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Auto-assicurazione delle aziende sanitarie. Una soluzione che solleva perplessità  

di Alberto Tita

L’attuale sistema della responsabilità professionale medica si basa notoriamente sull’assicurazione obbligatoria, come le altre professioni. Orientamento mantenuto nel Ddl Gelli. Ma il rischio malpractice si concentra prevalentemente sulle aziende sanitarie che però faticano a trasferire quota significativa del rischio alle assicurazioni. 

06 LUG - Il disegno Gelli torna dal Senato alla Camera con innumerevoli modifiche e rimane impostato sull’obbligo assicurativo dei medici. Pur in assenza di un mercato assuntivo adeguato. Peraltro il grosso del rischio di med-mal si concentra sulle aziende sanitarie. Che sono talora senza assicurazione (in c.d. auto-assicurazione). Oppure vengono garantite da polizze che coprono quota non prevalente del rischio med-mal. Ma allora dov’è la “medicina (obbligatoriamente) assicurata”?

Ma il rischio med-mal è effettivamente assicurato?
L’attuale sistema della responsabilità professionale medica (medical malpractice, in breve, med-mal) si basa notoriamente sull’assicurazione obbligatoria, come le altre professioni. Orientamento che è stato mantenuto anche nel corrente disegno di legge Gelli, ora di ritorno (con varie modifiche) dal Senato alla Camera, dopo la sua prima approvazione.

Ma il rischio med-mal si concentra prevalentemente sulle aziende sanitarie - come è logico - mentre i medici che esercitano la libera professione ne costituiscono una porzione ridotta. Ciò risulta dalla loro minore incidenza (meno del 50%, secondo i dati ANIA) nella sinistrosità complessiva su questo rischio. Infatti, salvo limitati casi di specialità a rischio elevato o di particolari profili professionali individuali, normalmente i liberi professionisti trovano la copertura assicurativa, seppure a tariffe assai dispendiose.

Al contrario, le aziende sanitarie faticano a trasferire quota significativa del rischio med-mal alle assicurazioni. La non disponibilità di un mercato assicurativo a condizioni accessibili – oggi fatto di premi elevati e franchigie così alte da marginalizzare la copertura assicurativa – genera questa ben nota situazione. Finisce così che una porzione decisiva rimanga a carico dell’azienda sanitaria. Perciò, al di là dei proclami ufficiali e degli obblighi di legge, larga parte del rischio med-mal non è tecnicamente assicurato.

Queste brevi note intendono appunto evidenziare questo paradosso di consentire l’osservanza dell’obbligo assicurativo attraverso la non-assicurazione. Dopo l’altro paradosso - già affrontato in questa testata - dell’obbligo assicurativo senza mercato adeguato. Lo scopo è smontare il semplicistico alibi dei risarcimenti med-mal comunque garantiti, pur in assenza di coperture assicurative. Con le relative conseguenze di queste lacune. Nell’immediato, sulla responsabilità in capo alle aziende sanitarie. Nello sfondo, sull’efficienza del sistema sanitario.

Quali sono le dimensioni e le implicazioni di questo deficit di copertura?
Secondo le ultime rilevazioni di Agenas (ottobre 2015), delle venti regioni italiane, solo la metà ha sottoscritto delle polizze med-mal più o meno significative. Ossia con copertura di una quota apprezzabile dei sinistri, pur sempre con franchigie da 250mila o 500mila euro per sinistro. L’altra metà delle regioni si divide, a propria volta, in due ulteriori metà: cinque non hanno polizze e le altre cinque ce le hanno soltanto per rischi catastrofali, ossia con garanzia solo sui sinistri di valore superiore a 1 milione, o 1,5 milioni di euro. 

Ne consegue dunque che una parte assai rilevante di rischio med-mal non è assicurato. Cioè esso sfugge alla rilevazione e misurazione del mercato, restando nei bilanci degli enti sanitari e delle regioni. In una parola, del contribuente. Certamente anche i premi assicurativi sono un costo per la collettività, ma il trasferimento del rischio ad un terzo (l’assicuratore) ne permette oggettivazione e misurazione, proprio per la quotazione che esso riceve sul mercato finanziario. Questo monitoraggio economico permette di vigilare il rischio, evitando sue impennate, pena la sua insostenibilità e inassicurabilità.

Grazie a questo controllo esterno e terzo, si impongono correzioni di condotta, che diversamente non si adotterebbero, qualora il rischio restasse a carico dei bilanci pubblici. E’ la lezione che insegna il mercato. Per questa ragione in altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, pur essendovi una sinistrosità sanitaria non inferiore alla nostra, esiste un mercato assicurativo che sottoscrive il rischio med-mal benché a fronte di premi elevati. 

Piaccia o no, i diritti hanno una inevitabile ricaduta economica e, se questa viene elusa, li si svuota di significato, lasciando spazio alla demagogia. O, detto diversamente, la sostenibilità è l’altra faccia della libertà economica. In ogni caso, se l’assioma della professione medica (come delle altre, per la verità) è “responsabilità obbligatoriamente assicurata”, il grosso della med-mal è fuori dal perimetro di garanzia assicurativa. Il che pone dei seri interrogativi circa l’aderenza (anche) del nuovo disegno di legge alla realtà fattuale che intende regolare. Ma se il fulcro della norma si dimostra fuori asse, tutta la disciplina prevista allora perde senso e la norma finisce per restare lettera morta.

Come si è arrivati a questa situazione?
Di fronte la inappropriatezza della auto-assicurazione, come è successo che essa sia diventata una pratica tanto diffusa? La difficoltà di quotazione del rischio sanitario e l’elevato costo delle polizze med-mal hanno portato le regioni ad ovviare alla mancanza totale o parziale di copertura assicurativa con una scelta organizzativa interna alle aziende sanitarie.

Secondo una vulgata piuttosto diffusa, in ambienti della politica e dei vertici amministrativi, l’auto-ritenzione della med-mal sembra sia meglio adatta dell’assicurazione a risolvere le potenziali vertenze tra pazienti e servizio sanitario. La gestione e liquidazione interna del sinistro med-mal appare più tempestiva e si ritiene permetta un immediato risparmio di spesa regionale. Inoltre i medici si sentono complessivamente più tranquilli, maggiormente fiduciosi in un assessment interno dell’evento avverso, reso in tempo reale e, nella loro percezione, a più alto tasso tecnico-specialistico.
Per contenere, quindi, la spesa sanitaria, si ritiene di non ricorrere all’assicurazione. O, piuttosto, di limitarne notevolmente l’utilizzo.

Ora, per quanto tale linea sia coerente con l’indirizzo di riduzione della spesa pubblica e rispondente ai limiti di offerta assicurativa, ciò tuttavia non legittima di per sé la completa “autogestione del rischio”.

La normativa attribuisce infatti alle misure alternative (“analoghe”) alle polizze un ruolo di strumenti possibilmente complementari per la protezione degli interessi dei pazienti e dei sanitari dipendenti.

Le misure alternative – complementari o, in astratto, sostitutive delle coperture assicurative –  si dimostrano comunque fonte di problematicità. I vertici delle aziende sanitarie vengono ad essere destinatari, con loro responsabilizzazione personale, del potere/dovere di realizzare un assetto organizzativo congruo, tale da consentire una garanzia sui sinistri med-mal, analoga a quella provvista dalla copertura assicurativa.

In relazione a quest’ultima ed alla sua disciplina, si dovranno poi ricavare i parametri di giudizio della correttezza, efficienza ed efficacia delle scelte in pratica attuate. Vediamo con quali implicazioni.

Il dato di base: l’obbligo delle aziende sanitarie di assicurare i propri dirigenti  
Gli obblighi di trattamento dei dirigenti medici da parte delle aziende sanitarie sono previsti dalle norme sul pubblico impiego, che rinviano agli accordi collettivi per le disposizioni di maggior dettaglio.

Il contratto collettivo (C.C.N.L. 1998-2001 - area dirigenza medica) ed i successivi rinnovi dispone all’art.24 che l’azienda sanitaria mantiene un’adeguata copertura assicurativa della responsabilità civile di tutti i dirigenti dell’area, comprese le spese di giudizio. Inoltre l’art. 17, c. 5, del contratto integrativo dell’area medica datato 6 maggio 2010, aggiunge che le Aziende assicurano una uniforme applicazione della disciplina contrattuale vigente in materia di copertura assicurativa della responsabilità civile, anche in coerenza con le risultanze della Commissione paritetica per la copertura assicurativa ex art. 18 del CCNL dell’ottobre 2008.

Tra l’altro l’obbligo delle aziende di garantire ai dipendenti una copertura assicurativa per responsabilità civile professionale sta a riequilibrare la situazione del medico dipendente, rispetto a quella degli omologhi pubblici funzionari. Il primo è infatti chiamato a rispondere già per “contatto sociale” ed è perciò discriminato rispetto ai secondi, censurati solo per colpa grave e dolo. E così tale garanzia assicurativa tutela la posizione del medico dipendente.
Tanto quanto quella del paziente, vista in maniera speculare. Non si dimentichi infatti che la legge 148 del 2011, nel disporre l’assicurazione obbligatoria del professionista, impone di renderla nota al cliente (paziente) a sua tutela, perché stipulata nel suo interesse, oltre che della posizione del sanitario. La scelta di misure alternative (“analoghe”) all’assicurazione, che soddisfino tale duplice requisito, incombe al capo-azienda sanitaria, ossia il direttore generale, cui spetta la valutazione della loro corrispondenza e maggiore opportunità/convenienza rispetto alle polizze.
 
La responsabilità dei vertici aziendali nella adozione di garanzie idonee, che siano polizze o misure “analoghe”
Ai vertici delle aziende sanitarie, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, spetta di valutare il rischio med-mal della struttura e coprirlo in maniera ottimale.

Certo, la loro possibilità di trasferirlo alle compagnie assicurative, attraverso le polizze, non va vista in astratto. Essa dipende da quanto il mercato assuntivo sia effettivamente in grado di assorbire questo rischio, prezzandolo con ragionevolezza. Negli ultimi anni, per il vero, questa capacità si è rivelata piuttosto limitata, dato il numero ridottissimo di compagnie disponibili e la contenuta estensione di garanzia da loro concessa.

Tuttavia i direttori generali sono alla fine i capi-azienda dell’ente sanitario e, come tali, titolari del diritto/dovere di effettuare la valutazione sul dimensionamento del rischio med-mal e della sua gestione. Con riguardo alla soluzione di amministrarlo in-house o ricorrere alle polizze, è opportuno che essi diano evidenza - nei loro atti - dei passaggi istruttori compiuti. Per evitare di incorrere in contestazioni di responsabilità circa presunte inefficienze gestionali nella copertura del rischio professionale medico, causa impreviste uscite per risarcimenti non accantonati. 

Quand’anche la regione fornisca indicazioni circa la copertura del rischio - dall’auto-ritenzione, fino magari alla stipula di convenzione-quadro assicurativa per tutte le aziende sanitarie attive sul territorio - l’autonomia gestionale dei vertici aziendali non viene intaccata, in virtù del principio di separazione delle scelte amministrative da quelle politiche. I vertici aziendali rimangono pertanto responsabili per quanto concerne la definizione dei presidi organizzativi di misurazione, prevenzione e gestione dei rischi, la cui idoneità deve essere sempre valutata rispetto a ciascuna azienda sanitaria (art. 3-bis della “Balduzzi”).
 
Il criterio della analogia tra assicurazione e auto-assicurazione
Chiariti i termini dell’obbligo assicurativo e dei soggetti cui incombe la sua osservanza, si può riscontrare l’effettiva “analogia” delle misure alternative, rispetto alle polizze med-mal.

I parametri di tale giudizio vanno evidentemente ricercati nella reale equivalenza delle prime, al confronto con le garanzie offerte dal sistema assicurativo.  Tale parallelo viene anche ribadito nella direttiva europea sulle cure transfrontaliere, oltre che dalla Balduzzi.

In effetti, oltre l’art 3, comma 1-bis della Balduzzi, anche l’art. 4, par. 2, lett. d, dir. 2011/24/Ue, pone sullo stesso piano la protezione offerta dalle polizze e quella attesa dalle analoghe misure per la responsabilità civile.

Le disposizioni applicabili individuano pertanto nell’organizzazione assicurativa, che è notoriamente soggetta ad una stringente disciplina europea e nazionale, i parametri di confronto ai fini della verifica della sussistenza di omogeneità “funzionale”. Criteri empirici a tal proposito si possono individuare:

- nelle prudenti valutazioni imposte per le riserve dei sinistri all’industria assicurativa,

- nella separazione patrimoniale tra le sorti economiche dell’impresa e le riserve destinate alla liquidazione sinistri, disposte dal codice delle assicurazioni.

Normalmente nell’attività assicurativa, che per sua natura è terza rispetto ai rischi assunti in garanzia, la parte più delicata è quella tecnica dello stanziamento delle riserve, o riservazione. Infatti ad essa rivolge le maggiori attenzioni la normativa di settore, prevista nel codice delle assicurazioni e nei regolamenti dell’autorità di vigilanza, nonché quella di fonte europea (Solvency II). Lo stanziamento da destinare alle liquidazioni dei sinistri, sulla base della stima della loro probabilità nell’an e nel quantum risarcitorio, impegna severamente l’impresa assicurativa.

Una volta accantonate le somme per i sinistri, poi è necessaria la loro inattaccabilità da altri creditori che avanzano pretese a diverso titolo nei confronti della amministrazione. Questa compartimentazione permette di non vanificare nel tempo le riserve, nel loro ammontare tecnicamente e prudenzialmente determinato. Questo paradigma tecnico, connaturato al sistema assicurativo, purtroppo non si riscontra negli accantonamenti a bilancio delle somme per i sinistri delle aziende sanitarie. Vediamo perché.
 
Le differenze effettive nell’auto-assicurazione, rispetto all’assicurazione
 
a. Preliminarmente non si riscontra la segregazione delle riserve costituite per i sinistri, rispetto alle altre pretese di creditori differenti, a diverso titolo, sulle somme stanziate.

Innanzi tutto né aziende sanitarie, né regioni sono in condizione di garantire autonomia patrimoniale delle somme stanziate per i risarcimenti futuri dei sinistri med-mal. Queste non possono beneficiare dell’impignorabilità prevista dall’art. 1, 5° comma, d.lgs. 18 giugno 1993, n. 9. Siffatta disposizione, infatti, sottrae all’azione esecutiva dei terzi creditori solo quelle somme destinate agli stipendi del personale, oppure al pagamento di altre spese necessarie ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari. Queste ultime, a condizione che vengano previste da apposita delibera trimestrale dei direttori generali delle aziende sanitarie, disponente anche l’ordine di pagamento, il cui rispetto è necessario al godimento dello speciale regime.
Dunque, quand’anche lo stanziamento per il rischio professionale nell’azienda sanitaria sia corretto, esso non è patrimonialmente separato dalle altre poste di bilancio e non offre le medesime garanzie agli interessi dei pazienti – che sono medesimo oggetto di tutela – rispetto alle riserve relative alle polizze assicurative.

b. Il limite più connaturato all’auto-assicurazione è l’approssimativo stanziamento di riserve nel bilancio dell’azienda sanitaria.
A differenza della compagnia assicuratrice che - terza rispetto all’amministrazione - ha definito il premio tecnico sulla base della comunione allargata di più rischi omogenei che viene ad assumere, l’azienda sanitaria, per quanto risulta, non adotta né applica criteri di misurazione del fabbisogno necessario per il pagamento di tutti i costi del sinistro oggetto di contenzioso, né verifica la sufficienza negli accantonamenti nel tempo.

