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Legge di Bilancio e sanità. Anche per quest’anno solo “molliche”?

di Ivan Cavicchi

In questa congiuntura non posso che augurarmi che alla fine il Governo accolga gli emendamenti proposto dalla Commissione Sanità del Senato, anche se restano tutte le mie perplessità sul loro marginalismo e su quella che in altre occasioni ho definito la “sindrome della mollichella

13 NOV - Cari amici (mi rivolgo al sindacato e a Cittadinanzattiva) sul serio io credo che dobbiamo darci una regolata. Siccome non ho dubbi sul fatto che siamo dalla stessa parte, che vogliamo le stesse cose, e che le nostre divergenze di opinioni (quando ci sono), riguardano soprattutto i modi attraverso i quali perseguiamo i nostri comuni ideali, mi permetto di offrirvi un ragionamento. Posso?
 
Parlamento e governo
All’Anaao, un paio di settimane fa, ho fatto notare che, sperare che il Parlamento intervenisse per modificare a rialzo la legge di bilancio a favore della sanità, sarebbe stata cosa vana. A questo proposito scrivevo: “Come se ignorasse che il Parlamento, con le sue commissioni di merito, tanto alla Camera che al Senato, regolarmente, tutti gli anni, in occasione dell’esame della legge di stabilità, al governo manda i suoi allarmi sulla tenuta del sistema e tutti gli anni il governo fa come gli pare”, (QS 30 ottobre 2017).
 
Giusto un po’ di giorni fa, puntuale come il destino, la commissione sanità del Senato ha dato parere favorevole sulla legge di bilancio, lanciando contestualmente il suo allarme rituale sulla insufficienza delle risorse destinate alla sanità, (QS 8 novembre 2017).
 
A Cittadinanzattiva, alla quale ribadisco il mio affetto (per quanto questo possa mostrarsi con espressioni a volte severe), dico sostanzialmente la stessa cosa ma aggiungendo che ovviamente ho apprezzato molto la sua iniziativa di raccogliere 35.000 firme contro il super ticket (anche io se potessi vorrei abolirlo) nello steso tempo resto persuaso che quando lo spazio di manovra è stretto non è facile abolire il ticket, rinnovare i contratti, rifinanziare il FSN.
Per cui il rischio che vedo oggi è la guerra tra poveri. Vedremo.
 
Coerenza e coesione
Approvare un legge di bilancio e nello stesso tempo lanciare un allarme sui suoi effetti dirompenti è un comportamento che può apparire incoerente. Se la commissione sanità del Senato fosse stata veramente convinta del pericolo che la sanità pubblica stava correndo a causa della legge di bilancio, avrebbe dovuto bocciarla o avanzare delle riserve, in modo da indurre il governo a cambiarla.
 
Ma questo non è “ politically correct”. Non approvare la legge di bilancio equivale ad agire di fatto una sfiducia  nei confronti del governo.  Il governo ha così incassato, dalla commissione sanità del Senato, non un semplice giudizio favorevole ma un atto di controllo istituzionale con il quale si stabilisce la legittimità e l'opportunità delle sue politiche economiche autorizzandone di fatto l'esecuzione.
 
La coesione di una legge di bilancio vale come l’intima connessione tra le tante politiche che compongono la politica economica del governo. E’ questa che sottolinea la sua natura complessa in ragione della quale il valore finanziario anche di 1 solo mld (è quanto vale più o meno l’abolizione del super ticket) per quanto risibile, al confronto delle cifre complessive di una legge di bilancio, è difficilmente scorporabile da un ragionamento economico più grande. Lo stesso problema vale per le risorse necessarie a rinnovare i contratti.
 
Equilibri
Una legge di bilancio assomiglia molto ad un sistema omeostatico che non tollera troppe interferenze perché a causa loro si potrebbero avere feedback tali da alterare gli equilibri che in genere le leggi di bilancio cercano di costruire.
 
