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Codici deontologici. Declamazioni di principio che spesso lasciano il tempo che trovano

di Roberto Polillo

Nel caso del Codice dei medici, se l’obiettivo fosse rappresentare le istanze del cittadino, a redigere il testo sarebbero chiamati proprio i cittadini. E se è vero che il codice può dare delle indicazioni di comportamento e introdurre a nuovi temi, è anche vero che certi temi sono già largamente presenti nel dibattito pubblico e fatti propri dalla parte più sensibile della categoria

05 GIU - Nella economia di una professione il Codice deontologico è uno degli strumenti fondamentali per affermare la specificità professionale degli esercenti la professione medesima (in riferimento alle riserve di legge di esclusiva competenza che formano il corpus delle attività) e la propria legittimazione nel campo istituzionale. E di converso senza Codice deontologico una professione non può essere considerata tale, apparendo priva di quella “necessità” che ne sancisce l’ utilità sociale attraverso il riconoscimento di un suo un carattere di “unicità”.

In questa visione i contenuti del Codice deontologico appaiono per quello che sono: declamazioni di principio che lasciano spesso il tempo che trovano in quanto gli organi preposti alla loro definizione agiscono “extra lege”, obbedendo a un interesse che non può essere quello generale. Questo ovviamente non significa che quanto normato sia illogico, astruso o lesivo degli altrui diritti, ma certo nessuno si può aspettare che le istanze degli altri soggetti coinvolti (in questo caso del cittadino) vi possano trovare una totale e fedele rappresentazione. Se l’obbiettivo fosse questo, infatti, a redigere il testo sarebbero chiamati proprio coloro che si vuole enfaticamente tutelare.

Da questo punto di vista, dunque, il giudizio su un codice deontologico non può prescindere da quello relativo alla istituzione che lo emana e per la proprietà transitiva non può esistere un codice “buono” se non viene riconosciuta tale l’istituzione ovvero sia l’ordine professionale di cui esso è uno degli strumenti di legittimazione sociale.

L’abilità degli estensori diventa allora quella di fare costantemente riferimento alle norme generali per riaffermare la centralità della figura professione senza cadere nel corporativismo sciatto.

Questo è quello che fa il nuovo codice deontologico specie nella parte dedicata al cittadino chiamato ora, ma non sempre, persona assistita, a cui si riconosce libertà di scelta e a cui si deve “informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura”

Affermazioni entrambe estremamente lacunose e inadeguate alla realtà attuale. La prima realizzabile esclusivamente nell’attività privata in quanto nelle strutture sanitarie per i principi di gerarchia esistenti il responsabile della cura è ancora il direttore di struttura che ha il pieno diritto di avocare a sé la cura senza alcun riguardo delle preferenza del malato. La seconda perché identifica il modello di relazione con il paziente in quello paternalista parsoniano in cui il medico informa e rende edotto il paziente, con il solo obbligo di non spazientirsi.

Un modello arcaico che configge totalmente con quel movimento di medicina centrata sulla persona che identifica nel paziente un partner per la totalità delle questioni che lo riguardano , ivi compresa la co-decisione sulla strategia terapeutica da adottare.

In realtà il codice è soprattutto un corpus di declamazioni privo di efficacia anche in termini giuridici. Esso, infatti, non è una fonte legislativa primaria essendo l’unico principio sovraordinato a cui tutto deve uniformarsi l’articolo 32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Nell’articolo 32 dunque il rispetto della persona umana è talmente preminente da impedire anche l’emanazione di leggi che possano metterne in discussione il principio. E a tale articolo fanno spessissimo riferimento le sentenze della Cassazione tutte le volte che hanno definito regole e principi con caratteristiche deontologiche per le professioni sanitarie, senza mai prendere in considerazione i codici deontologici esistenti, deliberati di onesti ma privati esercenti una specifica professione.

Se poi la formulazione di un articolo è più vicino alle personali aspettative di chi si occupa per attività professionale di professioni sanitarie è una questione diversa che rimanda alle preferenze individuali ma che non modifica la cruda rappresentazione della realtà.

Il codice tuttavia può dare delle indicazioni di comportamento e introdurre nuovi temi ancora troppo lontani dalla pratica professionale. E in tal senso sono da valorizzare l’articolo 5 che impegna il medico al contrasto delle disuguaglianze in salute e l’articolo 79 che lo impegna alla attiva collaborazione con l’organizzazione sanitaria ai fini del miglioramento della qualità assistenziale.
Anche questi però temi largamente presenti nel dibattito pubblico e già fatti propri dalla parte più sensibile della categoria che in questo caso è molto più avanti dei deliberati dei propri organi di rappresentanza

Roberto Polillo

05 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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