Il Ministero della Salute è al lavoro per applicare le disposizioni del Tar Lazio sul nuovo tariffario dell’assistenza specialistica, con l’impegno di coinvolgere attivamente le parti sociali. Lo ha annunciato oggi il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, rispondendo in Aula alla Camera a un’interrogazione dell’onorevole Ida Carmina (M5S), spostando così il fuoco dalla sentenza di settembre alle prossime mosse dell’Esecutivo.
“Concludo rappresentando che attualmente sono in corso tutte le valutazioni e le determinazioni conseguenti a quanto disposto dal giudice amministrativo”. Con questa dichiarazione, Gemmato ha assicurato che il Ministero ha avviato l’iter per ottemperare alla decisione del Tribunale Amministrativo Regionale che lo scorso settembre ha annullato parzialmente il decreto del 25 novembre 2024.
La parte più significativa della risposta, tuttavia, riguarda le garanzie procedurali per la fase che si apre. Il Sottosegretario ha infatti precisato che “verranno adottate tutte le cautele procedimentali opportune, comprese quelle relative al coinvolgimento dei soggetti interessati”. Questa frase rappresenta un impegno esplicito a consultare le organizzazioni sindacali e di categoria nel percorso di redazione del nuovo provvedimento tariffario, una delle richieste alla base dell’interrogazione.
Pur in presenza di una sentenza che ha trovato dei vizi nel procedimento, Gemmato ha tenuto a tranquillizzare il Parlamento sull’operatività corrente del Servizio Sanitario Nazionale, assicurando che “il nomenclatore delle prestazioni resta, quindi, quello stabilito dal decreto ministeriale del 25 novembre 2024”, e che non sussistono quindi “incertezze applicative” per cittadini e operatori nel frattempo.
L’Aula ha quindi appreso che la macchina ministeriale si è messa in moto. L’obiettivo dichiarato è duplice: rispettare il dettame del giudice, che ha imposto un annullamento con efficacia differita di un anno per evitare “gravi ripercussioni socio-economiche”, e farlo attraverso un processo trasparente che preveda il confronto con i portatori di interesse, come richiesto dalla politica.
La replica di Carmina (M5S): “Non soddisfatta, priorità alle armi invece che alla salute”
La risposta del Sottosegretario non ha lasciato soddisfatta l’interrogante, Ida Carmina del M5S, che ha espresso un netto giudizio di critica sulla metodologia di governo.
“Non posso dirmi soddisfatta perché, in realtà, il problema è un atteggiamento di fondo: non si può costruire un sistema sanitario che sia pubblico e universale sui criteri del contenimento della spesa”, ha affermato l’esponente pentastellata, definendo il caso del tariffario “emblematico di una metodologia scorretta”. Carmina ha sottolineato come le tariffe annullate “non coprivano, addirittura, le spese vive”, a causa di “analisi non reali dei costi” e di un “campione non rappresentativo”, al punto da provocare “una sorta di ribellione da parte dei fornitori”.
La parlamentare ha poi lanciato un attacco diretto alle scelte di finanza pubblica del Governo, mettendo a confronto le risorse destinate alla sanità con quelle per la difesa. “Se noi pensiamo che il Governo ha assentito al 5 per cento di spese militari rispetto al PIL e che, in più, si sta parlando di una clausola di salvaguardia per derogare al Patto di stabilità per l’1,5 per cento del PIL, i conti è facile farli”, ha dichiarato, evidenziando come “solo per questi due aspetti ci sarebbe un aumento del 6,5 per cento”, a fronte di un incremento per la sanità stimato dalla fondazione GIMBE al 6,16%, “che, fra l’altro, è previsto in décalage”.
“La verità è che il diritto alla salute è fondamentale”, ha rimarcato Carmina, “e oggi i cittadini italiani sono costretti a scegliere fra nutrirsi e curarsi: 6 milioni di italiani hanno deciso di non accedere più alle cure”. L’appello finale è stato per il superamento delle “discriminazioni geografiche”, accompagnato da due drammatici esempi dalla Sicilia: la commemorazione in ARS della professoressa Maria Cristina Gallo, “morta per i ritardi nei referti tumorali” da lei stessa denunciati, e la carenza di un acceleratore lineare funzionante nella provincia di Agrigento, dove “ci sono liste d’attesa di quattro mesi per cure vitali”.