Gli equilibri,in una legge di bilancio, sono garantiti dai numeri ed è il governo che li stabilisce non il Parlamento. Chiedere al Parlamento di cambiare i numeri significa in molti casi chiedergli di cambiare gli equilibri decisi con la sua politica economica o comunque indurlo a fare degli aggiustamenti ad una contabilità molto più vasta.
 
Cambiare i numeri tuttavia   è possibile ma solo a equilibri finanziari costanti, cioè solo se gli emendamenti rispettano le regole:
·         della commutabilità (“cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia”,
·         del contro-bilanciamento   cioè del mantenimento per compensazione di una parità finanziaria garantendo tra i numeri un rapporto di equivalenza.
 
E’ in ragione di queste regole che gli spazi di modifica di una legge di bilancio in realtà sono molto limitati dal momento che gli emendamenti non possono in nessun modo cambiare l’impostazione delle politiche economiche.
I numeri sono funzioni delle politiche economiche.
 
Marginalismo
Definisco “marginale” qualcosa di secondario la cui importanza sia ritenuta limitata e non determinante, quindi, come in economia, relativo a variazioni piccole se non infinitesime.
 
Marginalisono gli emendamenti presentati alla legge di bilancio dal PD (aumento costo tabacchi 600 mln per farmaci oncologici e cure palliativi, su precari e tetto di spesa del personale). Marginali, attenzione, non vuol dire inutili o insignificanti ma solo che rispetto ad una manovra finanziaria non interferiscono con le politiche economiche del governo.
 
Il principio è semplice: i numeri sono rimodulabili solo se si modifica in via compensativa i diversi impegni finanziari che essi implicano
 
L’emendamento presentato per favorire il rinnovo dei contratti è un esempio da manuale:
·         si punta a recuperare risorse intervenendo sui tabacchi,
·          il fine strumentale è liberare risorse dal fondo sanitario finanziando in altro modo i farmaci oncologici e le cure palliative,
·         il fine è di usare le risorse liberate dal fondo per i contratti.
 
Più complicati mi appaiono gli emendamenti presentati sul personale (stabilizzazione precari, defiscalizzazione, produttività aggiuntiva, tetto spesa personale, retribuzione individuale di anzianità) per i quali, lo confesso, non mi sono chiare né le regole di commutabilità né quelle di compensazione.
 
Alla fine sarà il governo a valutare gli emendamenti nel senso che non è detto che li approvi proprio perché, come dicevo, i numeri che essi implicano sono relazioni con altri numeri cioè con altre fonti di spesa, altri settori, altre politiche.
 
Da parte mia, in questa congiuntura, dove ancora una volta il sindacato si è presentato a mani vuote, cioè senza una piattaforma adeguata a contrastare le politiche economiche in gioco, non posso che augurarmi il loro accoglimento, anche se restano tutte le mie perplessità sul loro marginalismo e su quella che in altre occasioni ho definito la “sindrome della mollichella”.
 
Anche auspicando l’accoglimento degli emendamenti da parte del governo, resterà, per intero, la grave questione della privatizzazione della sanità e in particolare della de-capitalizzazione del lavoro.
 
Il referente politico
Quando l’Anaao, in particolare, auspicava, su questo giornale, l’intervento del Parlamento sulla legge di bilancio, immagino lo facesse perché, individuato il “referente politico” sperava di far passare per suo tramite certe modifiche alla legge di bilancio.
 
Il referente politico, in un sindacato con relazioni privilegiate con la politica e che concepisce la sua azione fondamentalmente come lobbying, è colui (parlamentare, istituzione, ministro, ecc.) che media gli interessi tra controparti.
 
Nulla di male per carità, l’importante, come ho già scritto, è che il gatto prenda i topi, tuttavia resto convinto che di fronte ai gravissimi problemi del lavoro in sanità, per un sindacato oggi non basta più né fare lobbying né il “referente politico” soprattutto nei confronti di una legge di bilancio, dal momento che la regola è non andare oltre i confini del marginalismo.
 