Al fine della determinazione quantitativa della riserva, il codice delle assicurazioni precisa che la entità della riserva deve comprendere «l'ammontare complessivo delle somme che, da una prudente valutazione effettuata in base ad elementi obiettivi, risultino necessarie per far fronte al pagamento dei sinistri avvenuti nell'esercizio stesso o in quelli precedenti e non ancora pagati, nonché alle relative spese di liquidazione»
Se non si osservano queste accortezze, si rinvia ai bilanci futuri un peso di fatto incognito. Sia per il quantum che per l’an.

b.1. Sul quantum debitorio (severity) 
Nella prassi della azienda sanitaria si dà il caso di appostamenti contabili non univoci circa le stime dei risarcimenti previsti in bilancio. L’autoassicurazione dei rischi comporta il periodico accantonamento di una quota ritenuta idonea in un apposito fondo rischi.

Come è noto il d.lgs. 118 del 2011 ha modificato il sistema di contabilità della spesa pubblica regionale, ed in particolare quella sanitaria, introducendo principi di imputazione della spesa su basi di contabilità finanziario-patrimoniale. Le uscite vanno dunque contabilizzate non più per cassa, bensì per anno di competenza. Infatti i bilanci sanitari e regionali vanno certificati da revisione delle stime contabili, come per le altre aziende pubbliche.

L’articolo 28 del d.lgs.118/2011, rinviando per la disciplina agli art.2423-2428 del codice civile, comporta l’applicazione delle disposizioni previste nell’art. 2424 cod. civ., secondo il quale nel passivo del bilancio devono essere riportati i debiti con separata indicazione degli importi esigibili oltre l’esercizio. L’art. 2424-bis dispone inoltre che gli accantonamenti per rischi ed oneri vanno a coprire perdite di esistenza certa o probabile, ma indeterminati nell’ammontare, oppure nella data di sopravvenienza, alla data di chiusura dell’esercizio di bilancio.     

L’entità degli accantonamenti nel fondo rischi è dimensionata sulla base della più ragionevole stima dei costi alla data di bilancio, includendo oltre al valore del risarcimento, anche le spese accessorie legali e peritali, determinabili in modo non aleatorio, né arbitrario.

In breve, il margine di apprezzamento per la direzione dell’azienda sanitaria è piuttosto elevato e tale da consentire “manovre di bilancio” sugli stanziamenti per i rischi sanitari, visto che nella media questa voce incide per il 3-5% del totale complessivo della spesa annua. In altre parole, stanziamenti prudenti sui fondi rischi, anche tendenti alla reticenza, premiano il management ospedaliero in carica. Ma penalizzano quelli successivi, ovviamente ignari ed incolpevoli. La chiusura ritardata della controversia, in esito al consueto svolgimento di tutti gli accertamenti, comporta di norma il disallineamento tra la gestione sanitaria che accantona e quella che alla fine liquida la richiesta risarcitoria. 
 
b.2. Sull’an debitorio (occurrence)
 
Non c’è adeguato calcolo probabilistico dello stanziamento per perdite derivanti dall’evento avverso verificatosi.  Alla luce delle odierne tecniche di previsione attuariale, usate nella riservazione, il sistema un po’ elementare di valutazione probabilistica dei pagamenti ritardati, per le richieste già presentate, e dell’entità del loro risarcimento, appare palesemente inidoneo con la suddivisione in tre categorie di Probabili, di Possibili e di Remoti in relazione al grado di realizzazione del pagamento con le relative aliquote di futuro indennizzo (dal 90 al 10%).

