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Embolia polmonare postoperatoria: rischio elevato per 12 settimane

di Marilynn Larkin

Il rischio di embolia polmonare postoperatoria resta elevato oltre le 6 settimane dopo l'intervento chirurgico, indipendentemente dal tipo di procedura. È quanto emerge da uno studio francese che ha analizzato i dati relativi a oltre 60 mila pazienti. Ulteriori studi clinici randomizzati permetteranno di valutare se la durata dell'anticoagulazione profilattica post-operatoria debba essere estesa nella durata

15 OTT - (Reuters Health) – Il rischio di embolia polmonare è più elevato elevato nei tre mesi successivi a un intervento chirurgico di qualunque tipo. Lo suggerisce uno studio francese pubblicato online dalla rivista JAMA Surgery. Alexandre Caron e colleghi, dell’Università di Lille, hanno valutato il rischio di embolia polmonare analizzando i dati relativi a 60.703 pazienti ricoverati per embolia polmonare postoperatoria tra il 2007 e il 2014. Le procedure chirurgiche erano vascolari, ginecologiche, gastrointestinali e ortopediche.

L’età media dei partecipanti era di 56,6 anni, il 58.9% era di sesso maschile, nessuno aveva un cancro e nemmeno una storia di embolia polmonare.
Per tutti i tipi di interventi chirurgici, il rischio di embolia polmonare postoperatoria era più elevato nell’immediato periodo postoperatorio, quindi da una a sei settimane, e restava elevato per almeno 12 settimane. I rapporti di probabilità variavano da 5,24 per la chirurgia vascolare a 8,34 per la chirurgia ortopedica. Tuttavia, a partire da 18 settimane dopo qualunque tipo di procedura, non si osservava un aumento della probabilità del rischio.
 
Secondo gli autori, la persistenza del rischio “suggerisce che sono necessari ulteriori studi clinici randomizzati per valutare se la durata dell’anticoagulazione profilattica postoperatoria debba essere estesa“. 
 
Serve uno studio clinico randomizzato che confermi i risultati

Elliott Haut della School of Medicine della Johns Hopkins University di Baltimora, coautore di un editoriale correlato allo studio, ha sottolineato come, per anni, i clinici abbiano tentato di prevenire i coaguli in pazienti ricoverati basandosi su dati provenienti da numerosi studi. Invece lo studio sembra suggerire che si dovrebbe considerare “il potenziale beneficio della profilassi venosa del tromboembolia per una gamma molto più ampia di pazienti.”
Lo studio tuttavia non è sufficiente, secondo Haut, per cambiare approccio, “ma certamente non vedo l’ora che arrivino nuove considerazioni e nuove riscerche su questo importante argomento”.

”Questo è uno studio molto importante che ha il potenziale per far cambiare la pratica”, ha commentato Philip Green, cardiologo interventista presso il NewYork-Presbyterian e il Columbia University Medical Center.,”I risultati sono del tutto coerenti con la nostra esperienza clinica, poiché spesso vediamo pazienti più di 5-6 settimane dopo l’intervento chirurgico che hanno sviluppato gravi complicanze tromboemboliche venose”.

“Il punto forte dello studio è che analizza un database nazionale di oltre 203 milioni di degenze, il che consente di effettuare un’analisi statistica solida”, ha precisato Green,”Tuttavia, tra quei ricoveri ospedalieri, poco più di 500.000 erano per embolia polmonare e poco meno di 61.000 ricoveri ospedalieri sono stati utilizzati per l’analisi primaria in questo studio. Pertanto, il campione di studio finale consisteva nel 12% circa di tutti i ricoveri per embolia polmonare. Ciò ha forse limitato la generalizzabilità di questi risultati.”
 

Fonte: JAMA Surg 2019
 

Marilynn Larkin
 

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)
 

15 ottobre 2019
© Riproduzione riservata

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