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Transessuali in ospedale. E quei diritti quasi sempre elusi

di Manlio Converti

24 FEB - Gentile direttore,
Claudia è un prostituta transessuale, nata in quartiere povero, ha altri nipoti e cugini transessuali ed omosessuali, alcuni dei quali si prostituiscono dall’adolescenza, come lei, senza che nessuno abbia compassione di loro nelle scuole, dove sono state cacciate, né nel quartiere, dove nessuno offre loro un lavoro, comunque già scarsamente disponibile da sempre a Napoli.

Claudia è stata ferita quasi a rischio di essere uccisa, in piena notte davanti ad altri passanti che l’hanno ignorata, e si è salvata solo perché ha trovato il coraggio di urlare e di difendersi a mani nude, spaventando l’aggressore, quelle mani che forse per i tagli non potrà più usare in futuro.
Claudia si è trascinata con ferite evidenti e copiose perdite di sangue per un paio di chilometri fino a casa sua, senza che nessuno l’aiutasse. Solo sotto casa un vicino compassionevole ed una studentessa Erasmus spagnola si sono resi conto che era un essere umano e le hanno salvato la vita.

Claudia è così arrivata dopo un necessario primo soccorso in ospedale, dove ha subito un’ulteriore e più sottile violenza. Lei, come persona, ha smesso di esistere, proprio come succede per strada tutti i giorni, e nonostante l’evidenza è stata messa in un reparto tutto maschile, a causa dei documenti, che avevano evidentemente più diritto di lei, anche in un ambiente ospedaliero.

Le persone transessuali (anche quelle che nascono donne e poi cercano di diventare maschi) non vanno mai in ospedale, se non per le operazioni di transizione, che sono praticate forse solo dal 20% di loro, mentre usano a caro prezzo il circuito privato per le necessarie operazioni estetiche, mentre per gli ormoni tendono a farne abuso per auto-terapia.
Le persone transessuali hanno ovviamente malattie acute e croniche, come tutti, forse acuite dalla condizione di marginalità, in alcuni casi dalla prostituzione, in altri dalla povertà, e, in chi ne abusa, dagli effetti collaterali degli ormoni. Eppure solo in pochi e poche usano praticamente il Ssn, a loro dire per evitare ulteriori umiliazioni.

Claudia non ha potuto evitarlo, e si è trovata in un reparto maschile dove i medici ossessivamente la chiamavano con un nome maschile, mentre lei, disperata combatteva per la vita, come sempre, come poche ore prima contro il coltello di un cliente che la voleva morta.
Claudia è stata ferita per giorni in questo modo, nonostante le proteste di Arcigay e di ATN, una "coltellata" ogni visita di medico, danno minore, naturalmente, per chi non si rende conto di quanto l’identità sia l’unica cosa che abbiano le persone transessuali, cui la società ha tolto la dignità ed il diritto allo studio ed al lavoro.

Molti reparti in Italia devono prima o poi affrontare la necessità del ricovero o dell’accoglienza delle persone transessuali, sempre più spesso, grazie al movimento di emancipazione Lgbt, ma non hanno gli strumenti cognitivi ed il rispetto umano adeguato, né le indicazioni da parte della direzione sanitaria che semplicemente ignora tutte le persone Lgbt, anche quelle omosessuali.

Le richieste delle persone Transessuali non sono molte: essere chiamate con il nome che hanno scelto e che corrisponde al genere che mostrano, qualunque sia la condizione dei loro genitali, che fino a prova contraria restano nascosti nella maggioranza dei casi quando si consulta un medico o un chirurgo.
Le persone Transessuali vorrebbero avere una stanza nel reparto che corrisponde alla loro apparenza e dove questo fosse possibile una stanza da sole o da soli, per non turbare e non essere discriminate da altri pazienti e soprattutto dai loro parenti, che nel nostro Paese spesso non sanno usare la Pietas necessaria nei loro confronti.
Le persone Transessuali forse hanno diritto a non essere discriminate e maltrattate mentre sono ammalate, credo che questo corrisponda al dettato della nostra deontologia professionale, che dovrà chiarirlo meglio introducendo nell’articolo 3 del Nuovo Codice anche la voce “orientamento sessuale” e “identità di genere” per la quale si intendono secondo l’Unione Europea anche le persone transessuali ed intersessuali.

A mio avviso dovremmo anche chiederci quanto noi medici siamo responsabili della condizione di prostituzione, visto che molti di quei soldi finiscono nelle tasche dei chirurghi estetici per operazioni necessarie, per trasformare un corpo che non è del genere desiderato.
Quando ho proposto questo ultimo punto, personale, a differenza dei precedenti, i colleghi e perfino le colleghe mi hanno risposto che questo era un falso problema da non considerare a loro avviso perché anche molte donne si prostituiscono per migliorare il loro aspetto fisico chirurgicamente.
Personalmente, facendo appello al concetto di “identità di genere” e richiedendo di aggiungere “condizioni socio-economiche”, come si deduce dalla mia precedente lettera già cortesemente pubblicata dal suo giornale, sinceramente replico ancora pretendendo costi accessibili ad ogni individuo che richieda cambiamenti in linea o opposti con il genere con cui sono nati (incluso allora gli intersessuali maggiorenni, ma questa è un’altra storia, di cui parleremo certamente).

Manlio Converti
Psichiatra
Blogger
Attivista diritti Lgbt
Referente nella materia Arcigay Napoli 


24 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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