Il problema che resta insoluto quindi sono le politiche economiche in ragione delle quali i contratti alla fine sono posti in conflitto con il pil. Fino a quando questo conflitto non sarà risolto ho ragione di ritenere che per il sindacato e per tutti noi saranno cavoli amari
 
La questione delle politiche economiche
Da tempo sostengo la tesi che per rinnovare i contratti, per assumere operatori, per finanziare i Lea, per superare il de-finanziamento, e persino per cancellare il super ticket, bisogna andare dal governo ma con in mano una piattaforma che sia capace di contrapporre alla sua idea sbagliata di sostenibilità un’altra idea di sostenibilità quindi un’altra idea di sviluppo.
 
Questo è il senso fondamentale della mia “quarta riforma”. In altre parole si tratta di fare i conti una volte per tutte con le politiche economiche del governo.
 
Tutti i nostri problemi sono la conseguenza di una certa politica economica, per la quale è inevitabile, se non addirittura necessario, sacrificare la sanità pubblica e quindi privatizzare il sistema e sulla quale come è noto a tutti, fa assegnamento la speculazione finanziaria per renderci residuali.
 
Il de-finanziamento progressivo della sanità necessariamente implica il blocco della contrattazione, il costo zero, il sotto finanziamento dei Lea, i ticket ecc.
 
Tutte queste misure si spiegano con il postulato che è alla base del Jobs act e cioè che lo sviluppo dell’economia è un a priori assoluto, rispetto al quale la sanità pubblica, ma non solo, è a torto considerata insostenibile.
 
Se il lavoro, lo sviluppo, l’economia, l’occupazione sono il valore sopraveniente e la riduzione della spesa sanitaria, nel nostro caso, è uno strumento per il suo sviluppo allora tutti i valori che sono nella spesa sanitaria sono subvenienti compresi, i contratti, i lea, l’universalismo, la gratuità delle prestazioni, i diritti.
 
I nostri guai in fin dei conti non sono altro che effetti collaterali di una certa idea di sviluppo di crescita e di economia che alla fine, stringi stringi, contrappone il diritto alla salute al pil. I contratti, per i quali manca un finanziamento specifico, rientrando come costo nel FSN, sono i primi a pagare le conseguenze di tale contrapposizione.
 
Non dimentichiamoci che l’obiettivo del de-finanziamento è quello di ridurre nel tempo l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al pil quindi di liberare il pil il più possibile di un costo giudicato ostativo dello sviluppo
 
Contrapporre i contratti al pil vale come sostenere la loro improduttività al punto da considerarli delle diseconomie. E’ questo in prima istanza che spiega la de-capitalizzazione del lavoro e rispetto alla quale le “mollichelle”, concesse dal “referente politico” per quanto consolatorie, lasciano il tempo che trovano.
 
Chi paga la ripresa della crescita?
Tutti parlano del fatto che il pil ha ripreso a crescere anche se di poco, che l’occupazione sta piano piano ripartendo ma nessuno dice quanto ci costa, chi paga e cosa stiamo perdendo.
 
Quel poco di crescita che abbiamo è integralmente pagata dai diritti dei cittadini (come sa beneCittadinanzattiva) e dei lavoratori (come sa bene il sindacato).
 
Quindi il blocco della contrattazione in sanità, se interpretiamo lo spirito del jobs act, vale paradossalmente come sviluppo, questa è la contraddizione con la quale dobbiamo fare i conti. La sanità, per questo governo, al di là delle chiacchiere, è, nei confronti di una discutibile idea di sviluppo, diseconomica in quanto tale.
 
Ovviamente non in modo lineare e banale ma in senso finanziario vale a dire che i soldi spesi per la sanità pubblica costituiscono per questo governo un investimento diseconomico. E’ questa la ragione principale che spiega da una parte il de-finanziamento progressivo e dall’altra il sistema multi-pilastro.
 
Mutue contro sanità e quindi contro contratti
Quando su questo giornale ho lanciato l’allarme sul ritorno delle mutue non l’ho fatto solo perché, come voi, sono un sostenitore dell’universalismo, ma perché la defiscalizzazione delle mutue nelle loro varie forme, avrebbe comunque tolto risorse alla sanità pubblica ma, soprattutto, rientrando esse nelle politiche più ampie di defiscalizzazione del costo del lavoro, a loro volta finalizzate ad accrescere il reddito di impresa ai fini della ripresa degli investimenti, ci avrebbero condannati al de-finanziamento e alle mollichelle.
 
