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Dat, fatta la legge ma in ospedale nessuno se ne è accorto

di Marco Alfredo Arcidiacono

22 APR - Gentile Direttore
mi permetto di intervenire sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento, a seguito di alcuni incontri pubblici a cui ho assistito nella provincia in cui vivo e lavoro. Un argomento rimasto al margine per troppo tempo, dop o che la legge è stata approvata oltre un anno fa, legge che ha più ombre che luci e costringe tutto il settore medico a diverse rifllessioni. 
 
La legge 219/2018 è, a mio parere, una norma approvata di corsa, raffazzonata per certi versi, lo dimostra gli oltre tremila emendamenti che sono stati presentati.
 
Il primo punto su cui vorrei soffermarmi è la scarsa pubblicizzazione del testamento biologico. Me ne accorgo nel mio lavoro come infermiere del reparto Oncologico all’ospedale Maggiore di Parma e professore a contratto con l’Università di Parma nel corso di  Laurea in Infermieristica. 
 
I pazienti e gli utenti dell’ospedale, in generale, non conoscono la differenza fra testamento biologico e Dat, sono fondamentalmente la stessa cosa mentre per il secondo si tratta prettamente del documento che può essere depositato all’ufficio dello Stato Civile del comune di residenza.
 
La possibilità di nominare un fiduciario è, secondo me, il punto focale e più importante di tutta la norma visto che, sempre più spesso, ci si trova di fronte a persone sole, sia giovani single che anziani rimasti soli. 
 
La colpa della scarsa pubblicizzazione non è certo del singolo ospedale. Occorre diffondere i sette punti base della legge, le modalità di deposito e, soprattutto, diritti e doveri delle persone ancor prima che diventino “pazienti”.
 
Ci sono poi gravi mancanze a livello operativo che possono colpire gli infermieri che, come me, si occupano del percorso di fine vita. 
 
Le disposizioni inserite nel Dat dovrebbero essere scritte in cartella ma non è chiaro chi se ne debba occupare, di chi sia la responsabilità e con quali modalità possono essere reperite le varie informazioni. E’ chiaro che la responsabilità è e resta del medico ma è altrettanto chiaro che l’infermiere è la naturale estensione del medico, colui che è più a contatto con il paziente e ne ha un contatto più prolungato.
 
Il legislatore, riguardo al Dat, non ha chiarito se alimentazione e idratazione devono o possono essere inserite nel Dat. Nel caso le fossero allora si apre un nuovo e ulteriore scenario per i medici in cui il giuramento di Ippocrate entrerebbe in crisi. Dare cibo e acqua è un dovere, una missione, mentre nel Dat si parla di diritti. E’ chiaro che il paziente, in possesso delle facoltà di intendere e di volere, può decidere durante la propria vita di non voler ricevere idratazione e alimentazione. 
 
Ma quando si arriva al fine vita spesso le cose cambiano. Ci sono mille piccoli momenti di crisi, li conosciamo tutti noi che siamo del mestiere, in cui alimentazione e idratazione possono realmente cambiare un decorso.
 
L’assurdo è che un infermiere potrebbe arrivare a trovarsi in un processo per aver partecipato a salvare una vita. Un paradosso, a leggerlo così, ma che a pensarci bene ha purtroppo un senso. 
 
Se una persona scrive nel Dat che non vuole ricevere idratazione e alimentazione ha i suoi diritti, mentre un medico che li somministra è nelle piene facoltà del giuramento professionale. non facendolo contravviene alla sua missione. 
 
I punti su cui si basa la legge 219/2018 sono sette, li riporto in forma estremamente sintetica:
- Consenso informato, nella forma già conosciuta per cui “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario”
- Accanimento terapeutico, diritto anche alla sedazione profonda all’abbandono delle cure
- Nutrizione e idratazione artificiali
- Responsabilità del medico, la legge dice “esente da responsabilità civili e penali” ma non è poi così vero 
- Minori e incapaci che devono essere messi in grado di decidere autonomamente. Ruolo del genitore del tutore o dell’Amministratore di sostegno
- DAT raccolte in registri regionali, il medico può rifiutarsi dal rispettarle in caso di incongruenza in caso di emergenza. Ma non è così facile
- Pianificazione delle cure condivisa nel rapporto medico-paziente in rapporto all’evoluzione della malattia che può ovviamente essere aggiornata a seconda del quadro clinico.
 
Le Disposizioni Anticipate di Trattamento sono esenti da bolli per il deposito, esistono dei moduli precompilati ma per definizione si tratta di disposizioni libere, possono essere quindi scritte manualmente su un foglio bianco senza alcun problema. Possono essere videoregistrate nel caso in cui la persona abbia problemi nello scrivere o nell’esprimersi.
 
Va detto che le DAT vanno riportate nel Fascicolo elettronico sanitario anche se, appunto, non riportano campi standard e per loro natura sono tutte diverse fra loro. 
 
Come gestire quindi le nuove informazioni in un panorama di lavoro sempre più convulso? 
Servirebbero anche quei chiarimenti appena espressi perché ogni infermiere possa operare con maggior serenità. 
 
Il mio scopo non è certo di accusare il sistema o irrigidire i rapporti, occorre però iniziare a pensare alle possibili necessità e sviluppi. Al momento le DAT depositate sul territorio nazionale sono 40mila, una percentuale d’incidenza ancora troppo bassa.
 
Ecco perché mi permetto di anticipare quello che potrebbe essere un problema futuro. Sono sicuro che possiamo trovare una soluzione, una via agevole così che possiamo tornare a offrire le nostre professionalità, la simpatia e quell’appiglio che le persone, i pazienti, cercano nei momenti più bui e critici.
 
Marco Alfredo Arcidiacono
Infermiere, Ospedale Maggiore di Parma e professore a contratto, Università di Parma corso di  Laurea in Infermieristica

22 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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