Soprattutto rapportato ad ordini di grandezza di rischio che sono i più cospicui nel sistema med-mal.

Le entità in gioco e la complessità degli apprezzamenti richiedono al contrario specifiche competenze attuariali, che non risultano invece essere sempre rappresentate nei comitati di valutazione sinistri delle aziende sanitarie. A ciò si aggiunga la attuale inadeguata stima delle ritardate denunce IBNR (Incurred But Not Reported), almeno in parte motivata dal fatto che solo una attenta analisi delle serie storiche (che qui non è ancora fattibile, data l’esiguità temporale della serie stessa) permetterebbe di arrivare a delle stime attendibili con i relativi intervalli probabilistici di confidenza: andrebbero comunque esplicitati i criteri di quantificazione economica e le modalità della loro messa a riserva.  
 
c. L’auto-ritenzione si presta a pressioni della politica.
L’auto-assicurazione, non prevedendo la terzietà dell’assicuratore, può esporre l’amministrazione sanitaria a trattamenti non neutrali, rispetto a richieste risarcitorie che potrebbero essere appoggiate da pressioni clientelari della politica. La gestione in-house del sinistro può offrire il fianco ad indebite sollecitazioni degli ambienti politici, che esercitano influenza sui vertici sanitari, per trattare con indulgenza taluni sinistri concernenti soggetti segnalati. Certamente le compagnie assicurative, pur non esenti da altri difetti, sono immuni da tali evenienze.

Il giudizio che se ne trae
Re-internalizzare il rischio med-mal nella azienda sanitaria – attraverso la c.d. auto-assicurazione - non è affatto un rimedio risolutivo, rispetto alla mancanza di polizze assicurative a condizioni accessibili.

Intanto la ritenzione del rischio non è misura analoga all’assicurazione, perché non offre le stesse garanzie di questa a sanitari e pazienti. Per come funziona e per l’utilizzo inadatto cui si presta. 

Inoltre l’autogestione, in qualche misura, lungi dall’essere la soluzione, viene ad essere parte del problema. Perché contribuisce a non dischiudere compiutamente la reale dimensione economica del rischio, per severity ed occurrence. Ossia, per magnitudine e probabilità. E questo “effetto velo” è un disincentivo ulteriore per il mondo assicurativo a sottoscrivere il rischio.

Tutto ciò, naturalmente, non si svolge sul mero piano delle scelte politiche, ma ha concrete ricadute sulla responsabilità gestionale dei vertici delle aziende sanitarie. Quale strada va invece correttamente percorsa per garantire il rischio?   

- Contenimento reale dei rischi e dei sinistri, con robusto intervento di risk management, previsto nel ddl Gelli;
- Riduzione significativa degli importi risarcitori (tabelle previste art. 138 e 139 codice assicurazioni, vedi ddl concorrenza, pure in dirittura);
- Rigore nell’esporre correttamente i sinistri e stanziare i rispettivi valori risarcitori;
Sforzo corale per riavviare un mercato assicurativo con pluralità di compagnie reputate, attivando polizze con franchigie contenute (ragionevolmente un decimo di quelle attualmente praticate), in modo da lasciare scoperti giusto i sinistri ripetibili.

La commissione sanità del Senato, che si accinge a concludere ora la propria disamina del disegno di legge, conosce ampiamente questi temi. E’ un errore, che non possiamo più permetterci, mettere la polvere sotto il tappeto, ossia dissimulare le spese nei bilanci sanitari e considerare “fondo senza fondo” il bilancio dello Stato. Al contrario la sostenibilità della spesa e sobrietà di bilancio sono la chiave al mantenimento degli entitlements ai beni pubblici, che sono la salute della collettività e la pace sociale.
 
Alberto Tita
Of Counsel
Studio Legale Lexellent, Milano


06 luglio 2016
© Riproduzione riservata

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