Chiedetevi perché a proposito di contratti e di legge di bilancio, non è stata fatta la cosa più logica del mondo e cioè presentare un emendamento per cancellare l’assurdità della defiscalizzazione delle nuove mutue che ormai sono le nostre più temibili concorrenti?
 
La ragione è che prendere un po’ di sodi dalle sigarette non interferisce con le politiche economiche del governo ma prenderli cancellando gli incentivi alle mutue mette in crisi addirittura la politica del Jobs act, cioè una intera politica economica.
 
Ma davvero, lo dico al sindacato e a Cittadinanzattiva, credete che il jobs act, la legge di stabilità del 2016, la defiscalizzazione delle mutue fatta con decreto, il de-finanziamento del sistema, ecc, siano un’altra cosa dal blocco dei contratti e dal super-ticket?
 
Ci hanno messi nostro malgrado contro lo sviluppo
Il governo ahimè è convinto, a partire dal job acts, che lo sviluppo economico non sia più compatibile con questa sanità pubblica ma anche con i diritti del lavoro. Questo è il problema che dobbiamo risolvere, ve lo volete mettere in testa o no?
 
Ma davvero credete che la voglia di flessibilità delle regioni nell’impiego delle nostre professioni, quindi i tentativi di riabilitare il comma 566, sia un’altra cosa dalla flessibilità teorizzata a partire dal Jobs Act? Cioè con l’idea che per fare sviluppo il lavoro deve adattarsi alle necessità dell’economia, anche rinunciando, se necessario, ai diritti e quindi ai contratti come è accaduto per noi per ben otto anni?
 
Noi dobbiamo dimostrare al governo che siamo parte dello sviluppo proponendo sviluppo, ripensandoci tutti in chiave di sviluppo. E’ per questo che auspico fortemente che si metta insieme le nostre forze, le nostre analisi, le nostre proposte.
 
Personalmente penso che dovremmo muoverci contestualmente su due livelli allo stesso tempo:
·         rispetto alla  legge di bilancio in discussione, nei confronti dei contratti, temo che oltre le mollichelle non si riesca ad andare. Speriamo comunque che il governo approvi gli emendamenti presentati e ci metta in condizione di portare a casa il più possibile,
·         rispetto alla prospettiva della prossima legge di bilancio con le elezioni politiche nel mezzo, quindi certamente con un  governo nuovo, si tratta di andare oltre  le vecchie visioni lobbistiche del sindacato e mettere a punto in piena autonomia  una piattaforma capace di confrontarsi con le politiche economiche in essere punto su punto proponendo noi una sanità, un lavoro, dei servizi  quali forme di una sostenibilità intelligente e ragionevole.
 
E’ inaccettabile che noi si sia visti nei confronti del pil come una diseconomia ma ricordiamoci che le piattaforme si preparano prima della legge di bilancio.
 
Conclusioni
Quest’anno ormai è andata, ma se il prossimo anno ripetiamo la solfa del referente politico, degli emendamenti marginali, delle accise sui tabacchi, allora il problema, nei confronti delle politiche economiche, siamo noi che non siamo all’altezza delle sfide.
 
Chi, sui contratti, le ha prese per ben otto volte può benissimo prenderle di nuovo per altre otto volte. Se è vero che siamo quello che mangiamo allora se il sindacato continua a nutrirsi di mollichelle nel tempo il sindacato cambierà diventando un mollicaro cioè colui che si nutre di mollichelle.
 
In fine a proposito di “referente politico” non si deve mai dimenticare che quando egli concede al sindacato degli emendamenti marginali allo stesso tempo egli ottiene in cambio di fatto una adesione alle proprie politiche economiche.
 
Questo per dire che se si diventa mollicari non è mai per caso.
 
Ivan Cavicchi   

13 novembre 2017
© Riproduzione riservata

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