Il medico che fa il politico ed è spesso assente, ma resta responsabile di un reparto, può essere licenziato perché la sua condotta crea al datore di lavoro problemi organizzativi e perdita d'immagine ed espone i pazienti a rischi.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione (sentenza 604/2019, sezione lavoro) confermando la decisione di tribunale e Corte di Appello.
Il fatto
Un medico era stato nominato Consigliere regionale del Lazio nel 2013 e per questo, secondo la casa di cura (di Roma) in cui prestava servizio, si era spesso assentato dal lavoro, configurando la giusta causa per il licenziamento per una grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia, non essendoci neppure prova di una precedente tolleranza delle assenze da parte della Casa di cura.
Il caso nel 2013, ai tempi della Giunta Polverini, era stato già portato in evidenza dalle cronache per l'intreccio tra professione e poltica e la casa di cura aveva sottolineato anche con lettere chiarificatrici agli organi di stampa l'assenteismo del medico che per svolgere il ruolo a cui era stato eletto non aveva evidentemente chiesto l'aspettativa prevista per i dipendenti pubblici o privati assunti a cariche pubbliche elettive.
Inoltre, a confermare la situazione ci sarebbero anche le stesse dichiarazioni del dipendente nelle proprie note difensive che indicavano come, per il contemporaneo svolgimento di attività politica, non avesse intenzione di assicurare neppure per il futuro una presenza a tempo pieno, nonostante la responsabilità di un reparto.
Questo ha fornito piena giustificazione del completo venire meno, nel datore di lavoro, della fiducia circa la futura correttezza dell'adempimento della prestazione.
La sentenza
La Cassazione ha respinto il reclamo del medico verso la prima sentenza. La Corte d'appello, secondo la Cassazione, nel respingere il reclamo del medico, ha richiamato il principio di diritto esposto dalla prima sentenza, secondo cui il giudice deve valutare la gravità dell'addebito con tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi della condotta del sanitario.
Secondo la Cassazione non si può prescindere, nel valutare il comportamento del dipendente, dalla valutazione di quanto questo intacchi il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
Nel corso del giudizio è emerso che:
– non ci sono prove da cui è possibile dedurre che la casa di cura abbia tollerato le assenze del medico,
– il medico, occupato nello svolgimento contemporaneo dell’attività politica, non ha mai garantito l'intenzione, nonostante la responsabilità di un reparto, di svolgere quell'impiego a tempo pieno.
Secondo il medico però la Corte di Appello avrebbe omesso di valutare tutti gli aspetti della sua condotta, giungendo per questo a ritenere valido il licenziamento.
La Cassazione al contrario dichiara di condividere pienamente le motivazioni della Corte di Appello da cui risulta che "il positivo riscontro della proporzionalità tra addebito disciplinare e sanzione è stato fondato sull'obiettivo accertamento di – una prestazione quantitativamente assai inferiore a quella contrattuale, senza che risultassero atti o prassi di tolleranza da parte datoriale, oltre che sull'accertamento dell'elemento psicologico (…)".
La Corte di Appello inoltre, "nel ritenere accertato il rapporto di proporzionalità tra il fatto e sanzione, ha osservato come la fattispecie ponesse, di fronte a un medico con responsabilità di un reparto, il quale in questo modo aveva fornito una prestazione quantitativamente inferiore a quella contrattuale, esponendo il datore di lavoro a problemi organizzativi, perdita di immagine e rischi nei confronti dei pazienti".
Tutto questo “senza che risultassero atti o prassi di tolleranza da parte datoriale, oltre che sull'accertamento dell'elemento psicologico … di conseguenza ponendosi le valutazioni oggetto di ripetuta censura non già sul piano di un accrescimento fattuale ma di corollari, mediati da massime di esperienza, discendenti da una situazione la cui gravità è fatta essenzialmente risiedere altrove. In conclusione, il ricorso deve essere respinto”.