto sui più fragili". Così il responsabile sanità di Azione.

13 SET -

Rafforzare i tre pilastri dell'assistenza primaria, ospedaliera e territoriale. Rivedere il rapporto tra strutture ospedaliere pubbliche e privato accreditato. Puntare sulle risorse umane garantendo migliori condizioni di lavoro e remunerazioni più adeguate e avviare un piano strategico per il recupero delle liste di attesa.

Questi le principali proposte per la sanità contenute nel programma con il quale Azione, il partito fondato da Carlo Calenda, si presenterà alle elezioni politiche del prossimo 25 settembre. A parlarcene è il responsabile sanità del partito, Walter Ricciardi.

Professor Ricciardi, come riassumerebbe in poche righe le principali proposte per la sanità di Azione in vista della prossima tornata elettorale?
Innanzitutto ci tengo a ricordare che il progetto Azione è partito proprio con la proposta di un piano sulla sanità nel novembre del 2019. Fin dall'inizio quindi questa ha rappresentato per noi una priorità assoluta e lo è ancora oggi. In pillole posso dire che nel nostro programma proponiamo un rafforzamento della medicina ospedaliera, dell'assistenza primaria e della medicina territoriale. È assolutamente necessario intervenire insieme su tutti e tre questi pilastri del Servizio sanitario nazionale. Senza dimenticare la prevenzione. L'enfasi del Pnrr è sulla medicina di prossimità ma non basta curare solo questo aspetto. E poi non può esserci un rapporto tra strutture sanitarie pubbliche e private accreditate che cambia a seconda delle Regioni.

Cosa intende?

Intendo dire che esiste un privato, soprattutto quello no profit che svolge un ruolo pubblico, c'è una fetta importante di privato che svolge un ruolo eccellente ma deve essere tutto normato e organizzato bene. E questo perché nessun sistema sanitario pubblico può pensare di reggersi esclusivamente sul privato. Questo non accade in nessuna parte del mondo. Dobbiamo quindi regolare meglio, in maniera trasparente e meritocratica il rapporto tra pubblico e privato. Poi dobbiamo assolutamente intervenire sul personale garantendo migliori condizioni di lavoro ed una migliore remunerazione, ricordiamo che ci sono ancora migliaia di persone che vivono in condizioni di precarietà pur lavorando.

Ma in questo momento di crisi, con il problema energetico e del caro bollette con quali risorse pensate di intervenire per mettere dar corpo a tutte queste proposte?
Questa è un'ottima domanda alla quale solo noi diamo una risposta chiara e concreta: è necessario accedere al Mes Sanità. Ricordiamo che si tratta di 37 miliardi e che siamo ancora in tempo a prenderli. Dobbiamo garantire una migliore formazione, gestione e valorizzazione del personale sanitario e per farlo sono necessarie risorse ad hoc. Un altro tema da affrontare riguarda poi le liste d'attesa sulle quali si è già iniziato ad intervenire con questo governo, non si possono aspettare mesi e mesi per poter accedere a prestazioni diagnostiche o terapeutiche.

Quanto al territorio, basta la riforma approvata?
Non possiamo aspettare i tempi della riforma della medicina territoriale, la crisi è ora e va aggredita subito. Dobbiamo dare risposte urgenti sia al personale che ai cittadini. Il Pnrr è importante ma lì in gran parte si parla solo di 'mura', è quindi necessario che contemporaneamente si vada ad avviare un piano straordinario di assunzioni e  di rafforzamento delle competenze. La pandemia non è finita, il personale deve rimanere motivato e sulla sanità digitale siamo ancora molto indietro. I medici di medicina generale devono essere coinvolti, motivati ma anche più responsabilizzati.

Restando sul territorio pensa che le competenze aggiuntive acquisite dalle farmacie durante l'emergenza Covid, penso alla possibilità di fare vaccinazioni, vada mantenuta anche per il futuro?
Assolutamente sì, quello italiano e spagnolo di farmacie come presidi sanitari sul territorio è un modello vincente, che funziona e che deve essere ulteriormente consolidato.

Quanto al Covid, quali le azioni da intraprendere in vista dell'autunno?
Il Covid purtroppo non è sparito e deve essere ancora combattuto. Dobbiamo sì conviverci, ma senza rassegnarci ad avere 100 o 200 morti al giorno. Nessuno pensa più a misure di restrizione come il lockdown, ma penso possa essere utile continuare a raccomandare l'utilizzo di mascherine nei luoghi chiusi affollati come ad esempio mezzi pubblici, treni e così via. La priorità resta poi quella di vaccinare in maniera attiva le persone più a rischio per età avanzata, patologie o professione. Poi certamente ben venga anche la vaccinazione del resto della popolazione, senza obblighi e senza chiamata attiva. Come dicevo, la priorità è mettere in sicurezza i più fragili ma sarebbe ottimale riuscire a raggiungere coperture vaccinali simili a quelle di gran successo registrate lo scorso anno. Oltre a questo, dobbiamo poi usare bene gli antivirali. Oggi disponiamo di armi che ci consentiranno di non dover chiudere mai più. 

Anche quest'anno sono tornate puntualmente le polemiche sul numero chiuso per le facoltà di medicina, cosa ne pensa?
Pensare di abolire una forma di selezione all'ingresso è un grande errore. Se si va a vedere i dati si può verificare come l’Italia sia il primo paese europeo nel rapporto tra laureati in medicina e cittadini ma,al contempo uno degli ultimi per numero di specialisti e di infermieri. Non è possibile far entrare ogni anno 65mila studenti nelle facoltà di medicina, poi che facciamo, teniamo le lezioni negli stadi? La qualità della formazione è fondamentale per professioni così delicate. Quello che dobbiamo fare è invece accelerare sulla specializzazione. Intervenendo sul numero chiuso si andrebbero invece a creare nuovamente quell'imbuto formativo che con difficoltà abbiamo superato dopo tanti anni grazie a questo governo. Discorso a parte va invece fatto per gli infermieri. Noi non abbiamo infermieri, ne mancano 53mila. Come si può allora incentivare la professione infermieristica? Aumentando gli stipendi e motivando le persone con condizioni di lavoro più adeguate.

La pandemia ha posto l'accento sull'importanza di una formazione costante e aggiornata in medicina.
Questo della formazione continua è un altro presidio importantissimo. Nel Pnrr ci sono voci molto importanti, c'è la formazione per la sicurezza negli ospedali e la prevenzione delle infezioni ospedaliere, ci sono fondi per formare i professionisti sanitari al management e ci sono i fondi per formare i professionisti sanitari alla cultura digitale. Questi sono già in programma quindi ma si tratta di realizzarli in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale visto che dovranno occuparsene le Regioni.

A proposito di Regioni, con la caduta del governo Draghi è rimasto in cantiere quel progetto di regionalismo differenziato che sembrava in procinto di essere approvato, che ne pensa?
Penso che significherebbe sancire in maniere irreversibile un gap già esistente tra Nord e Sud del Paese. Noi come Azione non siamo per la centralizzazione ma serve di sicuro un nuovo ragionamento tra livello centrale e Regioni. Quelle amministrazioni che vanno bene non devono essere per così dire disturbate, ma non si può pensare di abbandonare ad un gap irrecuperabile quelle messe peggio perché il Sistema sanitario nazionale deve garantire gli stessi diritti di accesso alle cure a prescindere dal territorio di appartenenza.

Pensa sia possibile un intervento normativo per sanare la questione dei rimborsi per gli ex specializzandi?
Assolutamente sì. Siamo una generazione che fino ad un certo punto ha pagato per fare la propria specializzazione medica. Cosa giudicata poi illegittima in quanto discriminante dall’alta corte europea. La giurisprudenza, molto lentamente, sta ora riconoscendo questi rimborsi a chi ha fatto ricorso. Giustizia vuole che la questione venga però risolta per tutti con un provvedimento normativo che restituisca quanto non dato a tutti questi professionisti.

Giovanni Rodriquez

Vedi le altre nostre interviste in vista delle elezioni del 25 settembre: Zampa (PD)



13 settembre 2022
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