Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 19 APRILE 2024
Lettere al direttore
segui quotidianosanita.it

Infermieri. Demansionamento e competenze avanzate

di Chiara d’Angelo

17 MAR - Gentile Direttore,
vorrei esprimere delle riflessioni in merito alla recente sentenza del Tribunale di Frosinone che tocca il problema, tanto vivo quanto irrisolto, della “duttilità” del lavoro dell’infermiere. Secondo il Giudice, infatti, l’infermiere può e deve svolgere mansioni anche afferenti a figure professionali di livello inferiore.

Sappiamo bene che il demansionamento, o de-professionalizzazione che dir si voglia, è la spina nel fianco della professione, compressa tra una norma mal e quasi mai applicata e una prassi capillarmente diffusa prepotentemente violenta nei confronti dell’infermiere.

Il professor Ivan Cavicchi, già da tempo, ha cercato di farci capire come il demansionamento sia figlio di una serie concentrica di criticità della professione e del contesto, prime fra tutte la disorganizzazione del lavoro e le politiche di definanziamento che comprimono il lavoro spingendolo verso una decapitalizzazione che ne corrode inesorabilmente la dignità e il valore (capitolo 5, Le Interviste: strategia e progetto, de “Il Riformatore e l’Infermiere – il dovere del Dissenso", edito da Quotidiano Sanità Edizioni).

In un contesto in cui tutte le forze sono contrarie, ci sarebbe da aspettarsi che almeno la rappresentanza professionale, quindi l’IPASVI, si prodigasse affinchè la condizione dell’infermiere possa evolvere in senso migliorativo.

L’espressione formale dell’idea della professione infermieristica espressa dalla propria rappresentanza si concretizza nel Codice Deontologico, la norma di auto-disciplina la cui versione ultima e vigente è quella del 2009.

Nell’articolato del Codice Deontologico l’articolo 49 investe l’infermiere della responsabilità di prestarsi a mansioni di rango inferiore “nell’interesse primario degli assistiti”. In buona sostanza utilizza un principio nei confronti del quale è difficile giustificare moralmente un’abdicazione per consegnare la professione a ogni genere di abuso e sopruso. Poco conta che nello stesso articolo si dica che l’infermiere ha “l’obbligo di rifiutare la compensazione” ove le carenze che la generano siano abituali o ricorrenti.

Conta talmente poco che lo stesso articolo 49 è stato utilizzato dalla Magistratura a supporto delle sentenze (Corte d’Appello di Roma, Tribunale di Frosinone) che legalizzano il demansionamento.

Il Nursind, Sindacato degli Infermieri, di cui faccio parte, già dal 2009 denuncia la pericolosità di questo articolo del Codice Deontologico.
Allora la senatrice Annalisa Silvestro, a quel tempo Presidente della Federazione Nazionale IPASVI, rispose alle perplessità del Segretario Nazionale Andrea Bottega con la formulazione attuale dell’articolo, sostenendo come essa fosse ritenuta adeguata a rispondere ai dubbi e ai timori manifestati dal Nursind.

L’anno scorso il Nursind ha realizzato una vasta campagna di sensibilizzazione fra gli Infermieri, in occasione della Giornata internazionale dell’Infermiere, per chiedere l’abrogazione dell’art. 49.

Dalla Federazione IPASVI nessun segnale, se non alcune dichiarazioni in cui si condanna l’utilizzo di letture parziali della norma che producono conseguenze lesive della dignità della professione.

Da persona comune, con un pensiero comune, ma con un vero sentimento di attaccamento alla mia professione, a me pare ovvio che la norma, proprio perché si presta a questi usi, abbia qualcosa che non va.

Non giova certo alla professione rimanere attaccati al concetto secondo cui sono gli altri a sbagliare perchè leggono parzialmente, quando a finirci di mezzo sono gli infermieri, senza criticamente accettare che l’articolo 49 è stato un errore.

Un errore dimostrato dai fatti, denunciato in molteplici occasioni con analisi dettagliate e approfondite sia dal punto di vista giuslavoristico che deontologico, e, ora e purtroppo, rimarcato dal verso delle sentenze della Magistratura che fanno leva proprio sul nostro Codice Deontologico per avallare lo svilimento della nostra professione.

Un paradosso vero e proprio e, non a caso, unico nel panorama delle professioni. In nessun altro codice deontologico esiste una norma simile; che le altre professioni non abbiano a cuore il bene degli assistiti, forse? Difficile immaginarlo. Allora francamente non capisco questa ostinazione a mantenere una norma che ci danneggia; mi sembra un atteggiamento poco proficuo e poco consono a chi ci dovrebbe invece tutelare. Si vuole salvare a ogni costo quanto la precedente presidenza ci ha consegnato come frutto di un incredibile progresso, ma che i fatti dimostrano non essere questo.

E non è nemmeno accettabile la compensazione del problema con la contropartita delle competenze avanzate, perché mentre le seconde sono tema che riguarderà una minoranza (come è stato per la grande rivoluzione della Dirigenza infermieristica, che nei fatti ha creato un'elite di non-più-infermieri sempre più distanti da quegli infermieri che dirigono e dei quali nemmeno percepiscono più le necessità), il primo è una piaga che brucia sulla pelle di molti, moltissimi infermieri che, solo per citare alcuni, pochissimi fra i mille, esempi, a Prato fanno i portinai, a Roma si occupano dei rifiuti, a Frosinone sostituiscono gli ausiliari, nel Lazio sono onorati della possibilità di svolgere le funzioni degli OSS e degli educatori.

Mi viene da pensare che dopo l'abolizione del “mansionario” (anche se solo a parole, poiché l’organizzazione del lavoro di stampo tayloristico – cfr. Cavicchi – che imperversa tutt’oggi nelle corsie di fatto lo mantiene vivo e vegeto) ci si sia voluto dare un “missionario”.

Peccato che missione e professione siano, anche in italiano, due parole diverse. Entrambe con grande valore e dignità, ma ognuna fortemente indipendente dall’altra. L’IPASVI e il Codice Deontologico dovrebbero occuparsi della Professione con la capacità di immaginare, difendere e promuovere una professione vera, moderna, identitaria, rispettata, riconosciuta e valorizzata. L’”interesse primario degli assistiti” non sarebbe secondario a questo, ne sarebbe diretta conseguenza.
 
Chiara d'Angelo
Infermiera, Caporedattrice di Infermieristicamente 

17 marzo 2016
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Lettere al direttore

lettere al direttore
ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy