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Droga. I Sert sono un valido aiuto. Ma 1 paziente su 3 vende il metadone sul mercato nero


Una ricerca condotta da Gfk Eurisko e FeDerSerD (Federazione italiana operatori dei dipartimenti e servizi delle dipendenze) mostra che i pazienti trattati nei Sert conducono una vita più normale. Ma c’è carenza di servizi e personale. E un terzo dei pazienti dei Sert ammette di aver venduto il farmaco per disintossicarsi sul mercato nero, mentre il 15% di esserselo iniettato per sballare, abitudine o crisi di astinenza.

21 GIU - Una ricognizione sulla tossidicodipendenza oggi e suo trattamento nell’esperienza dei Sert: questo l’obiettivo di una ricerca Gfk Eurisko insieme con FeDerSerD (Federazione italiana operatori dei dipartimenti e servizi delle dipendenze) presentata a Milano. “Una realtà di 540 servizi distribuiti sul territorio con professionisti esperti, che nel 2010 hanno curato oltre 180.000 pazienti, ma che non ha risorse sufficienti per fronteggiare un impegno in continuo aumento, non ha ricambio generazionale e ha troppe differenze regionali” denuncia Fausto d’Egidio, medico internista e segretario esecutivo nazionale della Federazione. “Questo mentre nel 2010 le cure erogate hanno prodotto 34 milioni di giorni liberi da droga e un miliardo e 700 milioni di euro sottratti alla criminalità organizzata”.

Dietro questi risultati, la situazione analizzata dalla ricerca condotta questa primavera, relativa a 378 tossicodipendenti da eroina in terapia agonista per dipendenza da oppiacei, reclutati da 100 Sert e 100 medici responsabili degli stessi. “La tossicodipendenza da eroina non è in fase di superamento come qualcuno può pensare, ma la ricerca mostra tanti elementi di normalità nella vita sociale e relazionale di questi pazienti che frequentano i Servizi” commenta Alfio Lucchini, medico psicologo e presidente nazionale FeDerSerD. Si è ricorsi a interviste ai medici e a questionari anonimi ai soggetti in cura. Tra i pazienti partecipanti (in Italia sono 106mila quelli così trattati), in maggioranza maschi, il 50% mostra di avere un titolo di studio superiore, circa la metà lavora; l’80% vive con famigliari o amici, un terzo è sposato e un quarto ha figli: non sono quindi soggetti isolati o emarginati.
L’eroina risulta l’ultima fase di un percorso di uso o abuso di sostanze, che inizia con fumo e alcol nell’adolescenza e continua poi con marijuana, amfetamine, ecstasy, cocaina.

Da notare che c’è una motivazione personale, nella maggioranza dei casi è il paziente stesso che decide di curarsi, anche aiutato da parenti o amici, soprattutto perché preoccupato per la sua salute e poi per voglia di normalità e senso di responsabilità (rispetto a perdita del lavoro, malattie, ecc). I due terzi sono in cura con metadone, un quarto con il farmaco che combina buprenorfina e naloxone, il 13% con buprenorfina. “L’80% si dichiara soddisfatto della terapia che viene vista come un alleato per ottenere una vita normale, una salute migliore e la scomparsa del craving” rileva Stefania Fregosi, direttore Ricerche quantitative Dipartimento Healthcare Gfk Eurisko. “In quest’ottica è particolarmente positivo che il 71% riceva il farmaco in affido, anche se per brevi periodi, che consente una gestione autonoma e dà fiducia al soggetto, è visto come un’alleanza terapeutica tra medico e paziente (i medici nella ricerca concordano nel giudizio positivo). Fondamentali  sono anche la terapia psicologica e il counselling, sette pazienti su dieci ricevono questo approccio integrato e nove su dieci ne riconoscono l’utilità. Infine l’80% ritiene la propria condizione stabile e il 93% è soddisfatto del servizio”.

Emergono anche due aspetti negativi: la diversione e il misuso. Un terzo dei pazienti ammette cioè di aver venduto il farmaco sul mercato nero e il 15% di esserselo somministrato in modo improprio cioè iniettandolo (per sballare, per abitudine, per crisi di astinenza). “L’aggiunta del naloxone alla buprenorfina evita l’uso improprio per endovena perché in questo caso provocherebbe sintomi di astinenza; per i medici nella ricerca l’associazione è il farmaco migliore contro il misuso e la diversione” afferma D’Egidio. “Anche l’intervento psicologico è considerato molto utile: eppure ci sono ancora Servizi senza psicologo o assistente sociale per il counselling”. Ma ci sono altri ostacoli al funzionamento di questi presidi: “Esistono Sert con due soli operatori, e c’è troppa eterogeneità a livello regionale. Inoltre non c’è ricambio generazionale degli operatori, che hanno maturato una grande esperienza: solo il 7% ha meno di 45 anni. C’é bisogno di più medici e di più Sert, e di più risorse per un impegno enormemente aumentato negli anni. Anche perché i problemi sono tanti, abbiamo pazienti con malattie psichiatriche, o con Aids o patologie come l’epatite, persone entrate e uscite dal carcere che ricadono e rischiano di morire di overdose perché l’organismo non tollera più la droga. Occorre anche più ricerca, specie per trattare le dipendenze dalle nuove droghe”. Affrontare questa “patologia della libertà”, come D’Egidio definisce le dipendenze , conviene ai pazienti e alla società: ai primi perché riduce decessi, malattie, condotte illegali e favorisce il reinserimento familiare e sociale, alla seconda perché contribuisce a diminuire reati e prostituzione, costi sanitari e per carceri, tribunali, forze dell’ordine.   

Elettra Vecchia
 

21 giugno 2011
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