Verso un nuovo modello italiano di cure domiciliari integrate: la lezione dell’Ocse e il ruolo strategico dell’intelligenza artificiale
Ricostruire una infrastruttura di cura territoriale, integrata e comunitaria, governare l’IA con trasparenza e responsabilità pubblica, investire nelle professioni e nella fiducia non sono opzioni: sono atti necessari per difendere l’idea stessa di diritto alla cura
L’Italia si trova oggi davanti a un passaggio cruciale nella storia del proprio sistema di welfare e sanitario. L’invecchiamento della popolazione e l’esplosione della domanda di assistenza di lungo periodo non rappresentano più un futuro possibile, ma una condizione già presente. Nel 2025, gli over 65 sono il 24,7% della popolazione e diventeranno il 37% nel 2050; la fascia sopra gli 80 anni raggiungerà il 15%, la seconda più alta al mondo. Quasi il 60% delle persone oltre 75 anni dichiara limitazioni funzionali, e più di 4,1 milioni di anziani vivono soli.
Come sottolinea il recente rapporto dell’OCSE (2025) “Verso un’integrazione strutturata e sistemica delle cure domiciliari per non autosufficienti in Italia” l’Italia affronta una sfida tripla e contemporanea: cura, assistenza e tutela. Non è più sufficiente curare le malattie croniche; è necessario sostenere quotidianamente le persone nella vita reale, dentro case, reti familiari e comunitarie.
La domanda di assistenza domiciliare è già oggi superiore alla capacità del sistema pubblico: solo l’11,8% degli anziani con limitazioni ADL accede a servizi pubblici, per gli altri c’è solo l’aiuto della famiglia
l’ADI eroga mediamente solo 14 ore all’anno per assistito, un dato che da solo racconta il divario strutturale tra bisogni e risposte. Dunque non è più il tempo di se cambiare, ma di come farlo.

La crisi silenziosa della long-term care italiana
La frammentazione tra sanitario e sociale è il vero punto di sofferenza del sistema italiano. Ciò che gli utenti vivono come un percorso unico è in realtà distribuito tra:
- Regioni (programmazione sanitaria)
- Comuni e Ambiti Territoriali Sociali (tutela e assistenza)
- ASL e distretti (cure)
- INPS (trasferimenti monetari)
- Terzo settore e privato sociale
- caregiver familiari (la vera spina dorsale del sistema)
Il risultato è una catena di passaggi, autorizzazioni, filtri e frontiere amministrative che scarica sulle persone e sulle famiglie l’onere della complessità istituzionale.
Proprio l’OCSE conferma ciò che la pratica quotidiana racconta da tempo: senza un’integrazione reale, i servizi esistono ma non funzionano insieme. L’Italia continua a spendere risorse significative in trasferimenti monetari — in particolare l’indennità di accompagnamento — ma molto meno in servizi strutturati, generando dipendenza dalle famiglie e dai caregiver retribuiti.
La conseguenza è economica, etica e organizzativa: si espande la spesa privata, aumenta la disuguaglianza territoriale, la domanda si sposta verso i Pronto Soccorso, cresce la sfiducia nel sistema.

La proposta OCSE: dalla frammentazione alla ricomposizione
Il rapporto invita l’Italia a superare modelli episodici o locali e a scegliere una strategia nazionale basata sulla ricomposizione: non accorpare strutture e istituzioni, ma coordinare funzioni, standard e percorsi.
La ricomposizione si fonda su tre pilastri operativi:
- Accesso unico e valutazione multidimensionale
- Un solo portale, una sola valutazione clinico-sociale, un solo Piano Assistenziale Individualizzato.
- Équipe multidisciplinari e community care medici, infermieri, operatori sociali, tecnici di riabilitazione, psicologi, associazioni, volontariato, caregiver.
Finanziamento integrato e monitoraggio trasparente
Iniziamo a valutare percorsi e risultati, non prestazioni isolate! Si tratta, in sostanza, di passare dalla presa in carico come promessa alla presa in carico come architettura strutturale.
