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Infermieri. Una professione che noi per primi abbiamo ancora difficoltà a vivere come tale

di Fabio Stanga

Forse dovremmo smettere di sventolare la patente e iniziare a guidare l’auto. In altre parole, dimostrare con il nostro operato quotidiano (e non parliamo solo del fare) che valiamo veramente quell’impalcatura normativa che ci siamo costruiti negli anni e che ci ha sancito a tutti gli effetti quali “professionisti” della salute

17 SET - “L’infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica”. Il nostro Codice Deontologico, già all’articolo 1 sgombera il campo da qualunque fraintendimento in merito all’autonomia professionale e intellettuale dell’infermiere e al suo ambito di responsabilità.
 
Vien da chiedersi allora il perché di tanto fermento intorno a dei principi ormai, parrebbe, consolidati. Come se, dopo aver vista riconosciuta la tanto agognata autonomia professionale, gli infermieri oggi dovessero convincersi di essere veramente professionisti autonomi e responsabili.
 
La nostra professione si è evoluta, questo è un fatto. L’impalcatura formativa, normativa e deontologica che ne delinea le peculiarità è estremamente articolata e poco equivoca. Si tratta di capire se nell’ultimo ventennio, mentre cambiavano le regole del gioco (in meglio, diciamo noi), contestualmente cambiava anche l’approccio dei giocatori. In altri termini vale la pena chiedersi se insieme all’evoluzione della professione si sia assistito anche all’evoluzione dei professionisti che la rappresentano nella quotidianità.
 
L’impressione è che, se da un lato l’infermiere ha sempre dimostrato, nei fatti, il suo ruolo determinante nel sistema sanitario, la sua capacità di portare un servizio qualitativo all’utente, dall’altro non sia ancora del tutto pronto a dichiarare e, se serve, difendere, lo status professionale raggiunto. Essere consapevoli di chi siamo veramente nel panorama sanitario, significa prendere coscienza della centralità di due concetti chiave della nostra professione: Autonomia e Responsabilità. Su questo punto assistiamo ad una battuta di arresto.
 
Quanti di noi, quotidianamente, si sono trovati a commentare e criticare insieme ai colleghi l’operato di altri professionisti? Lungi da me esprimere critiche o giudizi; mi interessa piuttosto descrivere un atteggiamento che sappiamo bene essere tanto comune quanto, probabilmente, inevitabile all’interno di un gruppo interprofessionale. Un onesta autocritica non può non evidenziare come, a fronte di questa facilità nell’esprimere critiche “ufficiose” (sia pure spesso fondate), non si riscontri altrettanta solerzia nell’esporsi in modo ufficiale nella presa di decisioni cliniche, aspetto, quest’ultimo, che dovrebbe invece caratterizzare un professionista autonomo e responsabile. Qual è (se c’è) il salto di qualità che noi professionisti dobbiamo forse ancora trovare il coraggio di fare? Se gli strumenti utili ad ufficializzare l’infermiere come professionista intellettuale autonomo ci sono, sono reali, cosa manca? Perché oggi ancora è necessario scrivere articoli o organizzare convegni aventi come oggetto l’autonomia? Convegni che entrano nel circuito della formazione continua, come a dire: oggi vi insegniamo che siete professionisti responsabili e autonomi. Si può insegnare l’autonomia? O rappresenta piuttosto un cambiamento culturale che deve trovare le proprie fondamenta nella dimostrazione quotidiana che questa autonomia c’è ed è reale, che l’infermiere è un professionista in grado di assumersi le proprie responsabilità?
 
Questo è ciò su cui vorrei cercare di riflettere, analizzando alcuni passaggi che a mio parere hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora il nostro essere infermieri.
 
Oggi l’infermiere è un professionista che acquisisce la possibilità di esercitare a seguito di un percorso accademico abilitante all’esercizio della professione, analogamente ad altri professionisti laureati. Può praticare subordinatamente all’iscrizione ad un albo, analogamente ad altri professionisti. Eppure nell’immaginario collettivo, anche degli infermieri, quando parliamo di professioni che nel gergo sono considerate tradizionalmente “professioni nobili”, la mente corre ai soliti noti: Medici, Avvocati, Architetti, Ingegneri… Dimenticandosi di quella “minoranza” di oltre 400.000 professionisti infermieri.
 
