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Ecco come risolvere l’annosa questione dello stato giuridico dei medici di famiglia

di Guido Citoni

15 GIU -

Gentile Direttore,
sembra ormai avviata a risoluzione, con il riconoscimento al medico di base dello status di libero professionista in convenzione, l’annosa questione dello stato giuridico dei medici di famiglia. Si chiederà loro un maggior impegno orario, per far fronte agli obblighi di “popolamento” delle Case di Comunità, ma non li si costringerà a divenire dipendenti pubblici.

Resta però irrisolta, in questo modo, l’altra problematica, quella che ha portato alla stessa introduzione della figura di medico di famiglia, ovvero quella del loro ruolo di “gate keepers”, cioè di razionatori impliciti di risorse e di guardiani dell’uso appropriato di servizi specialistici ed accertamenti.

Infatti, un medico di base libero professionista, si trova tra l’incudine ed il martello, dovendo essere “scelto” dal paziente e contemporaneamente far risparmiare il SSN.

Questo dissidio diventa cruciale quando il paziente che lo sceglie è “esente dal ticket”, cioè quando può usufruire gratuitamente (o quasi) delle prestazioni specialistiche e quindi senza nessun incentivo a farne un corretto uso. L’abuso che ne segue, il “moral hazard” potrà difficilmente essere contrastato dal medico, senza “perdere” il paziente. D’altronde, limitare l’uso di risorse specialistiche “per legge” è una contraddizione in termini.

Ecco allora in breve la mia proposta: un duplice ruolo, quello di medici dipendenti, che si prendono carico degli esenti dal ticket (con necessità di criteri aggiuntivi per le esenzioni parziali come quelle per cronicità) e quello di liberi professionisti per tutti coloro che scelgono di avere pazienti tenuti al pagamento del ticket.

Si dirà che è un’inutile complicazione, che un paziente può alternare stati diversi di reddito o divenire esente nel corso degli anni e che non bisogna obbligarlo a cambiare medico in vecchiaia. Si possono prevedere clausole derogatorie. Ad esempio, un paziente non esente per 20 anni che divenga esente, può restare con il suo medico di base, ma, nel momento in cui lo abbandona, rientra nel regime generale e deve avere un medico di base dipendente pubblico

Si dirà, soprattutto, che è una discriminazione verso gli esenti, che avranno medici di serie B, i nuovi “medici dei poveri”. Anche in questo caso tutto dipenderà dall’attuazione. Stipendi “netti” comparabili ed impegni orari comparabili non rendono scontata la scelta della libera professione per i medici con professionalità apicali. Inoltre, quale più ghiotta occasione per rendere veramente fruibili le costruende Case della Comunità, che popolarle di medici dipendenti per gli esenti? Purché, ovviamente, queste case si facciano e siano correttamente ubicate…. Addirittura si potrebbe argomentare il contrario: coloro che hanno un medico di base nella casa di comunità sono anche avvantaggiati nella fruizione degli altri servizi di medicina specialistica ivi presenti.

Si pone un nuovo spartiacque geografico, con il Sud, pieno di esenti e con quasi tutti i medici di base costretti a divenire dipendenti? Potrebbero i medici di base dipendenti fare attività intra-moenia? Una serie di domande vengono in mente. Parliamone.

Guido Citoni
Professore Associato di Economia Sanitaria, Università La Sapienza.



15 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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