Le comunità come infrastrutture di salute
Un sistema di cure integrate non può basarsi solo su risorse professionali. Il rapporto indica chiaramente il ruolo crescente della comunità come sfera di assistenza di prossimità, dove cittadini, legami sociali, volontariato e Terzo Settore diventano parte dell’ecosistema di cura. Gli esempi (come Frome nel Somerset) dimostrano che attivare la comunità riduce ricoveri impropri e solitudine clinica, realizzando un modello di salute basato sulla reciproca responsabilità.
Il modello Frome (U.K.) si basa, in sintesi, sui seguenti punti:
- Mappare quello che c’è nei territori come bisogni e come offerta di servizi;
- Investire e costruire il “capitale sociale” delle comunità;
- Lavoro e confronto “tra pari”;
- Comunicazione con le comunità (stampa, web, app, etc.);
- Supporto e comunicazione con i gruppi;
- Promozione e formazione e coordinamento dei “comunity connectors”;
- Promozione e formazione e coordinamento dei “health connectors”;
- Attività di “Social prescribing”.
Questo modello si è sostanziato nel 2024 in queste evidenze:

La sfida dell’innovazione e il nuovo ruolo dell’Intelligenza Artificiale
L’integrazione sociosanitaria non è soltanto una questione organizzativa o normativa. È anche — e soprattutto — una questione culturale e cognitiva. Se nel Novecento le grandi trasformazioni della sanità sono state determinate da rivoluzioni biologiche (antibiotici, vaccini), oggi la rivoluzione in corso è una rivoluzione dell’informazione e della conoscenza: l’Intelligenza Artificiale sta cambiando il modo in cui si prendono decisioni cliniche e di sistema.
Ogni giorno nei sistemi sanitari si generano milioni di micro decisioni: ricoverare o no, quale terapia avviare, quale priorità assegnare in lista d’attesa, indirizzare un paziente verso un percorso intensivo o domiciliare. In un contesto di scarsità e incertezza — carenza di infermieri e medici, liste di attesa, infrastrutture territoriali incompiute, aumento delle cronicità — l’IA viene percepita come una risposta naturale, quasi inevitabile.
“l’IA promette maggiore precisione, riduzione degli errori, personalizzazione dei trattamenti, migliori esiti, supporto ai professionisti e ai pazienti. Ma è sempre, comunque, una macchina che ottimizza una funzione obiettivo, definita da chi la costruisce, la finanzia e la controlla”
.
La domanda decisiva non è come funziona il modello, ma per cosa è addestrato
Un algoritmo clinico può essere ottimizzato per centrare obiettivi tra loro molto diversi:
- Ridurre la mortalità,
- Migliorare la qualità della vita,
- Ridurre i costi di ospedalizzazione,
- Aumentare l’attività produttiva di un reparto,
- Minimizzare il rischio medico-legale,
- Massimizzare volumi remunerativi,
- Indirizzare a servizi o device preferenziali.
Lo stesso modello può dare decisioni molto diverse a seconda della priorità che si desidera perseguire. Non esiste la decisione dell’algoritmo: esiste una decisione presa a monte, configurata da qualcuno, in qualche luogo, con una scala di valori implicita o esplicita.
Quando la funzione obiettivo è costruita per ridurre i ricoveri costosi, la scelta risultante può essere economicamente efficiente ma clinicamente sbagliata, eticamente discutibile e socialmente iniqua.
Questo è ciò che chiamiamo appropriatezza tecnica vs appropriatezza etica.
Il legame invisibile tra innovazione industriale e decisione clinica
Il dibattito mondiale sul potere computazionale, come la recente corsa ai chip TPU da parte di Meta e la progressiva dipendenza dei modelli di IA dalle infrastrutture gestite da poche Big Tech, non è un tema lontano dalla sanità.
Tre eventi globali stanno modificando la sanità anche se non sembra:
- Concentrazione del potere tecnologico in 3–4 soggetti globali (Google, Meta, Nvidia, Amazon),
- Riduzione del costo computazionale, che rende sostenibile l’adozione massiva di sistemi automatizzati anche dove non esiste una reale validazione clinica,
- Dipendenza infrastrutturale dei sistemi sanitari pubblici da tecnologie proprietarie.
Il risultato possibile? La sanità potrebbe diventare un settore dipendente da dinamiche industriali e commerciali che nulla hanno a che vedere con la cura: la privatizzazione dell’infrastruttura cognitiva.
Tre rischi reali e già presenti
- Ottimizzazione per il profitto. Se un modello è progettato o finanziato da un produttore di device o farmaci, può raccomandare trattamenti e percorsi più remunerativi, anche quando equivalenti o peggiori dal punto di vista clinico.
- Appropriateness washing. L’algoritmo può mascherare decisioni di contenimento della spesa sotto il linguaggio tecnico dell’efficienza. Ciò che si presenta come rigore scientifico può essere in realtà austerità mascherata.
- Marginalizzazione delle persone fragili. Se i dataset non rappresentano adeguatamente anziani fragili, pluripatologici o popolazioni socialmente vulnerabili, l’IA riproduce bias strutturali. L’algoritmo diventa quindi tecnicamente corretto, ma eticamente sbagliato.
Quando la tecnologia decide prima del medico
Tre esempi concreti illustrano la posta in gioco: quello di un algoritmo di triage che manda a casa un paziente che peggiorerà; oppure una scelta diagnostico-terapeutica determinata dal costo marginale, non dal valore per il paziente; la possibilità di modelli che discriminano sulla base dei dati disponibili, non della persona reale. L’IA può essere uno straordinario supporto, ma solo se non sostituisce il giudizio clinico, non riduce i professionisti a esecutori e non elimina la relazione terapeutica. La decisione clinica non è una formula: è un incontro tra persone, dentro un contesto, con un sistema di significati e responsabilità.
Una nuova governance: evidence-based medicine + evidence-based governance
Il bivio è chiaro: IA che emancipa o IA che sostituisce.
IA che emancipa
- Rafforza il giudizio clinico,
- Guida scelte personalizzate,
- Riduce sprechi,
- Favorisce equità e fiducia.
IA che sostituisce
- Standardizza e normalizza decisioni,
- Sposta potere verso l’automazione e l’economia,
- Amplifica disuguaglianze,
- Trasforma professionisti in operatori di flusso.
Per questo servono regole nuove e non negoziabili e cioè:
- Trasparenza sui modelli, obiettivi e dataset,
- Controllo clinico e pubblico indipendente,
- Audit continuo sugli effetti reali,
- Human-in-the-loop obbligatorio, nel senso di una supervisione umana che consente una migliore comprensione e spiegazione del modo in cui l’IA giunge alle sue conclusioni.
L’Italia — come raccomanda anche l’OCSE — deve costruire un modello di IA pubblica e condivisa, interoperabile e al servizio del valore per le persone, non della logica industriale. Non si tratta di essere contro l’IA, ma di decidere con quali valori costruirla.
La convergenza strategica: comunità, professioni e IA
Perché questo tema è decisivo nel quadro della domiciliarità integrata?
Perché un sistema domiciliare avanzato ha bisogno di:
- Infermieristica territoriale forte,
- Équipe multidisciplinari reali,
- Sistemi informativi interoperabili,
- Telemedicina e teleassistenza integrate,
- Comunità attive come nodi di salute,
- IA trasparente e governata.
La sanità del futuro non sarà né totalmente digitale né totalmente relazionale. Sarà una alleanza tra tecnologia e umanità, dove l’IA illumina la complessità e la comunità le restituisce senso.
Verso un nuovo patto per la cura
Il vero punto non è cosa costruire, ma cosa ricomporre e nello specifico: conoscenza, responsabilità, fiducia, relazioni, dati e risorse. Ecco perché parlare di cure domiciliari integrate, comunità proattive e IA non significa affrontare temi separati, ma pezzi inseparabili di una stessa trasformazione.
La posta in gioco è la possibilità di costruire un sistema sanitario resiliente, giusto, umano, intelligente, e sostenibile. Ed è una scelta che definisce la civiltà che vogliamo essere.
Una roadmap possibile per l’Italia: dalla frammentazione alla ricomposizione
Se, come indica l’OCSE, la strada più realistica e sostenibile per il nostro Paese è quella della ricomposizione — non l’accentramento, non l’accordo episodico — allora occorre tradurre questa visione in una strategia operativa concreta.
L’Italia ha già molti tasselli normativi fondamentali: il DM 77, la Legge 33/2023, il D.Lgs. 29/2024, l’introduzione dei LEPS, la programmazione territoriale del PNRR. Ma manca ancora il collante strategico, la cornice di senso e di governance che renda coerenti strumenti oggi isolati e spesso non comunicanti.
