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Ddl Lorenzin. Boldrini (Simfer): “Su osteopati e chiropratici, prima del ‘chi’ pensiamo al ‘cosa’”

di Paolo Boldrini

Non è accettabile istituire nuove professioni sanitarie prescindendo dai requisiti previsti dalle normative esistenti. Esse infatti prevedono tale possibilità in recepimento di direttive comunitarie, o in relazione ad obiettivi di salute che non possano essere soddisfatti dalle professionalità esistenti. E’ inoltre necessario un preventivo percorso istituzionale. Il percorso previsto dal ddl appare prescindere completamente tutto da questo.

14 MAG - Il DDL 1324 di “riordino delle professioni sanitarie” rischia di smentire il suo stesso titolo, introducendo elementi di confusione in un settore particolarmente delicato in cui sono in gioco la salute dei cittadini e la tenuta dei servizi sanitari.
 
Ci riferiamo ai due articoli del testo approvato dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato, relativi alla istituzione delle professioni di osteopata e chiropratico nell’ambito delle professioni sanitarie. Sul questo tema sono già state espresse molte posizioni critiche, prevalentemente in ordine ai rischi di sovrapposizione di tali figure a quelle di altri profili professionali, ed al percorso del tutto anomalo con cui ne verrebbero definiti gli ambiti di competenze ed i curricula formativi.
 
La Società Italiana di Medicina Riabilitativa (SIMFER) che riunisce i laureati in Medicina e Chirurgia che in Italia svolgono la loro attività nell’ambito della Medicina Riabilitativa, ed in particolare i medici specialisti Fisiatri, ritiene in realtà che la questione fondamentale sia di sostanza: se cioè le pratiche che rientrano nella definizione di “osteopatiche” o “chiropratiche” siano scientificamente fondate per potersi configurare come ambiti disciplinari autonomi, tali da poter esercitare in modo corretto, sicuro ed appropriato funzioni che riguardano la salute dei cittadini.
 
Su questo punto, la SIMFER ritiene di dover esprimere una posizione fortemente critica, che viene illustrata in un documento approvato recentemente ed inviato a tutti i competenti organismi istituzionali e professionali.

In tale documento si ricorda che tali pratiche sono state riconosciute dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) come rientranti nell’ambito delle “medicine e pratiche non convenzionali”, da ascriversi alla responsabilità del medico chirurgo.
La SIMFER ritiene che l’insieme dei presupposti teorici e delle modalità tecniche che rientrano nell’ambito delle pratiche definite come “osteopatiche” e “chiropratiche” non siano adeguate né sufficienti per poterle considerare come ambiti disciplinari autonomi.

Sul piano dei presupposti teorici, infatti, si rileva che tali pratiche si sono sviluppate in modo empirico, in base all’applicazione di tecniche manuali prive di un definito ed esplicito modello teorico. In seguito si è cercato di definire paradigmi di riferimento in cui far rientrare del tutto od in parte tali eterogenee tecniche. Tali paradigmi peraltro fanno riferimento a concetti e teorie che non trovano riscontro nel corpus di conoscenze accreditato dalla comunità scientifica, sia nell’ambito delle discipline biologiche che delle scienze umane e del comportamento, né tantomeno dalla medicina clinica ufficiale.

A questa debolezza di impianto teorico consegue l’arbitrarietà delle metodiche valutative e “diagnostiche” con cui l’osteopatia e la chiropratica pretendono di individuare gli aspetti che possono essere oggetto di trattamento. Tali aspetti sono spesso descritti con termini scarsamente o per nulla definibili in termini operativi precisi. Si parla ad esempio “squilibri” o “disturbi” che possono comportare ripercussioni negative su vari organi ed apparati. Il nesso causale fra tali fattori e la presunta anomalia fa riferimento a meccanismi estranei ai modelli fisiopatologici propri del modello biomedico, ma anche a modelli di tipo biopsicosociale che vengono adottati in molti settori della Medicina Clinica (compresa la Medicina Fisica e Riabilitativa).

In questa situazione, le pretese “diagnostiche” delle pratiche osteopatiche e chiropratiche appaiono destituite di ogni fondamento. Si ritiene inammissibile, e potenzialmente pericoloso, proporre criteri, modelli e classificazioni definiti come “diagnostici”, che appaiono del tutto estranei ed alternativi ai principi della medicina clinica.

