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Fibrillazione atriale: lavorare più di 55 ore a settimana, aumenta il rischio di questa aritmia

di Maria Rita Montebelli

Uno studio osservazionale condotto in 4 nazioni europee su un numero impressionante di lavoratori (oltre 85 mila) ha evidenziato che lavorare oltre 55 ore a settimana aumenta il rischio di fibrillazione del 40%. Nonostante i suoi limiti metodologici, questo studio espande la letteratura sulle cause di fibrillazione atriale e fornisce interessanti spunti per future ricerche

14 LUG - Chi lavora troppe ore a settimane si espone al rischio di fibrillazione atriale. Lo rivela uno studio appena pubblicato su European Heart Journal, condotto sui oltre 85 mila persone di entrambi i sessi.
La ricerca ha messo a confronto persone con una settimana lavorativa media di 35-40 ore con altre che in una settimana lavoravano 55 ore o più, evidenziando così che questi ultimi presentavano un rischio di sviluppare la fibrillazione atriale del 40% superiore rispetto ai primi, nel corso del decennio successivo. Per ogni mille partecipanti allo studio sono stati registrati cioè 5,2 casi in eccesso di fibrillazione tra i super-lavoratori nell’arco di dieci anni di follow up.
 
“La fibrillazione atriale – commenta Mika Kivimaki, direttore dello Studio Whitehall II, Dipartimento di Epidemiologia presso lo University College di Londra – è l’aritmia più comune; e lo sviluppo di fibrillazione in chi lavora molte ore a settimane potrebbe essere uno dei meccanismi alla base dell’eccesso di ictus, già evidenziato in passato in questa categoria di soggetti. Questa aritmia aumenta inoltre anche il rischio di scompenso cardiaco e di demenza multivascolare”.
 
I ricercatori inglesi del consorzio IPD-Work (Individual-Participant-Data Meta-analysis in Working Populations) hanno analizzato i dati relativi a 85.494 lavoratori di entrambi i sessi residenti in Gran Bretagna, Danimarca, Svezia e Finlandia che avevano preso parte ad uno degli otto studio realizzati in queste nazioni. Le ore settimanali lavorate da questi soggetti sono state registrate solo al momento della loro inclusione nello studio, tra il 1991 e il 2004, e sulla base delle ore lavorate sono stati assegnati a 5 gruppi: meno di 35 ore settimanali, tra 35 e 40 oltre (considerato lo standard per un lavoratore a tempo pieno), da 41 a 48 ore, da 49 a 54 ore e oltre 55 ore a settimana.
 
Durante i 10 anni di follow up si sono verificati 1061 nuovi casi di fibrillazione atriale, che corrispondono ad un tasso di incidenza generale di 12,4 per mille; ma nel gruppo dei workaholic (quelli che lavoravano oltre 55 ore a settimana) l’incidenza registrata è stata di 17,6 per mille. “I super-lavoratori – commenta Kivimaki – hanno un rischio di 1,4 volte superiore di sviluppare fibrillazione atriale, anche dopo aver fatto gli adeguati aggiustamenti statistici per altri fattori di rischio. Nove casi su 10 di fibrillazione si sono verificati in soggetti senza patologie cardiovascolari note. Ciò significa che questo rischio è legato al superlavoro e non a patologie cardiovascolari pregresse o concomitanti. Non sono noti però gli esatti meccanismi alla base di questo fenomeno, che andranno appurati da altre ricerche”.
 
Tante le limitazioni di questo studio osservazionale, a cominciare dal fatto che il numero di ore di lavoro settimanale è stato registrato solo all’ingresso nello studio e non sono note informazioni circa il fatto che il tipo di lavoro includesse o meno turni di notte. Si tratta tuttavia di uno studio importante per i numeri considerati (85 mila partecipanti). “E comunque – commenta Kivimaki - in assenza di altri studi con la fibrillazione atriale come outcome primario nella popolazione generale, risultati come questo, derivanti da uno studio osservazionale, sono particolarmente importanti nel fornire indizi circa i determinanti di stile di vita di questa condizione”.
 
Maria Rita Montebelli

14 luglio 2017
© Riproduzione riservata

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