L’integrazione sociosanitaria deve diventare l’architettura fondamentale del sistema, non una sperimentazione. Deve essere la regola, non un progetto pilota. E deve avere obiettivi misurabili, tempi certi e una catena di responsabilità.
Le trasformazioni profonde hanno bisogno di tre condizioni: visione chiara, responsabilità definite, strumenti reali. Proponiamo quindi una roadmap organizzata in sei assi di intervento, coerenti con quanto raccomandato dall’OCSE e con la realtà operativa dei professionisti e delle comunità locali:
1. Accesso unico e valutazione multidimensionale
Oggi la persona fragile deve ripetere la sua storia più volte e attraversare vari uffici per ricevere servizi diversi. È un percorso di sofferenza aggiunta.
Serve un:
- Punto Unico di Accesso sociosanitario reale e non simbolico,
- Valutazione Multidimensionale unica, non replicata,
- Progetto Assistenziale Individuale integrato condiviso tra sanitario, sociale, comunità e famiglia,
- Responsabile del caso identificato e riconosciuto (non un’entità astratta).
Questo è il cuore dell’integrazione: non un modulo aggiuntivo ma una porta sola di ingresso.
2. Équipe territoriali multidisciplinari e stabili
L’OCSE sottolinea la necessità di far evolvere le prestazioni settoriali in pacchetti coordinati gestiti da équipe multidisciplinari. Ciò significa:
- Non lavorare più “in parallelo”,
- Eliminare l’idea che sociale e sanitario siano mondi separati,
- Superare la logica della prestazione episodica a favore del percorso continuo.
Le équipe territoriali devono includere:
- Medico di Medicina Generale con ruolo strutturato,
- Infermiere di Famiglia e Comunità,
- Fisioterapisti, psicologi, OSS, terapisti occupazionali,
- Assistenti sociali,
- Volontariato organizzato e caregiver come risorsa riconosciuta.
L’integrazione non è possibile senza una infermieristica forte, oggi numericamente insufficiente. Senza infermieri non esiste domiciliarità reale.
3. Finanziamento integrato e superamento della spesa a silos
Il finanziamento separato di sociale e sanitario genera guerra tra poveri, inerzie amministrative, ritardi infiniti e perdita di risorse. Servono:
- Un Fondo Unitario Sociosanitario per la Non Autosufficienza articolato territorialmente,
- Cofinanziamento regionale e comunale modulato sulla domanda reale,
- Introduzione di budget di percorso e non di prestazione,
- Spostamento progressivo della spesa dall’ospedale al territorio,
- Valorizzazione del caregiver con misure economiche e formative strutturate.
La sostenibilità non si costruisce tagliando: si costruisce investendo dove il valore prodotto è maggiore.
4. Sistema informativo unico e interoperabile
Non si può fare integrazione senza dati. L’OCSE lo segnala con estrema chiarezza: oggi non esiste un sistema informativo integrato tra ADI e SAD, e questo è un ostacolo strategico alla programmazione e alla valutazione. Serve quindi:
- Un Electronic Integrated Care Recordnazionale, condiviso da MMG, distretto, ospedale e servizi sociali,
- Indicatori di processo ed esito condivisi,
- Open data trasparenti al servizio della fiducia.
La trasparenza genera responsabilità: e la responsabilità genera miglioramento.
5. Comunità come infrastruttura sociale della salute
Oggi la politica immagina il territorio come una rete di servizi. In realtà, la prossimità non è la rete dei servizi: è la rete delle relazioni.
Attivare comunità significa:
- Open data territoriali e mappatura delle fragilità sociali,
- Formazione di cittadini attivi e volontari (community connectors),
- Luoghi fisici e non solo digitali: talking cafés, talking benches, centri civici,
- Partnership strutturali e non episodiche con il terzo settore.
L’OCSE insiste sul ruolo delle reti comunitarie come fattore abilitante per la domiciliarità integrata e per evitare l’isolamento delle famiglie. La comunità è l’infrastruttura più sottovalutata del sistema sanitario.
6. Governance dell’Intelligenza Artificiale come bene pubblico
Qui la convergenza tra domiciliarità e IA diventa evidente.
