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Troppa confusione sul ruolo del privato in sanità

di Barbara Cittadini

21 FEB -

Gentile Direttore,
quanta confusione! Ciclicamente torna di moda il dibattito sul ruolo del privato in sanità. E la discussione si perde, sempre, attorno ad alcuni preconcetti che, onestamente, faccio sempre più fatica a giustificare.

Trovo, soprattutto, paradossale il tentativo di avallare, anche su queste pagine, personali opinioni in merito alla malattia che affligge il nostro Servizio Sanitario Nazionale e alla cura che occorrerebbe per eradicarla, con dimostrazioni che deriverebbero direttamente dalla teoria economica neoclassica che, secondo illustri autori, ci avrebbe allertati già da studenti sul pericolo del privato in sanità.

Ritorniamo, allora, sui “banchi di scuola”, ma facciamolo con onestà intellettuale. Perché la netta sensazione è che, sovente, a essere difeso non sia il diritto alla salute delle persone, ma la proprietà pubblica degli asset e il relativo indotto che si declina dal punto di vista occupazionale e da quello del consenso (“gli amici degli amici” che, ricordiamo a Cavicchi, non sono solo imprenditori).

Come ci rammentano Livio Garattini e Alessandro Nobili su queste stesse pagine, “la sanità costituisce un classico esempio didattico di fallimento del mercato” e l’intervento pubblico è necessario a sanare tale anomalia. Ma, quando si parla del ruolo del “mercato” e del “privato” nella tutela della salute pubblica, è bene distinguere il finanziamento dall’erogazione dei servizi alla salute.

Dal punto di vista del finanziamento, l’intervento pubblico si giustifica essenzialmente per ragioni etico-solidaristiche.

Sia i modelli Bismarck di assicurazione obbligatoria sia quelli Beveridge di copertura universale attraverso la fiscalità generale, quale quello italiano, vogliono limitare i fenomeni di discriminazione propri dell’out of pocket (dove chi acquista è chi sta male e dove il prezzo è indipendente dalla disponibilità economica) e delle assicurazioni volontarie (dove chi si assicura sono i soggetti ad alto rischio, situazione che porta a coperture assicurative incomplete, basate sulla probabilità che l’evento malattia si verifichi e ad applicare premi più alti o rifiutare di assicurare i soggetti ad alto rischio).

Generalmente i motivi di ricorso al privato puro – e sottolineo puro, diverso dalla componente di diritto privato del SSN - sono legati all’acquisto di prestazioni non erogate in ambito di SSN, alla compartecipazione alla spesa di prestazione “coperte”, alle tempistiche di erogazione (liste d’attesa) e al desiderio di standard qualitativi più alti.
Esiste, dunque, una componente fisiologica e una componente patologica della spesa privata.

Le stesse forme di co-payment, che trovano la loro legittimazione nel perseguimento di una maggiore responsabilizzazione individuale al consumo, non di rado denotano la mera incapacità del sistema di sostenere la spesa nella sua interezza. Chiaramente, quanto più la componente patologica diventa considerevole, tanto più si minano le basi del modello universalistico e la giustificazione stessa della tassazione generale.

Sempre sui “banchi di scuola” avremmo, però, dovuto imparare a discernere tra privato inteso come “mercato delle prestazioni sanitarie” e privato inteso come natura giuridica di strutture che operano nell’ambito del SSN.Dal punto di vista dell’erogazione, l’intervento pubblico si giustifica per motivi economici (fallimenti del mercato), i quali richiedono politiche pubbliche di regolamentazione. Sottolineo regolamentazione e non produzione perché non sussiste alcuna ragione di carattere economico o sociale per la quale le prestazioni sanitarie siano erogate esclusivamente da strutture di diritto pubblico.

Ad esempio, l’informazione imperfetta che caratterizza il mercato della salute richiede l’attuale funzione costituzionale delle Regioni - chiamate a individuare ed acquistare prestazioni e servizi dalle strutture ospedaliere di diritto pubblico e di diritto privato - e il ruolo dello Stato, chiamato a monitorare e garantire che i livelli essenziali di assistenza siano effettivamente erogati su tutto il territorio nazionale, in condizioni di equità, qualità e sicurezza.

Mi hanno insegnato che l’interesse pubblico è la salute pubblica e non la proprietà pubblica di strutture che vanno salvaguardate a prescindere dalla effettiva capacità di assistere i pazienti e dal grado di efficienza economica. Mi hanno, altresì, insegnato che l’interesse del paziente è quello di ricevere le cure migliori - dal punto di vista dell’efficacia, appropriatezza e sicurezza - e non di certo che quelle cure siano erogate da un ospedale di diritto pubblico. I malati desiderano essere curati; non sono interessati al patrimonio erariale.

E non posso che registrare amaramente quanto, ancora oggi, il mantra del “privato che rincorre il facile profitto e le prestazioni più remunerative” si scontri con un sistema dove le prestazioni delle strutture di diritto privato del SSN non sono scelte ma assegnate dal pubblico e dove il privato accreditato è l’unico remunerato sulla base di tariffari nazionali, quando, invece, le strutture di diritto pubblico continuano a essere finanziate a piè di lista, a copertura di inefficienze e sprechi.

Ora che abbiamo ripassato la lezione, mi piacerebbe che si potesse parlare di diritto alla salute sulla base di postulati solidaristici ed economici, lasciando l’ideologia alla sfera speculativa, senza goffi tentativi di legittimazione oggettiva. Perché è di un diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, che stiamo parlando.

Barbara Cittadini
Presidente Nazionale Aiop



21 febbraio 2023
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