Per quanto riguarda gli interventi ed i trattamenti cui l’osteopatia e la chiropratica attribuiscono valenza terapeutica, va rilevato che si tratta per lo più di pratiche basate sull’applicazione di metodiche manuali, che in poco o nulla differiscono, sul piano del meccanismo d’azione, da metodiche che rientrano nell’armamentario terapeutico della Medicina Clinica, ed in particolare della Medicina Fisica e Riabilitativa. Si tratta, per l’appunto, di “pratiche”, che non possono giustificare una configurazione disciplinare autonoma, ma che rientrano nel novero degli interventi “fisici”, basati sull’applicazione di energia meccanica dall’esterno del corpo. Essi possono essere eventualmente impiegati solo in riferimento ad una diagnosi e prognosi precisate in termini clinici, ed in eventuale associazione ad altri interventi terapeutici, educativi ed informativi. Vanno quindi eventualmente inseriti in un corpus di conoscenze e competenze ben più ampio di quello delineato dalle due pratiche in questione, in modo da garantire una reale “presa in carico” unitaria dei problemi di salute della persona.

Altro elemento di forte criticità è la scarsità di studi sviluppati con sufficiente rigore scientifico in merito agli effetti di tali pratiche. Non è corretto addurre a giustificazione di tale carenza la pretesa “alterità” dell’osteopatia e chiropratica rispetto ai paradigmi della ricerca scientifica, e quindi la loro inaccessibilità all’indagine scientifica; un approccio può essere “alternativo” ma nondimeno essere perfettamente indagabile con metodo “scientifico.
 
In relazione alle conseguenze sull’organizzazione ed erogazione dei servizi, si ritiene che, per le ragioni esposte più sopra, l’introduzione di tali figure nell’ambito delle professioni sanitarie porterebbe ad una estrema difficoltà nella definizione di ambiti di competenza e nella integrazione con le altre professionalità.

Questo non si verificherebbe solo nell’ambito dell’assistenza riabilitativa, ma verosimilmente in molti altri ambiti assistenziali, data la pretesa capacità di affrontare con l’approccio osteopatico o chiropratico una grande varietà di condizioni patologiche, ad esempio relative a patologie viscerali.
Per quanto riguarda l’area specifica dell’assistenza riabilitativa, si ritiene che il panorama delle professionalità esistenti sia ampiamente sufficiente a rispondere con adeguata competenza ai bisogni di salute dei cittadini, e soprattutto a garantire interventi di validità riconosciuta, condivisa e documentabile.

Il fatto che molti cittadini si rivolgano di propria iniziativa a pratiche alternative non è certamente una garanzia della loro efficacia o innocuità, né tantomeno del fatto che possano essere considerate attività sanitarie. Senza una verifica condotta con metodi scientifici dei risultati ottenuti, è evidente che il semplice numero dei fruitori di un determinato servizio non riveste alcun significato sul piano della sua accreditabilità.
 
In relazione al metodo con cui si propone di istituire tali professioni e di inserirle nel contesto dell’organizzazione sanitaria, si ritiene non accettabile il fatto di istituire nuove professioni sanitarie prescindendo completamente dai requisiti previsti dalle normative esistenti.
Esse infatti prevedono tale possibilità in recepimento di direttive comunitarie, o in relazione ad obiettivi di salute precedentemente dichiarati, che non possano essere soddisfatti dalle professionalità esistenti. E’ inoltre necessario un preventivo percorso istituzionale che prevede l’intervento della Conferenza Stato-Regioni per gli aspetti di definizione del ruolo professionale nonché la valutazione di altri molteplici organismi istituzionali, in merito ai contenuti culturali, scientifici e alle ricadute organizzative.

Il percorso previsto in base al DDL citato appare prescindere completamente da questo percorso, definendo, con una curiosa inversione di rotta, prima l’istituzione delle professioni e solo successivamente i requisiti professionali ed i contenuti del curriculum formativo.
 
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, la SIMFER propone che non sia dato alcun seguito alla proposta di istituzione delle professioni sanitarie di osteopata e chiropratico così come prevista dal citato DDL 1324.
 
Dott. Paolo Boldrini
Presidente SIMFER
 

14 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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