Parliamo di una figura che ha elaborato un codice deontologico tra i più belli (e invidiati), che ne delinea nel dettaglio le peculiarità, descrivendo senza equivoci il livello di professionalità, competenza e abilità che un infermiere deve possedere. Non bastasse questo, abbiamo scelto di elaborare un secondo strumento che ci rende unici nel nostro approccio all’altro: il patto infermiere – cittadino. Troppo spesso confusi con espressioni eccessivamente teoriche di un’ostentata opera pia, questi strumenti, se letti con la giusta attenzione, non possono che essere considerati come l’esposizione dettagliata di ciò che contraddistingue non tanto un uomo di buon cuore, quanto un professionista capace, competente, responsabile. Il patto infermiere-cittadino rende evidente, in una forma “alla portata di tutti”, quell’assunzione di responsabilità già dettagliatamente esposta nel codice deontologico. Lo fa esordendo con un’espressione chiara: “Io infermiere, mi impegno nei tuoi confronti a: […]”. La scelta dei termini non è certo casuale: mi impegno non inteso come massimo sforzo (vincolo che rimane intrinseco nella nostra deontologia), quanto come il “prendersi un impegno”. In questo senso è evidente l’assunzione di responsabilità che l’infermiere non solo accetta, ma garantisce. E’ stato denominato “patto”; un patto è una cosa a cui non si può venir meno. Questo è un patto che ciascuno di noi ha sottoscritto, a anche questo è un fatto, un dato incontestabile. Al momento della nostra scelta professionale, accettiamo di essere una figura con delle caratteristiche precise, delle responsabilità inderogabili che non possono essere accettate o meno a discrezione del singolo: sono parte del pacchetto, questo è l’infermiere.
 
L’ultimo ventennio ha visto la professione infermieristica essere investita da profondi mutamenti, modificarsi da professione ausiliaria (bassa discrezionalità) a professione intellettuale autonoma: dal Regio decreto del 1925, alla Legge 43 del 2006, passando per l’abolizione del mansionario e l’istituzione della Laurea Magistrale. Questo in un lasso di tempo tutto sommato ristretto; se cambiare una norma è in una certa misura relativamente semplice, modificare consuetudini, mentalità, cultura, è senza dubbio un processo di gran lunga più complesso. Ecco quindi che oggi lavorano insieme infermieri neolaureati e infermieri con trent’anni di onorata carriera: la scelta professionale che li accomuna spesso però li divide, perché compiuta in un contesto sensibilmente diverso. Il risultato è che oggi, quasi all’unanimità reclamiamo che ci vengano riconosciuti (da entità non meglio definite: medici? Società? Dirigenza?) autonomia e prestigio professionale, spesso senza renderci conto che è già successo. Come detto, il nostro status professionale è ben definito dagli strumenti (in primis quelli giuridici) deputati all’ufficializzazione di determinati cambiamenti che interessino la collettività. Parrebbe che la giovane generazione degli infermieri laureati insegua qualcosa di già ottenuto, contestualmente ad una generazione di infermieri professionali che non riconosce un traguardo raggiunto, con l’inevitabile risultato di non tradurre nei fatti qualcosa che nella teoria è sancito da tempo. Siamo così concentrati nel cercare qualcuno a cui dare la colpa del nostro presunto scarso riconoscimento, da non renderci conto che l’unico vero accelerante nel processo di emancipazione infermieristica è proprio l’infermiere.
 
Mi si permetta una provocazione: forse dovremmo smettere di sventolare la patente e iniziare a guidare l’auto. In altre parole, dimostrare con il nostro operato quotidiano (e non parliamo solo del fare) che valiamo veramente quell’impalcatura normativa che ci siamo costruiti negli anni. L’esercizio della nostra professione spazia dall’assistenza diretta al management, dal coordinamento alla consulenza, dalla didattica alla ricerca: questo rende la nostra una professione prestigiosa, invidiabile, appetibile. Se quando un giovane studente inizia il suo tirocinio in un reparto di degenza incontra un infermiere che investe sulla sua formazione, che gli mostra cosa significa assumersi la responsabilità del proprio operato, che manifesta il desiderio di essere aggiornato, competente e capace, probabilmente avremo, in futuro, un nuovo collega orgoglioso del proprio ruolo e consapevole del proprio spazio nel processo di cura e assistenza.
 