Se l’IA deve essere parte integrante del futuro della cura, non può essere lasciata a logiche di mercato, di automatismo o di produttività. La domanda non è se usare l’IA ma chi la governa, con quali obiettivi e con quali “garanzie”.
Negli ultimi mesi il nostro Paese ha compiuto passi importanti nella definizione di un quadro normativo e istituzionale per l’intelligenza artificiale. La nuova legge nazionale individua le Autorità competenti e attribuisce ad AGENAS un ruolo centrale nello sviluppo della Piattaforma nazionale di IA per la sanità. Parallelamente, presso l’Istituto Superiore di Sanità è stato istituito il nuovo Centro dedicato alle tecnologie innovative e agli algoritmi applicati alla salute.
Sono evoluzioni significative, che segnano l’ingresso dell’Italia in una fase più matura di regolazione e indirizzo strategico. Tuttavia, proprio alla luce di questo avanzamento, emerge con chiarezza l’esigenza di consolidare una governance unitaria e trasparente dell’IA in ambito sanitario, capace di integrare funzioni oggi distribuite e di garantire una supervisione pubblica forte, clinicamente orientata e indipendente da logiche esclusivamente industriali o commerciali.
In questa prospettiva proponiamo l’istituzione — o la piena operatività — di un Centro nazionale di governance dell’IA per la salute, con mandato esplicito e dotato di funzioni coordinate, tra cui:
- Valutazione tecnica, clinica ed etico-deontologica dei sistemi di IA destinati al SSN,
- Audit continuo sugli effetti reali in termini di qualità, sicurezza, outcome di salute ed equità,
- Definizione di standard nazionali di trasparenza e accountability, inclusa la comprensibilità verso professionisti e cittadini,
- Esercizio di un controllo pubblico delle funzioni obiettivo degli algoritmi, per evitare conflitti tra interesse clinico e interessi di mercato,
- Realizzazione di una repository nazionale di dataset e modelli, integrata con FSE e Piattaforma nazionale IA.
L’obiettivo non è rallentare l’innovazione, ma abilitarla in modo affidabile e sostenibile, rafforzando fiducia istituzionale, responsabilità professionale e tutela della cittadinanza. Senza una regia unitaria rischiamo, da un lato, un’adozione frammentata e guidata dal mercato, e dall’altro una resistenza difensiva che ostacola il progresso.
La trasformazione digitale della sanità non può essere lasciata allo spontaneismo o all’improvvisazione. È necessaria una governance pubblica solida, capace di coniugare innovazione, protezione dei diritti, equità di accesso e sostenibilità del SSN.
L’intelligenza artificiale non è solo una questione tecnologica: è una scelta strategica che riguarda l’architettura stessa del sistema sanitario, il rapporto con i professionisti e la fiducia dei cittadini. Il momento di definire una visione comune è adesso.
L’IA deve aumentare la libertà clinica, non ridurla. Deve ridare tempo alla relazione terapeutica, non sottrarlo.
Un futuro che non aspetta
L’Italia si trova davanti a un bivio che definisce la sua identità futura:
- Preferiamo una sanità amministrata o una sanità ricomposta e integrata?
- Consentiremo un IA che sostituisce o una IA che emancipa?
- Un sistema che difende posizioni o un sistema che costruisce fiducia?
Il Rapporto OCSE ci ricorda che il tempo della sperimentazione episodica è finito.
Occorre una visione: un sistema di cura fondato sulla persona, sulla comunità e sulla responsabilità condivisa, capace di integrare professionalità, tecnologie e umanità.
La tecnologia da sola non salverà la sanità, ma una sanità che integri comunità, competenze e IA trasparente può salvare la cura. La strada è stretta ma è percorribile.
E, come sempre nella storia, le trasformazioni possibili iniziano quando qualcuno decide di renderle inevitabili. Non abbiamo bisogno soltanto di buone leggi o di buone tecnologie.
Abbiamo bisogno di una visione di Paese, di una sanità che non sia un costo, ma una comunità di destino.
In un Paese dove la sanità è competenza regionale, la svolta non potrà mai essere solo nazionale.
