L’ampio dibattito ospitato da Quotidiano Sanità dopo il mio intervento sul Corriere della Sera dello scorso maggio testimonia due cose: una è l’interesse che oggi ricopre il problema dell’identità del medico e la seconda è come le visioni siano molto diverse. Tutti coloro che sono intervenuti hanno infatti riconosciuto gli stessi elementi di criticità ma le analisi e le proposte erano tra loro molto lontane. Non ho soluzioni in tasca da proporre, né parole conclusive, vorrei solo aggiungere qualche ulteriore spunto alla riflessione.
Chi lavora tutti i giorni nelle corsie ospedaliere o negli ambulatori del nostro Ssn sa bene che già oggi è difficile continuare a garantire tutto a tutti, il problema è che nessuno vuole assumersi la responsabilità politica di dirlo. Il nostro sistema di welfare è tuttora molto garantista (anche se le disparità nel Paese sono enormi, come raccontato egregiamente dal libro di Giovanni Padovani "Il diritto negato") ma le limitazioni cominciano già a essere realtà, forse è bene saperlo e cominciare a dirlo. D’altra parte è necessario confrontarsi con il paradosso della medicina: l’innovazione non riduce i bisogni di assistenza, anzi aumenta la domanda di servizi a pazienti che negli anni sono sempre più diventati “sophisticated consumers”.
Qualcuno ha scritto che il problema della compatibilità tra diritti e risorse rischia di scoppiare in mano al medico: difficile non condividere. Il medico ha però delle sue specifiche responsabilità, l’etica deve ribellarsi a mere logiche di bottega, “cheaper is better” non è applicabile in sanità. È necessario affermare la superiorità della scienza e della qualità, come ricorda Girolamo Sirchia nel suo recente libro "Spunti per una sanità migliore", le esperienze delle valvole cardiache brasiliane e dell’eparina cinese dovrebbero esserci bastate.
La sfida postwelfariana deve partire dai medici che devono scrollarsi di dosso anni di inerzia e passività e riacquistare, attraverso una difficile azione culturale di sensibilizzazione, una nuova alleanza terapeutica con i propri pazienti. Il progresso delle tecnologie non ha migliorato nell’ultimo ventennio la relazione medico-paziente, che va oggi ripensata. Così come è indispensabile superare le difficoltà dei contenziosi medico-legali figli anche di una medicina venduta come onnipotente e a rischio zero.
Infine, la tanto citata appropriatezza è certamente un punto chiave ma non il solo sul quale confrontarsi: se la spesa sanitaria nel nostro Paese è passata da 66 miliardi di euro nel 2000 a 106 nel 2010, non è certo per il peggioramento dell’appropriatezza.
Si potrebbe continuare a lungo e forse si dovrebbe, varrebbe la pena che questi temi venissero sviluppati e discussi fuori da logiche corporative o di potere perché la sanità per tutti è un diritto acquisito, sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, e tale deve rimanere, non dimenticando però che è stata una faticosa conquista sociale che va continuamente difesa e tutelata per il bene universale.
Sergio Harari
direttore dell’Uo di Pneumologia del San Giuseppe di Milano
sharari@hotmail.it