Allora forse il salto di qualità sta proprio nella necessaria presa di coscienza che noi siamo, realmente, nella pratica di ogni giorno, i responsabili dell’assistenza infermieristica, che si esprime nella moltitudine di forme citate sopra. La responsabilità è un concetto che va vissuto in chiave assolutamente positiva; responsabilità non come onere ma come onore. Poiché siamo professionisti maturi, formati, competenti, possiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni, ma soprattutto delle nostre decisioni.  Noi rivestiamo una posizione di garanzia nei confronti dei nostri assistiti; prendere consapevolezza di ciò, significa vivere appieno e inevitabilmente l’essere un professionista autonomo: se io garantisco per qualcuno, allora non possono essere altri a prendere decisioni che riguardino il mio ambito di competenza e responsabilità. Diversamente stiamo venendo meno a quell’impegno deontologico che ci siamo assunti al momento della nostra scelta professionale.
 
E’ chiaro che essere convinti di rivestire questo ruolo e credere profondamente nell’evoluzione che ha investito la professione infermieristica, non è sufficiente. Il cambiamento va dimostrato: se vogliamo che gli utenti, gli altri professionisti, ci riconoscano per quello che siamo veramente, è necessario che il nostro atteggiamento professionale sia coerente con quanto dichiariamo. Dimostrare di essere autonomi, significa saper prendere decisioni: per farlo è necessario averne le competenze. Vivere l’aggiornamento come un obbligo, con l’unico obiettivo di totalizzare i 50 crediti imposti dalla normativa attraverso eventi formativi non sempre calzanti sulla propria esperienza professionale, non è certo un tratto distintivo di un professionista. Lo è piuttosto riconoscere nella formazione uno strumento necessario per continuare ad erogare performance adeguate. Il professionista responsabile non può essere quello che risponde alla regola del “si è sempre fatto così”, ma quello che, secondo i principi di perizia, diligenza e prudenza, ricerca costantemente la “best practice”, perseguendo il nursing basato sulle evidenze. Il professionista che sa mutare il proprio approccio in virtù del bene dell’assistito, riconoscendo, senza rinnegare il passato, che alcune consuetudini talvolta vanno modificate.
 
Dopotutto,  Ludwig Hatschek, quando inventò l’Eternit, la ritenne una grande conquista…La disponibilità di letteratura scientifica e la facilità di reperirla, oggi è tale da rendere inaccettabile la carenza di aggiornamento.
 
Nutro l’intima convinzione che l’infermiere sia un professionista di elevato profilo, una figura di prestigio, in grado di esprimere professionalità e competenza. E’ necessario però che, perché questo venga riconosciuto anche dalla comunità scientifica e dalla società, gli infermieri prima di altri, riconoscano l’importanza di garantire un contesto culturale e un approccio professionale adeguato. Un giovane che inizia il percorso universitario deve avvertire con forza la consapevolezza, da parte del gruppo professionale che sta per accoglierlo, di fare una scelta che nulla ha da invidiare ai percorsi accademici affrontati dai suoi coetanei, perché al pari dell’ingegnere, dell’architetto e del medico, al termine avrà capacità e competenze, ma anche autonomia e responsabilità.
 
Dott. Fabio Stanga
Infermiere libero professionista
Specialista in infermieristica legale e forense
 
Bibliografia
· Codice Deontologico dell'infermiere 2009;
· D.L. 739/94;
· Legge 42/99;
· Legge 251/2000;
· Legge 43/2006;
· Silvestro A. (a cura di) "Commentario al codice deontologico dell'infermiere 2009" - Mc Graw Hill 2009;
· Fry S.T., Johnstone M.J. "Etica per la pratica infermieristica" - Casa EditriceAmbrosiana 2004;
· AA.VV. Atti del Convegno "L’autonomia infermieristica: un sogno? No, la realtà!" - 2013

17 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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