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Depenalizzare l’atto medico

di Pietro Pellegrini

21 APR -

Gentile Direttore,
mi associo alle sagge parole di Andrea Angelozzi (QS 20 aprile 2023) sulla responsabilità dello psichiatra per atti commessi da pazienti in cura o con i quali è venuto in contatto (responsabilità "da contatto") o sono stati solo segnalati ai servizi.

I limiti scientifici delle capacità di previsione e prevenzione sono stati ben evidenziati dal collega Angelozzi e ciò è tanto più rilevante
dopo l'approvazione della legge 81/2014 che chiusi gli OPG, prevede che le persone autrici di reato, pericolose socialmente alle quali sia applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata, siano curate dai Centri di Salute Mentale.

Anche la legge 69/2019 (c.d. Codice Rosso) prevede "l'intervento psicologico con finalità di recupero e sostegno”, “l’osservazione scientifica della personalità”, “i programmi di riabilitazione specifica”.

Come noto è assai difficile per diverse ragioni, la situazione di tutti i medici, di psicologi e psichiatri che operano negli Istituti di Pena

alle prese con alti rischi di suicidio, autolesioni e aggressioni verso il personale e altri ristretti.

Cosa fare?
1) Depenalizzare l'atto medico. Siamo tra i pochi Paesi al mondo ad averla. Deve valere per tutti i medici. Non deve essere indagato e giudicato lo psichiatra che è chiamato per compiti istituzionali ad occuparsi di casi complessi, difficili, multiproblematici poco collaborativi e spesso abbandonati (senza che ciò configuri alcuna responsabilità a carico di nessuno).

2) Assicurare il "privilegio terapeutico" al medico che riporti ad un vero segreto professionale, inviolabile, abolendo obblighi di referto, rapporto ancora previsti dal Codice Rocco. In questo quadro va rivista e fortemente circoscritta anche la prassi della richiesta di relazioni sui singoli casi da parte dell'Autorità Giudiziaria.
Mentre la tutela della privacy da un lato pare assoluta dall'altro di fronte alla legge, tutto viene noto alle parti e, in molti casi, prima o poi anche l'opinione pubblica.
Come può lo psichiatra diventare/essere parte del mondo interno più intimo di una persona se non tramite la lenta costruzione di una relazione profonda, non giudicante, accogliente, basata sulla fiducia, delicata, attenta e soprattutto segreta, cioè profondamente tutelata per la sua delicatezza e fragilità, da ogni altro ascolto o sguardo.

3) Nei casi giudiziari specie se molto complessi, serve una responsabilità gruppale, condivisa, pubblica e non del singolo operatore (fatto salvo ovviamente il dolo) ma assunta dalle Istituzioni magari identificando con una Consensus conference le Buone prassi.

Pietro Pellegrini
Subcommissario Sanitario
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche
Ausl di Parma



21 aprile 2023
© Riproduzione riservata

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