Una riforma efficace richiede un Patto Multilivello perché nessun livello da solo può farcela!
| Livello | Responsabilità |
| Stato | cornice normativa, LEPS e LEA integrati, governance IA, sistemi informativi |
| Regioni | pianificazione territoriale, allocazione risorse, standard organizzativi |
| Comuni / ATS | tutela sociale, supporto comunitario, prossimità reale |
| ASL / Distretti | gestione percorsi ed equipe integrate |
| Comunità e Terzo Settore | attivazione sociale e prevenzione relazionale |
| Professionisti sanitari | competenza clinica e responsabilità decisionale |
Perché tutto questo è urgente
Per tre ragioni:
- Economica — il sistema non reggerà senza domiciliarità strutturale e riduzione dei ricoveri impropri,
- Sociale — l’Italia si sta trasformando in un paese di persone sole e famiglie fragili,
- Etica — la dignità non è un costo ma la misura della civiltà.
La vera riforma non è costruire Case della Comunità: è costruire comunità della cura. Non è informatizzare la sanità: è ricomporre la conoscenza e responsabilizzarla.
Il ruolo delle Comunità.
Nel nostro Paese e a livello internazionale si stanno sviluppando esperienze di condizione di proattività delle comunità sul tema della salute e della inclusione sociale. Proprio nella prospettiva di avere una nuova visione sul tema è importante la definizione di modelli e strumenti di promozione, valutazione, di valutazione di esperienze botton-up maturate in una logica di integrazione condivisione, co-progettazione e co-gestione, è stato attivato un percorso a marzo di quest’anno e che si è sostanziato in un primo convegno, svolto a giugno u.s. a Roma, con raccolta di circa 70 esperienze regionali e 12 internazionali, nonché di documentazione istituzionale e non sul tema “Comunità, Solitudine e Salute”.
Il network che si è formato e che si sta sviluppando si sta ponendo l’obiettivo di prime Raccomandazioni scientifiche su “Comunità proattive”, “social prescribing” e integrazione tra sanità e sociale botton-up.
Vuole essere un percorso di ascolto, di condivisione e di validazione condiviso.
Sono in corso di elaborazione anche strumenti di supporto alle Raccomandazioni come un “Glossario” delle parole chiave, una “Scheda di autovalutazione” delle esperienze sviluppate, ispirata al Modello EFQM-CAF, e una Review Scientifica su quanto presente in letteratura scientifica in Italia e a livello internazionale.
A gennaio 2026 è programmato un Convegno per approvare Raccomandazioni e strumenti di supporto e validazione.
Conclusioni
Come ha scritto recentemente Nino Cartabellotta su Domani, non serve immaginare complotti per spiegare ciò che sta accadendo alla sanità italiana: “Il progressivo indebolimento della sanità pubblica, perpetrato da tutti gli esecutivi nell’arco di oltre 15 anni, ha spianato la strada a una privatizzazione silenziosa ma inesorabile del SSN. E i numeri non mentono” Il privato è ormai dominante: …
Nel 2024 le famiglie hanno speso 41,3 miliardi di euro per curarsi, pari al 24% della spesa sanitaria totale, ben oltre il limite OMS del 15% oltre il quale l’accesso alle cure non è più universale.
Le rinunce alle cure sono salite a 5,8 milioni di persone. Il privato accreditato è ormai dominante in interi settori della riabilitazione e della residenzialità. Il rischio è reale: due binari sanitari, uno per chi può e uno per chi deve aspettare. Un ospedale su due è privato. Il 47% della spesa delle Aziende Sanitarie va verso l’outsourcing ed è verso terzi NON pubblici. Di fronte a questo bivio, la scelta da compiere non è tecnica: è politica e morale.
Ricostruire una infrastruttura di cura territoriale, integrata e comunitaria, governare l’IA con trasparenza e responsabilità pubblica, investire nelle professioni e nella fiducia non sono opzioni: sono atti necessari per difendere l’idea stessa di diritto alla cura. Se non saremo noi a costruire un sistema di salute equo e intelligente, saranno altri a farlo — orientati da logiche che nulla hanno a che vedere con la dignità, la solidarietà e la cittadinanza.
La tecnologia può emancipare o sostituire. La sanità può restare un diritto o diventare un privilegio.
Il futuro non è già scritto. Dipende da noi.
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, RomaAndrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma
Andrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.
01 Dicembre 2025
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