Per anni il dibattito sui biosimilari si è concentrato su prezzi, rimborsi, gare e linee guida cliniche. Ma una nuova analisi internazionale sposta il baricentro su un terreno finora poco esplorato: la promozione. Quanto influiscono le campagne degli originator sulle decisioni di medici, pazienti e istituzioni? E quanto le norme che ne regolano la trasparenza e i limiti incidono davvero sulla diffusione dei biosimilari? Le risposte, incrociate con dati su oncologia, reumatologia e diabete, mostrano un quadro molto eterogeneo. Un’eterogeneità che riguarda anche l’Italia che pur dotandosi di strumenti regolatori e monitoraggi avanzati, mostra margini di miglioramento soprattutto nella trasparenza delle attività indirette e nella disomogeneità regionale delle adozioni.
I farmaci biologici rappresentano ormai una fetta crescente della spesa farmaceutica in quasi tutti i paesi OCSE. In molte realtà europee, superano il 30–40% della spesa ospedaliera. In oncologia e nelle malattie autoimmuni, la quota può arrivare a oltre il 50%.
Secondo il documento allegato, i prezzi listino e il monitoraggio dei costi dei biologici restano tra gli strumenti più utilizzati dai paesi OCSE per governare l’impatto di queste terapie ad alto costo.
In questo scenario, l’arrivo dei biosimilari rappresenta una delle leve più efficaci per liberare risorse e ampliare l’accesso. L’OCSE stima che, nei mercati maturi, l’ingresso dei biosimilari può generare riduzioni di prezzo dal 20% fino al 70%, con risparmi annuali di miliardi di euro.
Perché la promozione conta: dai congressi alle “tattiche indirette”
Il nuovo rapporto mette in evidenza che la promozione dei biologici non si limita a materiale informativo o visite mediche. Anzi, negli ultimi anni le aziende originator hanno spostato sempre più risorse su:
- attività educazionali sponsorizzate;
- sostegno a società scientifiche;
- partnership con organizzazioni di pazienti;
- finanziamenti alla ricerca indipendente;
- iniziative di “disease awareness”.
Queste pratiche creano un contesto culturale che favorisce la fedeltà al marchio, rendendo più difficile lo switch verso i biosimilari, anche quando il risparmio è significativo.
Eppure, secondo il documento, la spesa promozionale è spesso difficile da monitorare: anche nei paesi con “sunshine laws”, i dati sono incompleti e le attività indirette sfuggono al controllo. Questo rende difficile valutare appieno l’impatto delle strategie di mercato sulla concorrenza.
Dove le norme sono più rigide, i biosimilari volano
L’analisi comparata su oncologia, reumatologia e diabete mostra una correlazione chiara:
? norme stringenti sulla promozione ? maggiore quota di mercato dei biosimilari ? erosione più rapida del prezzo originator
? norme permissive ? adozione lenta e disomogenea
Esempi dai paesi OCSE
- Danimarca: regole severe sulla promozione + procurement centralizzato ? biosimilari anti-TNF > 85% in pochi mesi; oncologici spesso > 90% entro 1 anno.
- Paesi Bassi: restrizioni sulle sponsorizzazioni e forte ruolo delle linee guida ? quote > 80% nei principali settori reumatologici.
- Stati Uniti: regolamentazione più flessibile e forte pressione commerciale originator ? quote dei biosimilari in oncologia e diabete spesso < 40% anche anni dopo il lancio.
L’Italia: un sistema regolatorio solido, ma non ancora determinante
Il documento richiama la necessità, in Italia, di migliorare i meccanismi di registrazione e reporting dei prezzi e dei dati di spesa per garantire maggiore trasparenza nell’analisi dei mercati dei biologici e dei biosimilari .
Cosa funziona
- AIFA vigila sulla promozione in modo più rigoroso rispetto ad altri paesi.
- Le gare pubbliche, soprattutto nelle regioni più strutturate, favoriscono la competizione.
- Le linee guida di molte regioni considerano biosimilari e originator pienamente intercambiabili.
Cosa funziona meno
- Grande variabilità regionale:
- alcune regioni superano l’80% di utilizzo in reumatologia,
- altre restano sotto il 50%.
- In oncologia il passaggio è più lento: in molte realtà i biosimilari di trastuzumab e rituximab non superano il 60–65%.
- Per le insuline biosimilari la quota resta intorno al 30–35%, molto più bassa dei benchmark nord-europei.
- Le attività promozionali indirette non sempre sono tracciate, nonostante le norme sulla trasparenza dei rapporti finanziari.
Perché l’Italia è “a metà del guado”
In sintesi, l’Italia mostra un quadro regolatorio avanzato ma privo di due elementi chiave presenti nei paesi più performanti:
- centralizzazione delle gare, che in Italia resta frammentata su base regionale o aziendale;
- limiti più rigidi alla promozione indiretta, oggi difficilmente monitorabile.
Il risultato è un ritmo di adozione moderato:
- più alto della media OCSE in alcune aree,
- inferiore a Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Regno Unito,
- molto variabile tra Nord, Centro e Sud.
L’evidenza raccolta nel documento dimostra che non basta introdurre i biosimilari perché il sistema sanitario ne benefici pienamente. Le regole sulla promozione, soprattutto quella indiretta, influenzano profondamente il comportamento dei medici e la percezione dei pazienti.
Per l’Italia, i prossimi passi dovrebbero essere:
- rafforzare la trasparenza delle sponsorizzazioni e dei flussi finanziari;
- contrastare la “brand loyalty” attraverso politiche informative indipendenti;
- armonizzare a livello nazionale le procedure di switch;
- centralizzare maggiormente gli acquisti per ridurre la variabilità regionale.
Solo con un ecosistema realmente competitivo i biosimilari potranno esprimere appieno il loro potenziale in termini di accesso e sostenibilità.