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Suicidio assistito. Intervista a Giovanni Leoni (vice presidente Fnomceo): “Non serve un medico per spegnere un interruttore”

di Endrius Salvalaggio

Il vicepresidente della Fnomceo interviene dopo la sentenza della Corte. Per Leoni non c’è un fronte di medici favorevole al suicidio assistito e un fronte contrario: “Il medico dovrà assistere il paziente sino alla fine, anche in caso di suicidio. Ma non serve un medico per spegnere un interruttore di un respiratore artificiale o somministrare una sostanza letale. Il suicidio prevede un atto attivo da parte del paziente che non può essere demandato ad un medico”.

30 SET - “Non serve un medico per spegnere un interruttore di un respiratore artificiale o somministrare una sostanza letale. Il suicidio prevede un atto attivo da parte del paziente che non può essere demandato ad un medico”. Questa la posizione di Giovanni Leoni, medico chirurgo di un ospedale veneziano e vice presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi Fnocmeo, sulla sentenza della Corte Costituzionale  sul caso di “Dj Fabo”.
 
In questa intervista Leoni si dice quindi d’accordo con quanto espresso dal Presidente Fnomceo Filippo Anelli che, pur rispettando la sentenza, chiede di sollevare i medici dal compito finale, affidando l’estremo atto, quello della consegna del farmaco, a un funzionario individuato per questo ruolo.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, i Giudici invitano il Legislatore a provvedere tramite una Legge sul caso del suicidio assistito. Cosa ne pensa?
Il 25 settembre la Corte Costituzionale si è pronunciata sul suicidio assistito ritenendo non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni: chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Le condizioni per mettere in atto questa procedura sono quindi rigorose.
Resta comunque difficile per un medico rassegnarsi all’idea della morte, perché la sua natura lo porta a cercare di curare il malato. Un paziente che manifesta al medico la volontà di morire pone quest’ultimo in una difficile condizione, compito del medico è infatti assistere l’ammalato -  anche ed in particolare in situazioni estreme - nelle sue ultime fasi della vita, combattendo la sofferenza ed il dolore.

Sia nella politica che fra i medici si sono aperti 2 fronti: il fronte dei favorevoli e quello dei contrari. Come vicepresidente dei medici chirurghi italiani da che parte si sente di collocarsi?
L’accompagnamento di un ammalato nella fasi finali della propria esistenza mediante le terapie di fine vita resta un momento altamente drammatico, ma ben altra difficoltà sarebbe quella di essere coinvolti o obbligati come medici ad intraprendere la strada del suicidio assistito. Non ci sono due fronti; bensì uno solo quello del malato ed il medico dovrà assisterlo sino alla fine, anche in caso di suicidio. In questo caso però non servirebbero particolari competenze per spegnere un respiratore automatico o somministrare delle sostanze che causano la morte. Il medico già è profondamente coinvolto nella certificazione di un stato terminale o irreversibile della condizioni cliniche di un individuo, sia per una malattia terminale sia, per esempio, in condizione di morte cerebrale che autorizza le procedure dell’espianto degli organi.

Nel caso di specie, se ci fosse una Legge che obbligasse ad interrompere un sostegno artificiale e quindi, causare una morte ad una persona, confermo che per questo tipo di attività non serve un medico spegnere un interruttore di un respiratore artificiale o somministrare una sostanza letale. Il suicidio prevede un atto attivo da parte del paziente che non può essere demandato ad un medico e sono quindi in accordo con quanto chiaramente espresso dal Presidente FNOMCeO Filippo Anelli.

Se lo Stato dovesse provvedere ad emanare una Legge a favore del suicidio assistito, come Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi FNOMCeO, cosa chiedete?
Come Federazione Nazionale, la quale rappresenta tutti i medici italiani, chiediamo alla politica che prima di intraprendere qualsiasi iniziativa su una Legge sul suicidio assistito, di essere ascoltati, dandoci la possibilità di contribuire a elaborare una procedura che garantisca la volontà del cittadino e rispetti la professione medica.

I malati terminali gravi trovano “accoglienza” per le cure di fine vita negli Hospice. Che differenza c’è fra la sedazione forte ed il suicidio assistito?
Si tratta di due situazioni profondamente diverse e risolte spesso con la tecnica del “doppio effetto”. Il nostro Codice Deontologico prevede la proporzionalità delle cure per ogni singolo caso su base scientifica dimostrata. La morte avviene di norma per causa naturale sulla base dell’evoluzione della malattia, o anche solo per esaurimento degli equilibri biologici interni da cui dipende la condizione di vita di un individuo. Quando ci si trova nello stadio del dolore, della difficoltà respiratoria e della sofferenza continua ed irreversibile per evoluzione della malattia, e si deve aumentare il dosaggio di farmaci, come ad esempio la morfina, al fine di contrastare questo stato di estrema prostrazione, è può intervenire come effetto collaterale la depressione respiratoria che causa la morte del paziente.
Il fine del medico è e resta sempre quello di togliere il dolore in modo efficace, ma purtroppo troppe volte la pace vera la si trova solo con la fine della nostra esistenza terrena. Il suicidio assistito è aiutare una persona a spegnere una macchina che sostiene le sue funzioni vitali o somministrare delle sostanze che causano la morte.
 
Endrius Salvalaggio

30 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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